Due parole sulla detassazione universitaria e sulla proposta di Grasso

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 8 gennaio 2018

Che la sinistra italiana sia in pessime condizioni culturali e morali lo dimostra il “dibattito” (?) insorto un decimo di secondo dopo la proposta di Grasso sulla detassazione universitaria. Dal PD ma-anche da Potere al Popolo sono arrivate critiche feroci. Ma come? Tagliamo le tasse anche ai ricchi? E la progressività? E i ricchi che tutto-pagherete-tutto? E la barca? E il Kosovo? È bastato un lancio mediale, due-paroline-due fatte filtrare in modo sensazionalistico dai siti e dai telegiornali per scatenare il contraccolpo. Debbo dire, per inciso, che soltanto il ‘Sole 24 Ore’ ha completato la news con qualche notizia in più sulla situazione europea delle università e sull’attuale sistema di tassazione in Italia. I giornali dei ‘padroni’ funzionano meglio della sinistra, diciamolo: ecco il punto su cui ragionare con meno narcisismo politico e più attenzione alle cose. La debolezza della sinistra è prima di tutto culturale. Persino mentale, ormai.

Ora, che ‘Liberi e Uguali’ puntasse a un rilancio dell’Università anche come ampliamento della base degli iscritti e si spera anche dei laureati (l’università di classe è quella che taglia fuori i figli della famiglie con reddito più basso e delle famiglie meno ‘istruite’) lo si sapeva da un documento partorito a metà dicembre nel corso di una iniziativa di LeU specificatamente dedicata al tema dell’istruzione. Nel documento finale leggiamo: “Per ribaltare la narrazione mainstream degli ultimi anni occorre affermare la prospettiva di un ampliamento della gratuità dell’istruzione universitaria. L’innalzamento dei livelli di istruzione attraverso la generalizzazione dell’accesso all’università rappresenta, infatti, un obiettivo strategico per tutto il paese. L’obiettivo della gratuità va affermato prevalentemente attraverso due leve: l’abolizione della contribuzione studentesca; un potenziamento del diritto allo studio in grado di realizzare pienamente il mandato costituzionale, per rimuovere le barriere economiche, sociali e territoriali che si frappongono all’accesso agli studi. La gratuità della formazione universitaria costituisce una concreta occasione per restituire il sistema a una logica solidale: i redditi alti, correttamente individuati, devono essere chiamati a contribuire, attraverso la fiscalità generale e una rimodulazione, in base al reddito, della tassa regionale per il diritto allo studio. È credibile e sostenibile raggiungere livelli di esenzione pari agli esempi europei più virtuosi sopra richiamati”.

Qual è la novità discussa già a dicembre, e ieri enfatizzata da Grasso per i media e per chi non si informa? Quella di considerare l’istruzione universitaria un bene pubblico per l’intero Paese, non solo un affare privato delle famiglie, caricando sulla fiscalità generale (e progressiva) il suo finanziamento: TUTTI dunque debbono concorrere all’istruzione universitaria in proporzione al reddito, anche chi non manda figli all’università, anche quelle famiglie che mandano i propri figli alle private. Tutti, poveri e ricchi in ragione del reddito. Come la sanità, anche la scuola, anche l’alta formazione diventano una questione nazionale, non solo dei cittadini presi separatamente e nella loro privatezza e solitudine reddituale. A chi dice che, in realtà, Grasso e LeU avrebbero concretamente indicato nei sussidi che vanno alle imprese che producono prodotti dannosi all’ambiente (Grasso ha quantificato nel 10% dei 16 miliardi di euro in questione), con ciò ‘trasformando’ la detassazione in spesa pubblica non progressiva, io ribatto che il Presidente del Senato ha voluto fare un esempio, ossia quantificare la spesa e indicare comparativamente quanto possa pesare sul bilancio dello Stato la detassazione medesima. Dico di più: se davvero si volesse pescare il miliardo e sei in quei sussidi, staremmo ancora nel piano della fiscalità generale progressiva. Nel senso che si ritirerebbe una quota di quegli stessi sussidi, essi rientrerebbero nella disponibilità generale di bilancio e il governo potrebbe decidere di utilizzarli presso un altro capitolo di spesa, ossia l’istruzione universitaria. Politica, insomma, decisioni. Tutto qui.

È sbagliato? Io dico di no. Vi chiedo: la scuola è un bene pubblico o non lo è? Oppure è una questione privata, familiare, di classe, di censo? L’accesso all’Università anche dei figli delle famiglie più povere è solo un problema delle famiglie meno facoltose medesime (visione di classe) o di tutti (visione democratica)? Avere una più alta istruzione accademica è un bene nazionale o una questione settoriale, privata, di censo? Non di tutti, ma solo di questo e quello? Si dice: ma così paga anche la famiglia povera che non manda figli all’Università! Rispondo: paga anche la famiglia ricca che manda i figli alle private, ma in più la famiglia povera ha libero accesso per i propri figli. Famiglie non benestanti potrebbero risparmiare anche 2000 euro all’anno, il doppio di quanto ha “donato” Renzi con il bonus degli ottanta euro. Soldi, questi, che sono stati davvero ‘rilasciati’ alla cieca, senza riguardo al censo, senza progressività, perché non tenevano conto né del patrimonio personale o familiare né di altri eventuali redditi casalinghi o associati. Questo è.

Capisco la levata di scudi del PD e della destra, che si vedono toccati sul loro terreno preferito, quello della detassazione. Capisco meno le sollevazioni di quelli di ‘sinistra’ e dei ‘comunisti’: invocare, da parte loro, la necessità di una progressività diretta, fiscale, una ‘tassazione’ settoriale con sgravi per i redditi più bassi da parte dei soli usufruenti dei servizi ritenuti di ‘bene comune’ (come l’istruzione) contraddice, in realtà, un principio generale democratico, solidale, di sinistra, per cui questi servizi debbono invece essere pagati da tutti in ragione di quanto si ha e si guadagna, ma usufruiti da tutti in ragione dell’effettivo bisogno (come la sanità). Insomma: da ciascuno secondo le proprie possibilità, a ciascuno secondo il proprio bisogno. Tutti pagano proporzionalmente al reddito e al patrimonio, poi se sei malato vai da un medico e se vuoi istruirti vai a scuola e all’Università. Il comunismo, in sostanza. Papale papale. Che i comunisti non capiscano nemmeno più i ferri del mestiere dà da pensare su quel che corre nella nostra mente oggi, in questa specie di apocalisse culturale diffusa. Questo è davvero il tempo della miseria. Il nostro comunismo era meglio.

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