IL LUPO E L’ASTRATTEZZA DEI CONCETTI
Ho accennato più volte all’astrattezza dei concetti che ci formiamo sulla realtà sensibile. Ma che sarà mai questa astrattezza, da dove nasce? Nasce dal fatto che per la nostra costituzione attuale le immagini del mondo esterno devono smorzare la loro vitalità per divenire coscienti. In tale indebolimento è da cercare il fatto che sta alla base della conoscenza astratta.
Per uscire dal vago, facciamo un esempio. Vedo un lupo.
Il concetto di lupo che porto in me ha un qualche rapporto con la realtà, o è un nome e nulla più, semplicemente uno schema riassuntivo che mi sono formato vedendo tanti lupi? Oggi come oggi, diremmo che il concetto di “lupo” è un riepilogo mentale degli innumerevoli aspetti di vari lupi osservati. In essi solo le sostanze percettibili come il sangue, la carne, le ossa, il pelo e così via sono reali.
In questo esempio si racchiude una delle controversie filosofiche più acute che risalgono ad un passato lontano.
Nel Medioevo si cominciò a dibattere sulle immagini che l’individuo si formava a contatto col mondo. Da un lato esse erano collegate a singole esperienze e singoli oggetti, un solo uomo, un solo lupo. Dall’altro esistevano le idee che alludevano all’Umanità, al tipo lupo. Il sentimento individualizzato portò poi a dire: dobbiamo formarci da noi queste idee generali. Se però guardiamo fuori nel mondo, non troviamo l’Umanità, ma singoli uomini, né il tipo lupo, ma singoli lupi. Si fece allora strada l’opinione che questi concetti universali di Umanità o di lupo non fossero altro che dei riassunti estratti dalle singole cose, che fossero solo parole, nomi. Da qui nacque il Nominalismo.
Secondo F. Bacone andava accettata la realtà di quello che in fin dei conti è solo un nome, una etichetta che ci serve per orientarci nel mondo sensibile. Da allora l’anima si sente posta tra due mondi, fra Natura e Spirito, staccata da entrambi. La sua visione attraverso i sensi non le rivela nulla del mondo, il suo pensare è astratto.
Trascrivo qui la classificazione astratta del lupo grigio europeo:
Dominio: Eukaryota/
Regno: Animalia/
Sottoregno: Eumatazoa/
Superphylum: Deuterostomia/
Phylum: Chordata/
Subphylum: Vertebrata/
IngraPhylum: Gnathostomata/
Superclasse:Tetrapoda/
Classe: Mammalia/
Sottoclasse: Theria/
Infraclasse: Eutheria/
Superordine: Laurasiatheria/
Clade:Ferae/
Ordine: Carnivora (sic)/
Sottordine: Caniformia/
Famiglia: Canidae/
Sottofamiglia: Caninae/
Tribù: Canini(
Sottotribù: CaninaI
Genere: Canis/
Specie: C.lupus/
A leggere questa sfilza di nomi si rimane sconcertati dalla sofisticazione dei dettagli di classificazione. Si richiede memorizzare una terminologia bella e pronta, un certo numero di nomi e aggettivi per essere in grado di impiegarli rispettando posizione e designazione. E’ un procedimento simile a un mosaico in cui ogni pezzo è posto accanto all’altro per riprodurre a partire da migliaia di dettagli il sembiante dell’immagine del lupo grigio. È la vecchia questione di procedere dalle parti al tutto per non saper affrontare il cammino dal tutto alle parti.
Eppure aspiriamo ad afferrare il quid ideale che non è sensibile, il tipo. Non qualche singolo esemplare ma l’idea del lupo.
A ben vedere, ogni sostanza che si trova nel lupo è presente anche in altri animali. Ci deve essere qualcosa che ordina la materia e le conferisce la connessione vivente tipica del lupo. Questo ci fa intravedere che viviamo in una condizione di visione limitata. A questo proposito Vincenz Knauer* sagacemente diceva così:
“Ad esempio, il lupo non è composto di nessun altro elemento materiale che di agnello. Il suo corpo si forma di carne di agnello assimilata. Ma il lupo non diviene agnello, anche se per tutta la vita non mangia altro che carne d’agnello. Ciò che quindi fa di lui un lupo deve essere qualcosa d’altro che la materia sensibile, e non può che essere che un quid operante, quindi reale, molto reale, sebbene non sia accessibile al senso”*
E’ una situazione paradossale. Con poche, fulminee parole viene confutato ogni tentativo di spiegare il mondo per mezzo delle combinazioni di parti materiali.
In altre parole, quello che ci viene comunicato dai sensi non ci dà la vera idea di lupo, non ci dà il principio ordinatore che fa di quelle sostanze il lupo. La connessione vivente tra me che osservo e il lupo viene indebolita a rappresentazione astratta a causa della attuale organizzazione umana. La realtà ci dà qualcosa di vivente, e noi soffochiamo di questa realtà vivente la parte che possiamo conoscere intellettualmente. Senza l’indebolimento di questa piena vitalità ci dovremmo riconoscere membri di una unità più estesa, di un organismo maggiore. Ma se sperimentassimo in tutta la vitalità il rapporto al mondo esterno non potremmo essere giunti all’auto coscienza. La carenza può spingerci a ritrovare quella unità. Il processo di conoscenza può essere sviluppato oltre il punto in cui si ferma il ricercatore che si fonda sull’osservazione sensibile.
Vorrei fare un commento ulteriore che riguarda l’educazione. Quando sono in chiave di conoscenza mi allontano dalla realtà, quindi la conoscenza è un processo di individuazione, d’indipendenza, di rendersi autonomi, perché lì lascio le cose, le lascio totalmente nella percezione. Invece nel polo della volontà sono dentro alle cose, lì agisco, lì si tratta di un dinamismo dove gli esseri sono gli uni dentro agli altri. E, in fondo, tutta l’arte educativa è un’arte di sano ritmo, di sana alternanza tra questi due poli. Quando ho un concetto, che si esprime nel sostantivo, sto contemplando il cosmo. L’elemento specifico della conoscenza è il sostantivo. E qual è l’elemento grammaticale specifico della volontà? Il verbo.
Oggi siamo diventati tutti astratti e abbiamo perso la capacità di vivere con le cose: quanti di noi fanno differenza tra una rosa nel vaso e una pianta di rosa quando è nella terra? Non riusciamo più a cogliere la differenza, perché abbiamo con la rosa un rapporto puramente concettuale. Oggi si vive unicamente nei concetti astratti, e se si vive nello stesso modo con il bambino, si uccide in lui la capacità che egli è disposto a vivere nella realtà concreta della Natura. Perciò bisogna creare in noi il senso profondo di questa polarità fra il parlare con conoscenza delle cose e il viverci dentro con tutti gli impulsi eterici e volitivi.
FILOTEO NICOLINI
* VINCENZ KNAUER ( 1828-1894) FILOSOFO
NOTA: Alfred Korzybski (1879-1950) sostenne che gli esseri umani sono limitati dal loro sistema nervoso e dalla conformazione dei loro linguaggi. Nella sua visione della semantica generale gli esseri umani non sono in grado di sperimentare il mondo così com’è, ma solo attraverso astrazioni e indicatori verbali espressi dalla lingua. Korzybski segnalò l’importanza di essere consapevoli dell’astrazione e dei suoi vari livelli. Le persone non sono in grado di percepire i fenomeni della realtà direttamente e quindi interagiscono col mondo mediante astrazioni. La stessa percezione e il linguaggio ingannerebbero al punto tale che i dati dell’esperienza potrebbero venire distorti e vissuti come fatti reali.
Per le sue ricerche fondò il principio secondo cui “la mappa non è il territorio”. Il suo tentativo è stato di migliorare i comportamenti umani e la comunicazione linguistica partendo dall consapevolezza del processo di astrazione per prevenire le confusioni che sorgono quando si scambia la mappa per il territorio.
In qualche modo Korzybski registra ed indaga la pervasiva presenza di astrazioni nella concettualizzazione, osservata soprattutto sul versante sociale interattivo tra le persone.
1 commento
Secondo Humberto Maturana “la mappa è il territorio”. E lo spiega pure.