di Alfredo Morganti – 18 ottobre 2018
Leggo in questi giorni molte reprimende verso il Sindaco Lucano. Ha stravolto la legge, deve pagare. Si dà per scontato, ovviamente, che abbia violato la legge, e si dà ancor più per scontato che la legge sia forma pura, libera da tensioni interpretative, del tutto ab-soluta rispetto al regime sociale e ai rapporti di forza che l’hanno prodotta. Si ignora, nel migliore dei casi, che il diritto e la forza (dovrei dire la violenza) siano contermini, avviluppati, l’uno reciproca condizione dell’altro. Eppure la legge per prima ha una sua ‘forza’ (si dice ‘forza di legge’), lo Stato per primo riserva a sé il monopolio della forza, in taluni casi esorbitando dalle proprie stesse discipline normative, come nel caso Cucchi. Immaginare invece la legge come una norma pura, intangibile, assoluta, questo sì è irenismo, o meglio buonismo, come certi accusano invece di essere coloro che si occupano dei migranti in termini umanitari. Lucano sarebbe dunque un buonista, ma-anche uno che farebbe ‘violenza’ alle legge. Stringente aporia, direi. O è un buono (perché accoglie gli immigrati senza ‘misura’) oppure è cattivo (perché viola le leggi come un qualsiasi delinquente). Oppure è buono e cattivo assieme, come tanti, come tutti, e forse meno di tutti.
I fatti credo stiano diversamente. Lucano non ha ‘violato’ la legge, ha probabilmente anteposto i caratteri umanitari a certe storture burocratiche, amministrative e ai grovigli tecnici che impedivano il conseguimento di taluni prefissati indirizzi politici. Ha pensato l’umanità e il bene sociale prima dei rigidi formalismi di legge. Lo ha fatto probabilmente sapendo che poteva incorrere in qualche contestazione, che puntualmente è arrivata sul suo tavolo dal Viminale e che poi è arrivata anche dalla Procura. Questo era il rischio, questa la sfida (non personale, ma sociale), che Lucano avrà accettato sapendo di essere a posto con la coscienza, di non trarre nulla di personale dalle scelte che il Comune faceva, anzi di rischiare in proprio. Questo non lo rende un eroe, e nemmeno un martire. Per questo la battuta di Salvini che sostiene come il Sindaco di Riace non sia affatto un eroe dei tempi moderni, è fuori luogo. Nemmeno Lucano si sente un eroe. Semmai si potrebbe definire una sorta di antieroe, una figura che gioca per gli altri e non per sé, che è tormentato dalle ragioni sociali più che dalle proprie ambizioni personali, che vede nel potere solo un mezzo, uno strumento e non un fine, e che potrebbe persino apparire uno sfigato, perché cacciato dalla sua casa e dalla sua terra come un perdente qualsiasi.
‘Perdente’ agli occhi degli eroi del risentimento che oggi imperversano, dalle ambizioni mirabolanti e con un ego extra saturo – ma ‘vincente’ secondo parametri di cura, solidarietà, disponibilità e rispetto per l’altro (sia esso un migrante, un ‘povero’, un lavoratore precario, un disoccupato, un dipendente al limite della sussistenza). Disponibilità che sfida le norme, le interpreta a favore degli ultimi, come spesso hanno fatto tante donne e uomini della sinistra, pagando di tasca propria. Parlo di sindacalisti, amministratori, dirigenti e semplici militanti. Diffidate, semmai, proprio degli ‘eroi’ moderni, che estraggono risorse in deficit dallo Stato per distribuirle agli attuali individui di mercato, invece di potenziare la ricchezza sociale e realizzare beni pubblici. Il male è qui, tutto qui, non nei Sindaci che fanno solidarietà e assistenza all’altezza dei tempi miseri, cinici e disumani che stiamo vivendo. Per i quali, appunto, la ricchezza individuale è il valore da perseguire, e quella sociale una spesa da tagliare.