Il soggetto dell’economia

per Gabriella
Autore originale del testo: Alfonso Gianni
Fonte: Il Manifesto
Url fonte: http://ilmanifesto.info/loblio-democratico/

 soggetto

IL SOGGETTO DELL’ECONOMIA – di LAURA PENNACCHI – ed. EDIESSE

recensione di Alfonso Gianni

Nel suo ultimo libro «Il soggetto dell’economia», pubblicato da Ediesse, l’autrice Laura Pennacchi sventaglia le motivazioni per cui il neoliberismo, fallimentare già da tempo, ha resistito e troneggia in Europa come unica forma di governo possibile.

C’è una domanda cru­ciale che si aggira negli ambiti di quella che pos­siamo chia­mare – senza per ora migliore spe­ci­fi­ca­zione — la sini­stra di alter­na­tiva in Europa e nel nostro paese. Laura Pen­nac­chi la pone nelle prime pagine del suo ultimo lavoro (Il sog­getto dell’economia. Dalla crisi a un nuovo modello di svi­luppo, Ediesse, Roma 2015, pp. 318, euro 16,00) con que­ste parole: «per­ché il neo­li­be­ri­smo – di cui gli eventi del 2007/2008 ave­vano san­cito il fal­li­mento sul piano teo­rico – si è mostrato così resi­liente nel tempo, con­ti­nuando imper­ter­rito a infor­mare di sé le poli­ti­che e le scelte pratiche?».

Rispon­dere non è facile, eppure biso­gna rico­no­scere che qui sta, non la, ma cer­ta­mente una delle chiavi – anche per­ché le porte da aprire non sono poche – che per­met­tono di com­pren­dere le ragioni pro­fonde della crisi della società con­tem­po­ra­nea e della sini­stra in particolare.

Non c’è dub­bio che per­de­remmo tempo se enu­me­ras­simo le dichia­ra­zioni, le dimo­stra­zioni, per­sino le auto con­fes­sioni che for­ni­scono le prove di quel fal­li­mento. Valga una per tutti. Wol­fgang Mun­chau, in una inter­vi­sta a un gior­nale ita­liano di qual­che tempo fa, si dimo­strava alli­bito che «un eco­no­mi­sta del cali­bro di Mario Monti abbia potuto fir­mare un trat­tato (quello sul Fiscal Com­pact) che, se appli­cato alla let­tera, por­terà l’Italia al fal­li­mento: ridurre al 60% il debito in venti anni signi­fica andare incon­tro a una reces­sione che sot­trar­rebbe il 30–40% del Pil nello stesso periodo. Un disa­stro, e la fine dell’euro».

Altro che «sta­gna­zione seco­lare», di cui si parla con mag­giore insi­stenza nel dibat­tito eco­no­mico! Si potrebbe dire – come ha scritto altrove Fau­sto Ber­ti­notti – che il re è nudo, ma è ancora sta­bil­mente sul trono e con­ti­nua a coman­dare. Almeno qui, in Europa, dove non a caso la crisi eco­no­mica e sociale è più grave e non se ne vede via d’uscita.

Crepe nella Troika

La vicenda greca costi­tui­sce il disve­la­mento più cla­mo­roso e recente, ma non l’unico, di que­sta realtà. Che la con­di­zione del paese e del popolo greci siano peg­gio­rate, da ogni punto di vista, ivi com­preso quello della quan­tità del debito, è que­stione che nes­suno discute. Eppure l’accordo impo­sto a Tsi­pras riba­di­sce, in parte anche peg­gio­ran­dole e indu­ren­dole, le stesse ricette. Ciò che non ha fun­zio­nato prima, può farlo ora in con­di­zioni peg­giori? Evi­den­te­mente no, basta una logica ele­men­tare ad esclu­derlo. Per­fino il Fondo mone­ta­rio inter­na­zio­nale lo riba­di­sce, aprendo così una crepa nel mono­lite della Troika (risul­tato non tra­scu­ra­bile della tena­cia con cui il governo greco ha affron­tato la lunga trat­ta­tiva), quando afferma che senza il taglio del debito non c’è sal­vezza, per­ché la situa­zione debi­to­ria della Gre­cia è desti­nata a ripro­porsi e in modo aggra­vato. Eppure vi è addi­rit­tura, e non solo a destra, chi esalta la lun­gi­mi­ranza pre­sunta di Schau­ble per­ché ha posto la Gre­cia di fronte all’aut aut: o fuori dall’euro (per un po’, ma pre­fe­ri­bil­mente per sem­pre) o accetti que­ste con­di­zioni. Lo stesso docu­mento dei cin­que pre­si­denti reso noto a fine giu­gno, fir­mato da Djis­sel­bloem, da Dra­ghi, da Junc­ker, da Tusk, da Schulz e giu­di­cato irri­tante per­sino da un uomo come Fabri­zio Sac­co­manni ex mini­stro ed ex diret­tore gene­rale di Ban­ki­ta­lia, riba­di­sce una linea di gal­leg­gia­mento della Ue che sconta l’abbandono pos­si­bile dei paesi in dif­fi­coltà, pur di non rimuo­vere le poli­ti­che neo­li­be­ri­ste del rigore.

Come si vede, sem­pre in que­sta vicenda, grandi sono le respon­sa­bi­lità della social­de­mo­cra­zia euro­pea – anche se per for­tuna non vi è un com­por­ta­mento omo­ge­neo in tutti i paesi — quella tede­sca in prima fila. Il para­gone con il voto dei cre­diti di guerra è cer­ta­mente for­zato, come lo sono tutti i paral­le­li­smi sto­rici, ma è quello che più si avvi­cina per gra­vità all’attuale com­por­ta­mento social­de­mo­cra­tico impe­gnato a soste­nere la poli­tica del rigore, a volte sca­val­cando a destra i suoi pro­pu­gna­tori come ha fatto Gabriel nei con­fronti della stessa Mer­kel. Eppure non si potrebbe rispon­dere alla domanda di cui sopra, e infatti l’autrice non lo fa, sem­pli­ce­mente soste­nendo che il neo­li­be­ri­smo ha tro­vato solidi alleati da un lato e il ven­tre ancora troppo molle della sini­stra anta­go­ni­sta dall’altro e che ciò sarebbe suf­fi­ciente per spie­gare la sua buona salute e la sua soprav­vi­venza ai pro­pri disa­stri eco­no­mici e politici.

Il con­corso delle discipline

Laura Pen­nac­chi tenta con que­sto suo più recente lavoro un per­corso ambi­zioso. Con­si­de­rando troppo angu­sti i con­fini della «scienza tri­ste» per spie­gare la situa­zione e trac­ciare delle nuove tera­pie, vuole met­tere in campo una affa­sci­nante mul­ti­di­sci­pli­na­rietà per aggre­dire e destrut­tu­rare le basi della dot­trina eco­no­mica domi­nante. Ecco quindi che la ricerca non si limita al campo delle teo­rie eco­no­mi­che, ma attra­versa anche quelli della filo­so­fia, dell’antropologia, della socio­lo­gia.
Que­sto rap­pre­senta una nuova sfida per l’autrice, un ele­mento di novità rile­vante, per­lo­meno in que­ste dimen­sioni, rispetto a pre­ce­denti lavori e cer­ta­mente un fat­tore di par­ti­co­lare godi­mento intel­let­tuale per il let­tore. Infatti sta qui forse il mag­giore valore del libro. Cer­care di riu­ni­fi­care men­tal­mente e meto­do­lo­gi­ca­mente le set­to­ria­lità e le spe­cia­liz­za­zioni del sapere è una pre­con­di­zione indi­spen­sa­bile per stron­care il pen­siero unico, per rico­struire una cri­tica dell’economia poli­tica all’altezza dei tempi, per fare rina­scere una cul­tura di sinistra.

Ne nasce un per­corso di scrit­tura nel quale l’erudizione e la for­mi­da­bile ampiezza dei pun­tuali rife­ri­menti ad altre autrici e autori non sono mai osten­tati – come pur­troppo spesso capita ad altri — ma fun­zio­nali alla costru­zione di un discorso. Non tutti i giu­dizi che l’autrice dà sulle opere altrui sono per­fet­ta­mente con­di­vi­si­bili. Alcuni sem­brano un po’ troppo tran­chant. Per esem­pio sui lavori di Dar­dot e Laval che meri­te­reb­bero una più accu­rata disa­mina e non sono acco­sta­bili in tutto e per tutto a certe sem­pli­fi­ca­zioni che cir­co­lano abbon­dan­te­mente sul tema del «comune».

Que­sto per­corso, par­tendo dalla ana­lisi delle prin­ci­pali com­po­nenti del neo­li­be­ri­smo, indi­vi­duate nella finan­zia­riz­za­zione, nella mer­ci­fi­ca­zione (anche se l’autrice pre­fe­ri­sce il ter­mine inglese com­mo­di­fi­ca­tion), nella denor­ma­ti­viz­za­zione, ci con­duce fino alla pro­po­sta di un nuovo modello di svi­luppo fon­dato su un neou­ma­ne­simo che scon­figge la dimen­sione muti­lata e alie­nata dell’homo oeco­no­mi­cus. Su tutti que­sti tre lati gli argo­menti por­tati sol­le­ci­tano rifles­sioni impor­tanti.
In par­ti­co­lare, meri­te­rebbe un appro­fon­di­mento il tema della «deno­mor­ma­ti­viz­za­zione», su cui del resto i giu­ri­sti sono da tempo impe­gnati. In realtà non siamo solo di fronte ad un abbat­ti­mento di regole e norme appar­te­nenti alla seconda metà dello scorso secolo, ma anche — e soprat­tutto nell’ultima fase — ad una peri­co­losa «rinor­ma­ti­viz­za­zione» secondo i prin­cipi della più pura a-democrazia. Nel caso euro­peo que­sto è molto evidente.

La poli­tica insidiosa

Da diverso tempo a que­sta parte la Ue si è data, attra­verso un per­corso pro­dut­tivo di nuove norme e trat­tati, come il già citato fiscal com­pact, un robu­sto e com­plesso sistema di gover­nance. Que­sto sistema detta nuove norme agli stati mem­bri, fino a modi­fi­care le loro Costi­tu­zioni in punti rile­vanti. Come nel caso ita­liano ove la modi­fica dell’articolo 81 ha intro­dotto il pareg­gio di bilan­cio in Costi­tu­zione. Dire oggi, come pur­troppo non è infre­quente udire anche in discorsi alto­lo­cati quanto vuoti, che all’Europa man­che­rebbe un governo, è una pura scioc­chezza. Come anche dire che l’Europa è gover­nata solo dalle leggi dell’economia e che la poli­tica è fuori dalla porta. La poli­tica demo­cra­tica cer­ta­mente, ma non la poli­tica tout court.

Mario Dra­ghi, in un discorso tenuto all’Università di Hel­sinki, nel novem­bre del 2014, affer­mava che: «una dif­fusa erro­nea con­ce­zione sull’Unione Euro­pea – e la zona euro – è che esse siano unioni eco­no­mi­che senza una sot­to­stante unione poli­tica. Ciò riflette un pro­fondo equi­voco di cosa signi­fi­chi unione eco­no­mica: essa è per sua natura poli­tica». Egli ci ricorda una verità sostan­ziale, cur­van­dola però al suo punto di vista: che il capi­ta­li­smo, anche nella sua ver­sione più dichia­ra­ta­mente libe­ri­sta, non esi­ste – e non è mai esi­stito aggiun­gono gli sto­rici dell’economia come Marc Bloch — senza il sup­porto dello Stato. Il per­corso fin qui fatto dall’Europa è stato solo appa­ren­te­mente pura­mente eco­no­mico. È vero che si è comin­ciato dal car­bone e dall’acciaio. Ma, appunto, quella era eco­no­mia reale, da cui muo­veva un certo tipo di gover­nance poli­tica. Ora siamo den­tro un’economia domi­nata dalla finanza e la sua gover­nance poli­tica è imper­scru­ta­bile e imper­mea­bile al volere popo­lare quanto lo sono le sue isti­tu­zioni eco­no­mi­che. Ma non per que­sto non esiste.

Un mondo di interessi

Le cose non vanno meglio se si esce dal nostro con­ti­nente. Gra­zie all’apporto dei voti social­de­mo­cra­tici ha fatto altri passi in avanti il fami­ge­rato Ttip, l’accordo «com­mer­ciale» tra Usa e Ue. Al suo interno è pre­vi­sta la pos­si­bi­lità che le mul­ti­na­zio­nali fac­ciano ricorso con­tro stati o enti locali se que­sti attuano prov­ve­di­menti che pos­sono limi­tare la ven­dita dei loro pro­dotti o essere con­si­de­rati lesivi della loro libertà com­mer­ciale. La que­stione non ver­rebbe risolta nei tri­bu­nali ma in sede extra­giu­di­ziale, tra­mite una cupola di supe­re­sperti chia­mati a diri­mere il con­ten­zioso. Si dere­go­la­menta e si anni­chi­li­sce il ruolo della giu­sti­zia e delle sue pro­prie sedi da un lato; dall’altro si costrui­sce un’impalcatura total­mente estra­nea alle logi­che demo­cra­ti­che e coe­rente con la supre­ma­zia degli inte­ressi dell’impresa iden­ti­fi­cati come inte­resse gene­rale non della nazione ma di un intero con­ti­nente e sistema mondo.

Per que­sta ragione la rispo­sta non può che essere poli­tica, ma non poli­ti­ci­sta. Deve con­te­nere una pro­po­sta di nuovo modello di svi­luppo e una nuova e coe­rente idea di demo­cra­zia, di società, di per­sona. È vero, la ter­mi­no­lo­gia – nuovo modello di svi­luppo — qui usata è un po’ d’antan. Le parole sono con­su­mate, come i sassi di Gino Paoli, dal tempo e soprat­tutto dal pes­simo uso fat­tone. Ma non vi è altro ter­mine più pre­ciso, per­lo­meno non ancora, per indi­care che non solo di distri­bu­zione della ric­chezza esi­stente biso­gna occu­parsi, anche se con cri­teri inno­va­tivi e tra­sfor­ma­tivi degli attuali assetti, come nel caso del basic income, ma soprat­tutto di radi­cale modi­fi­ca­zione degli oggetti, delle fina­lità e delle moda­lità della pro­du­zione.
Dalla crisi più lunga di sem­pre non si esce rilan­ciando vec­chi modelli pro­dut­tivi, ma con una rivo­lu­zione strut­tu­rale che indi­rizzi la pro­du­zione verso la sod­di­sfa­zione dei biso­gni basici e maturi delle popo­la­zioni. Con un ruolo fon­da­men­tale del pubblico.

Se alcuni pre­ve­dono una ripresa senza lavoro, la nuova sini­stra non può accet­tare l’idea di una jobless society. Il tema della ricerca della piena e buona occu­pa­zione va quindi ripen­sato, ma non espunto. La risog­get­ti­viz­za­zione dell’agente eco­no­mico — per usare le parole di Laura Pen­nac­chi -, la rico­stru­zione del nuovo sog­getto dell’economia non pos­sono avve­nire senza una riva­lo­riz­za­zione del lavoro in tutte le sue anti­che e più moderne forme. Il capi­ta­li­smo ha mostrato nella sua lunga sto­ria di avere diverse facce. È dun­que «rifor­ma­bile», ma all’interno del suoi con­fini e ai suoi fini ripro­dut­tivi. Il suo supe­ra­mento, la tra­sfor­ma­zione, non può avve­nire senza sog­getti forti, resi­stenti alla sua cami­cia di forza.

Risultati immagini per laura pennacchi

Babelezon bookstore leggi che ti passa

Articoli correlati

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.