È in gioco il comando politico, tutto qui

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti,

di Alfredo Morganti – 16 maggio 2016

Weber, dell’Istituto di ricerca Ixé, spiega a Repubblica che la quota di italiani davvero ‘motivati’ ad andare a votare è ormai del 50% circa. L’altra metà non considera il voto direttamente legato al proprio interesse, sia morale sia materiale. Al referendum d’ottobre, però, questa quota potrebbe crescere al 60% per ragioni eminentemente politiche: “questo voto viene percepito come una scelta su chi comanderà”, spiega lo stesso Weber. Lo avevo scritto in un altro post, sulla base del casuale suggerimento avuto da un vicino di casa: vogliono cambiare la Costituzione perché vogliono comandare. Weber, un ricercatore, uno che gli umori degli italiani li conosce, è d’accordo come me, a quanto pare. Effettivamente con la riforma costituzionale è in gioco il comando politico, effettivamente il referendum interpreta il senso più oscuro dei tempi, totalmente curvati verso l’esecutivo e punitivi verso la rappresentanza. La politica è interpretata esclusivamente come comando autoritario, come bastone da impugnare, come astratta accelerazione dei tempi della decisione. E quindi come potenziamento dell’esecutivo, centralizzazione, verticalizzazione del potere in un folle cortocircuito, ritenuto ‘salvifico’, tra Capo e base elettorale. Vista così mette anche un po’ paura. Ma questo è.

Mi preoccupa che agli italiani questo refrain piaccia assai. C’è tutta una classe medio-piccola che è affascinata dall’idea dell’uomo solo al comando, che è portatrice della convinzione che i dibattiti producano una perdita di tempo, che il pubblico zavorri il privato, che le soprintendenze frenino i lavori pubblici, che i parlamenti parlino e basta, che la politica costi troppo, che solo gli uomini contino, non le istituzioni, e che servano metodi spicci, vie brevi, vie di fatto, qualche scapaccione, un po’ di parole grosse, un po’ di ‘ira’ del Capo fedelmente registrata dai giornali, e che al più siano i suoi collaboratori a sbagliare, chi lo circonda, non lui, perché lui vuole sempre il bene del Paese e sono gli altri a impedirglielo e a non fare il loro dovere, soprattutto se sono o erano di sinistra. Ebbene, questa tipica patologia storica, che ha già prodotto molti guasti e altri ventenni alle nostre spalle, la vedo sempre in agguato, come un fremito sotto pelle, pronta a manifestarsi ogni qualvolta ci sia un outsider che cerchi di interpretarla, farla propria, giovarsene. L’insistenza sul ‘comando’, la voglia di ‘centralizzare’ e di riportare tutto a Palazzo Chigi, nella stanze del potere ministeriale, nei circuiti tecnico-burocratici, è sempre sul chi va là. Basta un nonnulla affinché riparta la cagnara dei ‘adesso basta, ci penso io’.

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