Desertificazione e patriarcato capitalistico: i mali supremi dell’umanità! 3

per tonigaeta

di Antonio Gaeta, 20 ottobre 2017

Terza parte: capitalismo e mancata forestazione

 

Perché i “potenti mezzi tecnologici”, di cui dispongono le grandi imprese multinazionali, invece di diminuire la desertificazione la alimentano ?

Il deserto del Sahara è il più vasto di tutto il pianeta. Non esistono corsi d’acqua e l’idrografia è rappresentata semplicemente da una rete di valli disseccate e di fiumi, dove l’acqua scorre solo nel caso di piogge abbondanti. Eppure in questa parte del pianeta dove vivono gli uomini blu (i tuareg) si possono creare le condizioni per una sorta di foresta, dove esista il microclima adatto all’irrigazione e dove ci sia aria fresca e luce fotosinteticamente attiva per la crescita delle piante.

Il Sahara Forest Project nel 2008 fu basato sull’abbinamento di due tecnologie: i sistemi a concentrazione solare (Csp) e le serre ad acqua marina. I primi consentono di produrre grandi quantità di elettricità a basso costo, utilizzando solo la parte di energia proveniente direttamente dal Sole. Le cosiddette seawater greenhouse (serra ad acqua marina), sviluppate dall’ingegnere Charlie Paton, usano invece il raffreddamento da evaporazione e sfruttano l’acqua di mare, per creare un sistema di raffreddamento basato su un processo di evaporazione e condensazione. Il prototipo di serra ad acqua marina può produrre fino a 100 litri di acqua fresca, per ogni metro quadro di serra, sufficiente per irrigare la serra e una zona circostante molto più ampia.

L’intera iniziativa porta la firma di una squadra di architetti e ingegneri ambientali, tra cui appunto Charlie Paton, che hanno già costruito alcuni prototipi in Spagna, Oman e Emirati Arabi. Lo scopo è convertire vaste aree desertiche in terreni fertili e trovare una soluzione a quello che ormai chiamano l’oro blu (ovvero l’acqua). Molti degli esperti che hanno sviluppato il progetto del Sahara si erano già cimentati nel noto Eden Project a St.Austell, in Cornovaglia: una grande cava d’argilla dove, grazie a particolari tecniche, sono state trasportate tonnellate di terra e sono state piantate, a oggi, circa un milione di piante, ricostruendo in una specie di serre-bolle (chiamate Biomi) due differenti ambienti climatici. Secondo Neil Crumpton, studioso di energie, i governi dovrebbero investire molti soldi nell’energia solare e nelle tecnologie emergenti, che si occupano di scarsità idrica, «evitando di farsi distrarre dalle lobby che promuovo il nucleare per la desalinizzazione dell’acqua (esistono speciali piattaforme che trattano l’acqua salata con reattori nucleari)».

Questi qui riportati sono solo alcuni esempi di come le enormi capacità d’investimento oggi disponibili sul pianeta potrebbero deviare il corso degli eventi climatici, che sono alla base dell’avanzare della desertificazione. Perché nessuno investe in irrigazione di aree desertiche e pre-desertiche, nonché in forestazione ?

Le dinamiche del mercato del petrolio e l’economia

A partire dal 2004 la produzione mondiale di petrolio (in tutte le sue qualità) si è attestata intorno agli 80 milioni di barili al giorno. Tuttavia, a partire dal 2005 la produzione di greggio convenzionale (la tipologia che attesta il raggiungimento del picco estrattivo nei giacimenti) ha raggiunto i 72 milioni di barili al giorno e da allora non ha più superato il tetto di 75 milioni.

Secondo James Murray e David King – due studiosi che hanno recentemente pubblicato un articolo su Nature (evidenziando l’ormai superato picco del petrolio convenzionale e le nefaste conseguenze sull’economia mondiale) – “il mercato del petrolio è passato a un nuovo e diverso stato, in una di quelle che in fisica si chiamano “transizioni di fase”. Oggi la produzione è «anelastica», incapace cioè di seguire la crescita della domanda, e questo spinge i prezzi a oscillare in modo selvaggio”. Continuano i due autori: “I ripidi picchi dei prezzi dei combustibili che derivano da questa situazione possono provocare crisi economiche, e hanno contribuito a quella da cui il mondo si sta lentamente e precariamente risollevando. È ben poco probabile che l’economia del futuro sia in grado di sopportare quel che ci riservano i prezzi del petrolio. Solo allontanandoci dai combustibili fossili possiamo, al tempo stesso, assicurare più solide prospettive economiche e affrontare le sfide del cambiamento climatico.”

Ora cerchiamo di chiarire bene la relazione che c’è tra prezzo del petrolio e crescita economica. Un aumento del prezzo del petrolio è in grado di influire in modo negativo sull’economia: sia attraverso il versante della domanda, sia attraverso il versante dell’offerta.

Dal lato della domanda: un aumento del prezzo del petrolio genera un aumento di spese in gran parte non discrezionali per i consumatori (spese per i carburanti ad uso individuale, per il trasporto collettivo e più in generale per l’illuminazione e il riscaldamento urbano, nonché per l’energia domestica). Ciò vuol dire una riduzione del reddito che i consumatori hanno a disposizione per le altre spese. Se il consumo si riduce, si contrae anche la produzione e con essa il Prodotto Interno Lordo (PIL).

Dal lato dell’offerta: Le aziende manifatturiere, per produrre consumano energia; il comparto logistico per trasportare le merci consuma energia; il comparto turistico per trasportare i passeggeri ha bisogno di energia. La produzione di petrolio, come detto, ha raggiunto ormai il suo tetto ! Ne consegue che, a meno di ulteriori aumenti di produttività aziendale (cosa che comunque richiede tempo), anche l’economia non può crescere ulteriormente.

Al di la di tali effetti, un’economia in cui i prezzi dei propri beni sono fortemente connessi con l’andamento del prezzo del petrolio – dato che questo ha perso ormai la sua stabilità – diventa un’economia in cui domina l’incertezza, in un clima dove imprenditori e consumatori trovano difficoltà nel pianificare i propri piccoli, medi e grandi investimenti ! Questo è un altro motivo per cui la nostra economia stagna !
I Paesi emergenti Brasile, Russia, India, Cina, Sud-Africa (BRICS) continuano a crescere in quanto posseggono vantaggi elevati nei costi di produzione (soprattutto salari da fame), e si caratterizzano per investimenti, esportazioni e fiducia in espansione. Aumenta, quindi, la porzione di petrolio a loro destinata dalle compagnie petrolifere (quelle che controllano il mercato mondiale), mentre si riduce la porzione destinata ai Paesi Avanzati, che sono costretti (per chi ha governanti intelligenti, che governano realmente) a meglio gestire il loro mix di risorse energetiche, se vogliono mantenere o accrescere il loro Prodotto Interno Lordo (PIL).

In realtà, il discorso è un po’ più complesso e una produzione del petrolio, che ha ormai raggiunto il suo picco, inizialmente porta più ad una forte instabilità economica, anziché ad una irreversibile recessione. L’aumento del prezzo del petrolio generato da un eccesso di domanda su offerta genera recessione soltanto nei Paesi in cui il consumo energetico è già abbondante e in cui sono tutti costretti a ridurre la loro domanda di petrolio. Questo calo determina un ribasso nel prezzo del petrolio ed una conseguente nuova ripresa. Ad un certo punto la domanda eccederà di nuovo l’offerta di petrolio e l’economia andrà di nuovo in recessione. Se la produzione di petrolio rimanesse sempre costante, il processo, convergerebbe verso un’economia stabile.. ma ciò non può accadere, considerato che la produzione di petrolio andrà riducendosi progressivamente e non sarà più in grado di alimentare l’attuale sistema economico su scala mondiale.

Pertanto, fornire una valida risposta alla domanda sul perché nessun grande operatore economico (né privato , né pubblico) investe sul ripopolamento vegetale ed animale del pianeta, é quanto mai necessaria !

 

Considerazioni conclusive

Fin quando il mondo occidentale con il suo miliardo di abitanti (poco più di 800 milioni tra Stati Uniti ed Unione Europea) era l’unico grosso consumatore di petrolio l’economia (a parte la crisi post 79) non si è imbattuta in grossi problemi. L’emergere di nuovi Paesi con circa 3 miliardi di abitanti (poco più di 2,8 miliardi è il dato riferito ai BRIC) sempre più affamati di energia e sempre più vogliosi di raggiungere la qualità di vita dei Paesi occidentali le cose sono cambiate. Così, oggi miliardi e miliardi di persone sono chiamate a concorrere per accaparrarsi una fonte energetica scarsa. Questa é la più palese dimostrazione dell’irrazionalità del sistema economico fondato sul capitalismo: ovvero sul governo dell’Economia da parte di pochi scellerati. Essi hanno sviluppato un sistema economico e sociale (quindi politico), che ha fatto troppo affidamento su un’unica fonte energetica: il petrolio, i cui costi di estrazione tra pochi anni saranno superiori ai vantaggi !

Questa follia avrà gravi ripercussioni su tutti noi nel momento in cui ci sarà un serio calo dell’offerta petrolifera, o quantomeno l’offerta non sarà più in grado di soddisfare la crescente domanda. La soluzione ai problemi economici (e ambientali) sta nel trovare il nuovo mix di fonti energetiche, pronto ad alimentare una rinascita economica, che rispettando l’ambiente naturale, lo estenda su tutta la superficie delle terre emerse, ricordando che il petrolio é il risultato di antichissime naturali estensioni di tali habitat !

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