Come è comprensibile c’è un gran parlare, in questi giorni, di programmi, alleanze elettorali, sondaggi, quota uninominale e quota proporzionale, considerato che il 25 settembre prossimo saremo chiamati a esprimere il nostro voto per il rinnovo delle Camere.
La discussione in atto, tuttavia, appare quanto mai asfittica, abborracciata, caratterizzata da programmi elettorali che ripropongono, soprattutto da destra, posizioni quanto mai conservatrici quali l’autonomia differenziata e la famigerata tassa piatta (flat tax) che ha l’obiettivo, di fatto, di favorire l’impoverimento di chi già vive ai margini della società per insufficienza salariale, precarietà e, quindi, saltuarietà del lavoro e, per contro di favorire l’arricchimento di chi già vive ne benessere.
Tuttavia, alla triade Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia, che rappresenta l’arco di destra-centrodestra e che si presenta, pur tra divisioni, al suo interno, su questioni di rappresentanza (suddivisione dei seggi, diritto di indicazione, in caso di successo elettorale, del candidato presidente del Consiglio) con una certa compattezza programmatica, non si contrappone, al momento in cui scrivo, un altrettanto compatto schieramento di sinistra – centrosinistra e, conseguentemente, un condiviso, credibile, programma elettorale. Anzi, al momento, questo schieramento ancora non c’è, avendo appena siglato il PD un accordo con la forza politica Azione di Calenda che, tuttavia, sembra pregiudicare l’accordo, che sembrava certo, del PD con Sinistra Italiana/Europa Verde, alla luce delle forti differenziazioni programmatiche (Azione a favore del nucleare, SI/Verdi nettamente contrari e per un corposo sviluppo delle energie rinnovabili).
Al di là di quelli che saranno gli sviluppi nel campo sinistra-centrosinistra, non posso non osservare, da un’ottica di sinistra, quello che a me appare un profondo limite di ruolo politico, di funzione politica, direi, della sinistra in questa fase storica dello svolgimento della vita associata della nostra comunità nazionale.
Se, da un lato, è giusto denunciare i rischi profondi che possono derivare da un’eventuale vittoria delle destre alle prossime elezioni, non tanto, a mio avviso, sotto l’aspetto della tenuta democratica del Paese, quanto, sicuramente, in termini di arretramento sui diritti civili, di cancellazione della progressività fiscale, di rallentamento delle politiche volte alla transizione energetica, rivitalizzando, per rispondere alla crisi della fornitura di gas russo quale effetto della guerra in corso, il carbone (particolarmente inquinante in quanto produttore di elevatissime quantità di CO2) e il gas attraverso il processo di trasformazione di gas liquido per mezzo di rigassificatori, dall’altro, oggi, sussiste un problema gravissimo che riguarda ciò che sta ancora più a monte della tenuta democratica e che io chiamo di tenuta umana.
Quanto accaduto la settimana scorsa a Civitanova Marche, l’omicidio del venditore ambulante Alika per aver chiesto l’elemosina “con insistenza”, è di una gravità indicibile. Non solo, naturalmente, per l’omicidio in sé, ma per il comportamento di chi, pur presente, mentre si consumava l’omicidio, si è limitato a guardare, a osservare e a filmare la scena.
Nessuno ha preso la decisione di intervenire per fermare l’azione omicida e così salvare Alika, e di fronte ad una scelta così assurdamente omissiva quella di filmare con il cellulare l’accaduto assume un sapore cinico e beffardo.
Omissione tanto più grave se si considera che l’azione omicida è stata posta da una persona singola, quindi facilmente neutralizzabile da parte di due-tre persone fra quelle che hanno assistito passivamente alla scena.
Non pongo il problema dell’omicida, della sua salute mentale, su cui indaga, come è giusto che sia, la magistratura, ma, appunto, dei sani di mente, dei “normali” che non hanno impedito l’accaduto e che hanno, così, “preferito” vedere morire un essere umano davanti ai loro occhi, invece che intervenire, fra l’altro, come detto, senza alcun rischio, per salvargli la vita.
Qui si pone il nocciolo duro della sussistenza del presupposto minimo, essenziale, che dovrebbe stare alla base della convivenza di una comunità umana. Esso è il valore riconosciuto dell’umanità di ciascun essere umano, della sua insostituibilità, della sua irripetibilità, della sua unicità.
Ecco, il punto, oggi, è che questo valore non è più riconosciuto come essenziale dai consorziati che, conseguentemente, valorizzano la rappresentazione, l’immortalamento dello spettacolo dell’omicidio attraverso la ripresa immediata, consentita dalla tecnologia del cellulare, invece che la salvezza della persona verso la quale si sta perpetrando una violenza.
La struttura economica delle nostre società, l’esasperazione di una presunta necessità di produzione di una sempre maggiore quantità di merci, e quindi l’assetto produttivo su cui esse si reggono, la connessa cultura consumistica, spingono i consorziati ad esaltare l’interesse al benessere individuale attraverso la sempre maggiore acquisizione privata di merci e, conseguentemente, a sminuire l’uso di beni comuni (auto privata versus mezzo pubblico, sanità privata versus sanità pubblica, scuola privata versus scuola pubblica, acqua privata versus acqua pubblica e così via) e il valore della vita associata, all’interno della quale assume a sua volta valore l’umanità dell’essere umano.
Anche la digitalizzazione e informatizzazione di ogni attività, sebbene molto utili per la vita concreta di tutti i giorni, di fatto, attraverso la diffusa pratica del lavoro da remoto indotta dalla pandemia, spingono sempre più verso una riduzione dei luoghi di vita associata, fra i quali il luogo di lavoro è senz’altro fra i principali, e, conseguentemente, verso l’avanzare di una impostazione di vita in cui viene inevitabilmente esaltato il momento individuale rispetto a quello comunitario.
Si pone, quindi, il problema, anche sotto questo profilo, di ridisegnare modelli di vita associata in cui lo sviluppo tecnologico venga posto a servizio della semplificazione, soprattutto nelle grandi città, della fisicità delle relazioni umane, evitando, perciò, di ricadere in una crescente sostituzione di realtà virtuale a quella reale.
Se questa analisi è fondata, anche la prossima campagna elettorale può essere l’occasione perché la sinistra, ponendosi all’altezza dei problemi di fondo che minano la convivenza umana, ponga il problema della necessità di rinnovare le ragioni profonde della convivenza e, di conseguenza, si presenti all’elettorato con un programma elettorale che, per quanto graduale, dia il senso di marcia di uno sviluppo sociale indirizzato alla valorizzazione degli elementi collettivi, dei beni comuni, di un patrimonio di relazioni fondato sulla solidarietà tra le persone, sulla collaborazione e cooperazione invece che sulla competizione, sul recupero, quindi, del valore profondo dell’umanità dell’essere umano.
Ma esiste, oggi, in Italia una sinistra all’altezza della profondità dei problemi sollevati?
Direi di no, se pensiamo ad una forza politica classica, sufficientemente radicata nel territorio e con una significativa massa critica di consenso elettorale; tuttavia esistono, senza dubbio, in diverse forze politiche, dal Pd a Sinistra Italiana a Rifondazione comunista, a pezzi del M5S e anche al di fuori di esse, singole personalità e/o aree più o meno organizzate, centri di studio e ricerca, che hanno la consapevolezza della profondità delle problematiche che si pongono alla base di una piena convivenza umana e dalle quali, pertanto, è lecito aspettarsi un lavoro di sensibilizzazione politica e culturale dall’interno delle rispettive forze di appartenenza e dall’esterno che possa, auspicabilmente, anche al di là della pur importante scadenza elettorale del prossimo 25 settembre, orientarle verso coerenti scelte politico-programmatiche.