di Alfredo Morganti su facebook – 2 luglio 2014
La forma istituzionale è il ‘presidenzialismo’. Ma la polpa è un sentimento che l’italiano medio cova eterodiretto da tempo e che in questi mesi emerge con sempre maggiore virulenza. Il voto a Renzi ne dipende in parte. Ed è la cosa per cui basta con le chiacchiere, qualcuno decida (e se non è di sinistra è meglio, perché ‘quelli ‘ discutono troppo e non quagliano mai). E non è possibile che passi tanto tempo per stabilire delle cose anche semplici. Alle elezioni chi vince si deve vedere subito, domani stesso, e poi consegnargli lo scettro senza nemmeno attendere i tempi tecnici, affinché in quattro e quattr’otto faccia cose nuove, e non la solita palude, la solita melina, il solito non-fare. Non importa che, pur di fare in fretta, si rischi l’iniquità, perché è solo importante smuovere le acque e lo si deve fare presto, adesso! Anzi, ieri. Una persona, una soltanto sia il riferimento di tutti, il Capo cui appellarsi se i ‘partiti’ traccheggiano. E basta coi programmi lunghi centinaia di pagine: pochi punti, anzi nemmeno quelli, e si decida anche a capocchia purché si decida.
Se proprio volessero arrivare al presidenzialismo, questa è la strada peggiore da percorrere. Perché non interpreta la forma istituzionale come figlia di un’elaborazione complessa, consapevole, pubblica, ma come effetto di un’emozione, per di più gonfiata da una terrificante campagna mediale. In assenza di ragionevolezza istituzionale, quel che ne viene è solo una truffa. Si arriva alla meta dopo un certo girovagare, come a far perdere le tracce. Ti ritrovi il presidenzialismo, pure nella sua forma peggiore, quasi senza essertene accorto. Magari perché con la riforma del Senato l’elezione del Presidente diventa di fatto a maggioranza semplice, come se stessimo eleggendo un amministratore di condominio. Senza contare che, se metti sulla scheda il nome del futuro premier, l’Italicum lo trasforma di fatto in una sorta di Principe. Elezione diretta del premier, oppure indiretta da parte di ‘nominati’: cosa cambierebbe? Un giorno potremmo avere un primo ministro eletto dal popolo e un Presidente mera espressione della maggioranza: non vi verrebbe voglia, a un certo punto, di unificare le due figure? Tanto la maggioranza alla Camera è schiacciante, e il popolo è con te, e pure l’opposizione, pur di cavalcare l’opinione pubblica, sarebbe d’accordo. Pensateci: liste bloccate, una sola Camera, un Senato che collabora a rendere schiaccianti le maggioranze presidenziali e costituzionali, un Presidente della Repubblica eletto alla prima votazione (praticamente a maggioranza), un premier invece eletto da popolo (o indirettamente dall’Italicum): dove sarebbero i contrappesi? Anche perché se un ‘contrappeso’ si frappone, verrebbe abrogato senza nemmeno pensarci un istante, nel consenso generale, perché è solo uno che perde tempo in futili chiacchiere (oppure è in cattiva fede!).
Il giochino è pronto, quasi del tutto appalesato. Un congegno facile da montare, che apparirebbe per quel che è solo alla fine del suo percorso, non prima. Un sentimento diffuso e carognesco che troverebbe la sua ‘nuova’ forma istituzionale quasi di ‘sghimbescio’, come se fosse una curiosa, sorprendente coincidenza. Un percorso apparentemente lineare, che nessuno ti ha mai ‘narrato’ per bene, anzi. Non c’è, allo stato attuale, uno storytelling del Presidenzialismo, ma solo una pratica carsica, sfuggente, intermittente, ipocrita. Un congegno che viene montato pian piano, dissimulando, deviando l’attenzione sulle sciocchezze pur di avere le mani libere. Un marchingegno le cui istruzioni di montaggio sono ben scritte in un patto (non scritto) stilato mesi or sono al Nazareno. Chiamatelo Presidenzialismo o vie spicce, cambia poco. L’effetto è quello di scavalcare tutto, tutti i corpi, non solo quelli intermedi.