Dobbiamo credere a Renzi? cosa siamo, dei gonzi?

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 7 novembre 2016

Dunque, se vince il No Renzi ha detto che si vota perché lui non si farà rosolare. Se vince il Sì, invece, sarà Renzi stesso a rosolare i suoi avversari politici, magari brandendo proprio l’Italicum, altro che riformarlo. In ogni caso la politica italiana scotterà, producendo incertezza e perseverando nell’immobilismo istituzionale di questi mesi. Mi dite allora che futuro avrà la scrittura privata sottoscritta dal PD a se stesso (perché questo è)? Che futuro avrà un presunto documento di intenti steso a tempo scaduto, in campagna elettorale, generico com’è generica ogni vaga promessa? Ma davvero dobbiamo credere a queste cose? Cosa siamo, dei gonzi?

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Le apericene non sono una metafora

Sabato scorso Fabrizio Roncone ci ha raccontato sul Corriere come i partiti (o meglio, quel che ne resta) non abbiano più una sede, non ne necessitino più. C’è chi si riunisce nei bar, chi si vede nei roof garden, chi nel ristorante caratteristico. E mentre sta lì, compulsa i social e le chat, ad accentuare ancor più un senso di rarefazione e delocalizzazione della politica. Quando si parla di apericene, di pizze democratiche, di riunioni in trattoria, quindi, si fa dannatamente sul serio. Non è propaganda, ma sostanza. Da giovani sognavamo una politica diffusa, che uscisse dalle mura, dalle sedi tradizionali, e giungesse direttamente alle persone, laddove esse si trovavano, nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nei quartieri. Chi se lo immaginava che sarebbe andata a finire così. Con la politica davvero diffusa e delocalizzata, ma senza più partiti, organizzazioni, formalità, luoghi di direzione e di sintesi. Diffusa perché liquida, sciolta, di fatto inesistente.

È in questo clima di rarefazione, di stanzini chiusi dove si partoriscono i patti segreti, di riunioni collettive sottoposte alle forche caudine dello streaming, di gruppi dirigenti ridotti in massima parte a nominati, cavalier serventi, intestatari di mutui, aventi famiglia, riconoscenti, ringrazianti, che dicono Sì sempre, a prescindere dai referendum. Col paradosso che la presunta politica diffusa è in realtà una politica concentrata in poche mani, che spandono attorno battute, immagini, selfie, briciole di una vita pubblica che scompare sommersa da chiacchiere o poco più. Volevano alleggerire i partiti, ridurre le spese, le sedi, i funzionari, le riunioni fumose. Ebbene ci sono riusciti, con l’effetto paradossale (nemmeno tanto) di creare partiti di soli funzionari, di sole riunioni fumose e segrete, di sedi ancor più costose perché ogni volta si deve cenare, offrire caffè,sorseggiare apericene, lasciare la mancia (che sarebbe in piccolo quel che sono, più in grande, il bonus o lo sgravio fiscale).

Il referendum costituzionale è lo specchio dei tempi, lo spartiacque. Se escludo il manipolo di gente tutta d’un pezzo che tiene il punto sul ‘No’ o resiste ai mezzi sbrigativi del Capo, gli altri della classe dirigente sono proni, sono per un voto ‘realista’, di ‘contenuto’, dialogante. Magari hanno aderito durante un’apericena, oppure al termine di una riunione in qualche stanzino chiuso, lo stesso dei patti. Del sogno giovanile di diffondere la politica, democratizzarla, non è restato nulla. Era un errore. Si doveva capire sin da allora che aprire le porte (vedi le primarie) poteva spingere ad abbandonare del tutto la propria sede, le formalità democratiche, la trasparenza di una riunione che restava tale anche se il direttivo si svolgeva a porte chiuse. Poteva spingere ad ammazzare i partiti in una specie di eutanasia dagli effetti perniciosi che vediamo oggi. Sogni appunto, che la realtà politica di questi giorni ha rilevato come terribili incubi. Al punto che quelli che gridavano ‘fuori, fuori’ alla Leopolda non sai se volessero togliere il tappo del dissenso per rendere più smart il loro modo di fare politica, oppure rinchiuderla ancor di più nei meandri in cui l’attuale classe dirigente, quasi totalmente asservita alle crude necessità della vita privata, si è rifugiata. Cacciare via dal partito i pochi che hanno una schiena diritta è, in fondo, il passaggio finale per completare l’incubo. Io ci leggo anche l’invidia di coloro che dicono ‘Sì’, verso chi mostra ancora amor proprio, fermezza di principi, rispetto di sé. Soprattutto rispetto di sé. Senza il quale la politica è una schifezza.

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