Il forchettone capitalista

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Il forchettone capitalista
La stampa e l’informazione padronale hanno un problema. Quello di dissinescare al più presto la potente metafora della funivia, che sta inondando le nostre coscienze. La funivia è il simbolo di un sistema che disinnesca i sistemi di sicurezza, che non è pronto ad affrontare le emergenze, le calamità, gli incidenti. E che anzi procura quegli incidenti con la propria dissennatezza, mettendo in pericolo la vita delle persone, di cui pure dovrebbe tutelare la sicurezza. La funivia è il simbolo di una fame di profitto e di una ingordigia, che vanno oltre ogni buon senso, ogni limite, ogni umanità. La funivia è il segno che viviamo all’interno di un sistema pronto a sacrificare tutti noi pur di “crescere”. Un sistema che non vuole freni, appunto, e che confida nella tenuta dei cavi di sicurezza, sperando che non si trancino da un giorno all’altro. Un sistema che espone tutti al rischio, senz’altro motivo che il fatturato e il profitto. Un profitto che poi (ecco la beffa) non diventa, almeno in una certa misura, bene comune, ma viene stipato nei forzieri, in una quantità assolutamente eccedente rispetto alle effettive necessità dei suoi detentori. Profitto che mette a rischio le vite di tutti ma che viene trafugato da pochi.
Pensate alla richiesta di deregolamentazione, di “semplificazione”, di facilitazione, alla richiesta di “forchettoni” insomma, che sale di nuovo dalle élite e dalle classi dirigenti, per non porre freno (appunto) alle corse scellerate della funivia capitalista. Pensate a quante vite sono in pericolo soltanto per accrescere la capienza dei forzieri di pochi. Pensate a come costoro si oppongano alle tasse, ossia alla ridistribuzione progressiva delle ricchezze verso il bene pubblico (servizi, scuole, ospedali, trasporti, assistenza, previdenza, sicurezza). Pensate a quanto non eravamo pronti al Covid, preoccupati solo di privatizzare e consumare, e come non si sia saputo rispondere con efficace ai cavi tranciati dala pandemia – e come le misure di tutela, di salvaguardia, i freni, siano sempre stati sacrificati per raschiare profitto dalle vite degli altri (per esempio, le vite dei raccoglitori di pomodori e verdure che le élite vegetariane divorano nella speranza di restare eterni).
Pensate a come già oggi, mentre ci distraggono con i coprifuochi e gli spritz, ritornino a raccontarci impudentemente la favola delle magnifiche sorti e progressive del capitalismo senza lacci e lacciuoli, e paventino il rischio delle “statalizzazioni”. Pensate a come abbiano provato a scaricare sul Ministro Speranza le responsabilità di un sistema che non era pronto a porre “freno” alla sciagura improvvisa (improvvisa?) del cavo tranciato dalla pandemia, ma che oggi già rifavoleggiano di consumi, di mercato, di “crescita”, di bonus, di sgravi, di detassazioni, di imprenditori eccellenti, di grandi capitani di industria. Gli stessi che nel tempo mettevano forchette, sfrenavano, “allisciavano” la via al profitto personale e della morte della gente non gliene fregava un cazzo di niente. Pensateci. Raccontando per filo e per segno la tragedia della funivia, è come se scrivessero le memorie di questi decenni, come se raccontassero i trucchi e le responsabilità di un sistema disumano. Come se la realtà prendesse infine la mano delle storie che ci vengono raccontante. Siamo i clienti di funivie rette per miracolo in cielo. Su cavi che si tranciano, con freni dissinnescati. Non paghiamo più il biglietto, allora. Scendiamo. Facciamoli viaggiare scarichi. Se le tenessero le loro cose superflue. Serve giustizia.
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