29 giugno 2014
Possiamo pensare tutto il male possibile dell’Europa, ma bisogna ammettere che essa è divenuta lo stampo, il modello della governance universale nell’era liberista: grazie alla sua costruzione carente, incompleta, al suo apparato istituzionale retorico e pletorico disegna benissimo un ritorno al “moderno” medioevo dove le elite e le lobby infeudano il voto popolare. E’ del resto il calco al quale vogliono aderire le democrazie nazionali come dimostrano le vicende del dopo voto che hanno completamente ignorato le composite “ribellioni” elettorali che si sono avute in Inghilterra, Grecia, Francia, Irlanda, Portogallo e in misura minore in Spagna, semplicemente facendo spallucce e ricorrendo alle larghe intese dei perdenti.
Per quel che conta, naturalmente, visto che il Parlamento di Strasburgo è in larga misura una macchina teatrale destinata a dare un aspetto democratico alle istituzioni esecutive che contano e che sono formate dagli stati. Ma, mutatis mutandis, non è proprio questa la struttura reale della democrazia italiana dove rappresentanti nominati e in futuro nemmeno eletti, almeno in un ramo del Parlamento, sono i diligenti notai delle volontà di elite politiche a loro volta subalterne a un ceto dirigente ereditario? Per forza che l’Europa diventa al tempo stesso un feticcio e un formidabile braccio secolare con il quale superare la protesta e l’antagonismo.
Non fa nessuna meraviglia che l’austerità sia stata imposta prima sulla base di teoremi economici oggi dichiarati errati dallo stesso Fmi, poi come correlato necessario della moneta unica cui non si può rinunciare in virtù della costruzione europea. Si tratta di cortocircuiti con cui si cerca di governare una situazione di declino continentale che sta diventando socialmente incandescente senza però rischiare di ridare voce alle persone. Così in Germania andando in completa controtendenza e prendendo atto del cedimento di consenso, si cerca di mettere qualche pannicello caldo al massacro sociale riducendo l’età pensionabile, calmierando gli affitti e alzando salari e tutele sociali – udite udite – per riacquistare competitività, come ammette anche Gros, uno degli dementi economisti che hanno messo a punto la filosofia europea anticrisi. Proprio mentre altrove la stessa competitività viene utilizzata per operazioni diametralmente opposte.
E’ del tutto evidente che manca un’idea complessiva della genesi della crisi e che lo stato dell’Europa come costruzione in mezzo al guado e con un assurdo assetto monetario, offre la possibilità quasi unica di far apparire logico ciò che è assurdo, di continuare sulla strada di operazioni economicamente suicide, ma funzionali a traghettare le classi dirigenti dei Paesi del continente verso la terra promessa di regimi oligarchici. Il bailamme mediatico, la retorica che si è incistata sugli archetipi europei traditi riesce purtroppo a depotenziare la protesta contro l’austerità e le sue conseguenze sociali, scollegandola dai soggetti politici e istituzionali che ne sono il referente e il sostegno. Facendo pensare che un cambiamento di rotta sia del tutto possibile dentro questa logica, che tutto sta nel dare forza a chi vuole battere i pugni a Bruxelles, essendo nel contempo espressione del pensiero e del retropensiero politico da cui l’austerità è nata. Auguri.