GUERRA RUSSIA-UCRAINA: COSA OCCORRE FARE ORA

per Riccardo Aprea
Autore originale del testo: RICCARDO APREA

Dopo 26 giorni di invasione bellica dell’Ucraina l’obiettivo della Russia appare chiaro: non conseguire la neutralità dell’Ucraina con la garanzia della non adesione alla NATO, non consolidare l’annessione della Crimea, né ottenere il riconoscimento internazionale delle due autoproclamate, filo-russe, repubbliche del Donbass, Donetsk e Lugansk, ma, sic et simpliciter, il rovesciamento del governo ucraino con un governo filo-russo in modio da trasformare l’Ucraina in uno stato satellite eterodiretto dalla Russia, o, in subordine, una vera e propria spaccatura del territorio ucraino attraverso l’annessione di un’ampia parte della zona orientale, ben oltre la Crimea e le due regioni del Donbass,  autoproclamatesi Repubbliche nel 2014.

L’invasione dell’Ucraina, infatti, è totalmente ingiustificata rispetto alla garanzia, sicuramente non priva di fondamento, richiesta dalla Russia, in un’ottica di sicurezza, della non adesione dell’Ucraina alla Nato, considerato che, a prescindere dalla disponibilità di recente manifestata dal presidente ucraino Zelenski di collocare il suo Paese in una posizione di neutralità tra la Nato e la Russia, la possibilità di una adesione alla Nato non è, come è ovvio, nella disponibilità dell’Ucraina, ma, appunto, della Nato cui spetta accettare la domanda di adesione. Ben si può richiedere di aderire, ma la semplice richiesta non comporta, automaticamente, adesione.

Sotto questo profilo, pertanto, l’invasione russa è totalmente, se così posso dire, illogica, in quanto colpisce un soggetto che non ha il potere di impedire ciò che Putin intende impedire. E’, poi, del tutto ingiustificata, in considerazione della disponibilità manifestata, nel corso dei colloqui intercorsi con il leader russo nel mese di febbraio, da diversi rappresentanti  di Paesi dell’Unione Europea, anche membri della NATO (Francia – Germania),  a non prendere in considerazione l’ipotesi di accettazione dell’Ucraina nella Nato, in un’ottica, appunto, di un posizionamento neutrale della prima.

Se effettivamente Putin avesse fra i suoi obiettivi fondamentali quello di conseguire, in un’ottica di sicurezza internazionale, una distanza territoriale fra i confini russi e quelli dei paesi Nato con il loro, minaccioso, carico di armamenti, allora la controparte non sarebbe l’Ucraina, ma, appunto, la Nato e, specialmente, gli Stati Uniti, considerato il preponderante peso specifico da essi rivestito all’interno dell’Alleanza Atlantica. E il confronto non avrebbe preso la forma della guerra, con il suo carico devastante di distruzione di vite umane, di disastro ambientale e quant’altro, ma quello del confronto diplomatico, serrato quanto si vuole, ma sempre diplomatico. E in quella sede la Russia ben avrebbe potuto censurare, sicuramente con buona ragione, il mancato rispetto da parte della Nato dell’impegno assunto con Gorbaciov nel 1991 (V. https://www.startmag.it/mondo/nato-est/), alla disgregazione dell’Unione Sovietica, e al conseguente scioglimento del Patto di Varsavia, di non estendere i propri confini verso Est e cioè verso i Paesi che fino a quel momento rientravano, appunto, nel blocco sovietico. Infatti, negli anni successivi, sono stati ammessi nella NATO, in spregio all’impegno assunto, la Polonia, l’Ungheria, la Repubblica Ceca (1999) e  Lituania, Lettonia ed Estonia, confinanti con la Russia (2004).

L’invasione dell’Ucraina confligge, altresì, con l’obiettivo del riconoscimento del mutamento dei confini territoriali nell’area del Mar Nero in seguito all’annessione del 2014 della Crimea e in seguito al riconoscimento delle autoproclamate, sempre nel 2014, delle Repubbliche di Donetsk e Lugansk. Al limite, infatti, volendo suffragare, solo in un‘ottica dialettica, la scelta russa dell’intervento armato, esso avrebbe dovuto riguardare solo quell’area specifica senza, cioè, estendere il conflitto a tutto il territorio ucraino.

Va da sé che anche in quei territori, effettivamente caratterizzati dalla presenza di una popolazione largamente russofona e filo-russa, il negoziato, questa volta direttamente con l’Ucraina, sarebbe stata la scelta che meglio avrebbe potuto conseguire, se sostenuto da un’effettiva volontà di risolvere i problemi, il raggiungimento di un compromesso di convivenza pacifica e anche di accordi economico-commerciali volti a consentire anche alla Russia uno sbocco nel Mar d’Azov e nel Mar Nero, proprio come avvenuto, ad esempio, in Italia, attraverso il riconoscimento alle popolazioni residenti nell’Alto Adige di una speciale autonomia, anche relativa all’uso della lingua tedesca, in forza della quale, dopo periodi di tensioni caratterizzati purte da attentati dinamitardi, sono state poste le premesse per un’ottima convivenza all’interno della medesima nazione, senza alcuna secessione territoriale.

Ma, evidentemente, il fine di Putin non è, essenzialmente, quello di conseguire la neutralità internazionale dell’Ucraina, né quello del riconoscimento dell’annessione della Crimea e delle Repubbliche del Donbass, bensì quello di conseguire i detti obiettivi attraverso, se non proprio l’annessione dell’Ucraina, la sua trasformazione in uno stato satellite totalmente sottoposto alla politica russa.

D’altronde quale significato può, altrimenti, attribuirsi al dichiarato obbiettivo della “denazificazione” dell’Ucraina, se non quello di esautorare l’attuale dirigenza politica, evidentemente ritenuta responsabile della mancata attuazione degli accordi di Minsk del 2014 e del  protrarsi di un conflitto strisciante nelle regioni del Donesk e del Lugansk che, a tutt’oggi, ha comportato 14.000morti fra civili e militari di entrambe le parti (esercito ucraino e cittadini armati separatisti russi)?

Per quanto in diverse situazioni di notevole importanza nella recente storia ucraina (come per esempio nella rivolta del 2014 di Euromaiden, conclusasi con la defenestrazione del presidente filo-russo Victor Janukovyč), abbiano operato, militarmente, gruppi ultranazionalisti di stampo nazista, come il battaglione Azov o il Praviy Sektor, alcuni dei quali, probabilmente, normalizzati all’interno dell’esercito regolare, ciò non toglie, tuttavia, che l’obbiettivo della cd. “denazificazione” si risolva, di fatto, in un attacco alla sovranità del popolo ucraino.

Se questa analisi è fondata, è di tutta evidenza che il raggiungimento, a breve, se non della pace, di un duraturo cessate il fuoco appare alquanto problematico. Ed è proprio per questa ragione che si manifesta in tutta la sua gravità l’assenza di una iniziativa di pace, forte, da parte non dell’Europa in generale, ma dell’Unione Europea che dovrebbe essere particolarmente interessata alla più sollecita definizione del conflitto, considerato che la guerra è, propriamente, dietro l’angolo, praticamente in casa.

Il sostegno, anche armato, alla resistenza ucraina, deciso dall’Europa, per quanto, forse, necessario per cercare di controbilanciare l’asimmetria delle forze in campo, è, comunque, decisamente secondario rispetto all’impegno prioritario dell’assunzione di una iniziativa negoziale per favorire l’incontro delle parti in guerra (aggredito e aggressore) con il fine prioritario di un immediato cessate il fuoco e, quindi, del raggiungimento, attorno ad una ipotesi concreta e realistica di accordo, di una pace duratura.

In questa ottica, al fine di conseguire un immediato silenziamento delle armi, ben potrebbe essere assunta una iniziativa straordinaria, dal forte impatto simbolico-politico, quale ad esempio, una carovana di tutti i leaders politici dell’Unione Europea, delle relative principali autorità religiose, sotto la guida di Papa Francesco, comprese quelle ucraine e russe (il che costituirebbe una buona occasione per il Patriarca Kirill della chiesa ortodossa di Mosca di autocritica rispetto alla recente dichiarazione di giustificazione dell’aggressione russa), diretta a Kiev con l’obiettivo di sfidare le bombe di Putin per imporne, con la loro semplice presenza sul territorio, il silenzio. E, così, sollecitare, nell’assenza del fuoco, e quindi delle morti, l’inizio di un negoziato ad oltranza.

Naturalmente le redini di questo processo dovrebbero essere solidamente tenute dall’Unione Europea che in questo contesto dovrebbe conseguire due obbiettivi di interesse strategico:

a)      accrescere il livello della propria unità politica su tematiche fondamentali quali la costruzione di una difesa comune e la gestione del fenomeno migratorio, assumendo un modello che, partendo dal massimo di accoglienza per i rifugiati della guerra in atto, si estenda anche alla gestione del più ampio e generale fenomeno migratorio legato a guerre lontane dall’Europa, o alla estrema povertà di molti dei Paesi di provenienza, fino ad ora affidato alle sole cure dei membri mediterranei (Italia in testa);

b)      cominciare a praticare una crescente autonomia dalla Nato e dalla preponderante visione statunitense della gestione delle crisi internazionali.

Sotto quest’ultimo profilo, la guerra in corso fra Russia e Ucraina ha posto in palese evidenza l’ormai superamento dell’ordine mondiale emerso dalla seconda guerra mondiale, l’anacronismo di una organizzazione dell’ONU fondata sul diritto di veto di cinque Stati (Stati Uniti, Russia, Francia, Gran Bretagna, Cina) che esclude dalle principali decisioni Paesi che nel frattempo hanno raggiunto notevoli livelli di importanza geo-politica (ad esempio Brasile, India) e che, comunque, è la riprova di una impostazione fortemente non democratica dei rapporti fra gli Stati del pianeta.

L’attuale crisi evidenzia come sia ormai maturo porre all’ordine del giorno la necessità di impostare un nuovo ordine mondiale in cui, per quanto concerne la sicurezza del continente europeo, cambi nettamente il quadro geopolitico, superando la NATO, il cui compito di sicurezza internazionale dei Paesi dell’Occidente è venuto meno da ben trenta anni in seguito al dissolvimento del patto di Varsavia, all’unificazione delle due Germanie e al dissolvimento dell’Unione Sovietica, e assegnando, invece, all’Unione Europea l’ancora indispensabile funzione di mega-cuscinetto fra le due potenze imperiali (Stati Uniti e Russia), oltre che di dialogo mitigante con la sempre più crescente potenza cinese.

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