Eserciti di riserva e umanità concreta

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 21 giugno 2018

Circola prepotentemente il brano di Marx tratto dal I libro del Capitale sull’esercito industriale di riserva. È usato come una specie di clava teorico-politica nel gran trambusto prodotto dal fenomeno delle emigrazioni. Accresce il trambusto invece di stemperarlo (e si sa che stemperare, quando si tratta di capire, è meglio che fare ulteriore caciara). Circola con il brano l’idea che questi disgraziati ai margini del mondo del lavoro (e spesso del mondo tout court), per il solo fatto di esserlo, siano dannosi e complici del capitale, delle sue brame, delle sue smanie. Sembra quasi che i due tipi (l’occupato e il disoccupato) siano antropologicamente diversi. Ma, così facendo, si confonde una ‘legge’ economica (interpretata peraltro con straordinaria rigidezza) con gli attori che ne recitano lo svolgimento, spesso nemmeno in termini consapevoli. Così che rigettare in mare i neri, o fermarli non appena tentino di salire su un gommone o ributtarli a casa, sarebbe la ‘soluzione finale’ alle manovre padronali, alle sue frenesie di sfruttamento, una risposta intelligente e scaltra nello stesso tempo. Tutta interna alla legge stessa dell’accumulazione, però, quasi prigioniera di essa. Una forma di determinismo economicistico.

Il punto è che un disoccupato non è meno forza-lavoro o meno classe operaia delle cosiddette ‘forze attive’. Non a caso nel passo Marx parla di ‘classe operaia [che] si scinde’, ma che è (e resta integralmente), dico io, classe operaia anche quando è solo situata ai margini del mercato del lavoro e ‘preme’ su di esso. Nello stesso modo, anche la forza-lavoro non è tale solo quando è ‘operante’ e veste la tuta blu in una acciaieria, ma anche quando è immiserita, o preme ai margini, o semplicemente fa la fame perché non è ‘attiva’. Un vecchio (vecchissimo, a questo punto) slogan della CGIL era ‘occupati e disoccupati uniti nella lotta’: ed era la ‘lotta’ a fare la differenza tra la sinistra e la destra, mentre l’unità ne era il motivo conduttore.

Polanyi dice che il lavoro non nasce per essere immesso sul mercato, per divenire merce e vendersi, ma per essere energia attiva a disposizione dell’uomo, grazie al quale quest’ultimo tende a risolvere il proprio rapporto con la natura. L’economia di mercato, invece, enfatizza il carattere di merce, crea la finzione della forza-lavoro come merce, e dunque porta a distinguere la forza-lavoro che incontra una domanda di mercato da quella che non la incontra. Il Capitale, insomma, divide. È nel suo stile di comando. Il movimento operaio dovrebbe, allora, fare l’opposto e attrezzarsi alla bisogna, invece di predicare vento quando soffia già la tempesta. E invece, proprio perché la facoltà di lavorare è energia umana e non merce, essa unifica le donne e gli uomini ancor prima delle divisioni imposte dal mercato del lavoro e dalla finzione indotta dalla mercificazione.

Solo l’ideologia di mercato può, dunque, produrre l’idea secondo cui chi ‘preme’ sia diverso, alternativo, contrapposto a colui che subisce la pressione – l’idea che chi è di ‘riserva’ sia “incompleto” rispetto a chi è forza-lavoro ‘attiva’ a tutti gli effetti. Nella convinzione che prendersela con il disoccupato (non con lui direttamente, ma con la sua esigenza di vendere comunque forza-lavoro sul mercato) sia un modo, in fondo, per scardinare la legge dell’accumulazione (e dello sfruttamento) e gettare sabbia negli ingranaggi del meccanismo di accumulazione. Io credo, invece, che questo modo di interpretare Marx sia davvero del tutto subalterno all’ideologia di mercato. Ne sposa la logica della divisione. Pensa l’unità come un prodromo di sconfitta. Oltre che essere poco attento alla “umanità” di fondo di quella cosa che tutti chiamano forza-lavoro, dimenticando “l’entità fisica, psicologica, morale” (Polanyi) che la eccede. Forza-lavoro che è davvero irriducibile alla mera mercificazione, a meno che non si adotti una ferrea logica di mercato. Umanità concreta, bios, soggettività di donne e uomini che solo le guerre, la fame, gli squilibri economici e le ruberie occidentali spingono disperatamente qui da noi.

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