La tortura è una prassi che è parte della storia dell’uomo. Fin dall’antichità in diverse culture e continenti la mano del boia al “servizio della legge” ha compiuto gesti di crudeltà inenarrabili. Per secoli di tale pratica è stata giustificata e legittimata dallo Stato e dalla Chiesa, da codici e giurisdizioni speciali. Lo scopo era di infliggere sofferenze fisiche e psichiche, al fine di strappare confessioni o punire colpevoli. Con la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, il diritto internazionale ne ha proibito, in più protocolli e norme, l’utilizzo in qualsiasi circostanza. La tortura tuttavia persiste, anzi, si è consolidata e perfezionata fino ad avvalersi di nuove tecniche sempre più sofisticate e occulte. La tortura è uno strumento disumano, poiché lo si utilizza contro l’uomo prima di dimostrarne la colpevolezza. Sappiamo bene che la vittima è condannata con prove false, a volte da essa stessa fornite, poiché le è impossibile dimostrare la propria innocenza. È la morte del diritto alla dialettica tra accusato e accusatore. Il caso Regeni, e come lui purtroppo tantissimi altri innocenti sparsi nel mondo, è una ferita aperta che non si può dimenticare e che non può essere soffocata da nessuna ragion di Stato politica o peggio ancora economica. È un esempio di palese violazione dei diritti dell’uomo, da combattere sempre e comunque a partire soprattutto dall’educazione delle giovani generazioni. Le nostre autorità, intervenute, trattandosi di un cittadino italiano non potevano fare diversamente, ripetono che non si accontenteranno di verità di comodo e che i responsabili dovranno essere puniti. Bei propositi sulla carta che acquisirebbero affidabilità soltanto se interrompessero le relazioni economiche e politiche con un paese che da troppo tempo viola impunemente i diritti umani con il consenso omissivo di molti Stati e senza che il diritto e la giustizia nulla possano. È impossibile invocare l’intervento di tribunali penali internazionali poiché l’Egitto non ha ratificato lo Statuto della Corte Penale Internazionale. Ha ratificato però la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 1984 che assegna le funzioni di controllo sull’esecuzione della Convenzione al Comitato contro la tortura. Essendo un crimine internazionale, gli Stati firmatari avrebbero l’obbligo di prevenire e reprimere questo delitto. L’Egitto dunque potrebbe essere ritenuto internazionalmente responsabile. Il caso Regeni, e con esso tutte le pratiche di tortura, può essere denunciato al Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite. Il Governo italiano l’ha fatto? L’Italia ha ratificato il Protocollo opzionale del 2002 che dovrebbe introdurre nel proprio codice penale una più circostanziata definizione del delitto di tortura? L’Italia può chiedere all’Egitto un simile adempimento se la sua proposta di legge è ferma ancora in Parlamento? Il Governo italiano però potrebbe lamentare la violazione di una norma internazionale, pretendere la punizione dei responsabili e chiedere il relativo risarcimento del danno. Si è mosso in tal senso il nostro Governo? Sembrerebbe di no. I genitori del ricercatore italiano torturato e ucciso intanto affermano: “Siamo stati traditi dallo Stato italiano, non dall’Egitto”.
Vincenzo Musacchio, giurista, più volte professore di diritto penale e criminologia in varie Università italiane ed estere. Associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). Ricercatore dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Discepolo di Giuliano Vassalli, allievo e amico di Antonino Caponnetto.