Il suicidio del Pd e il futuro nero dell’Italia

per Gian Franco Ferraris

Il suicidio del Pd e il futuro nero dell’Italia

Al disastro elettorale del Pd corrisponde uno stato di totale confusione mentale, una vera follia che ha colpito tutti i dirigenti e i militanti sui social: ieri, all’unisono, tutti erano preoccupati per il carattere eversivo della destra e del rischio che corre la Carta costituzionale democratica e d’altra parte tutti, proprio tutti avevano alzato un muro contro i 5 stelle e si sono presentati accompagnati dal solo Di Maio alle elezioni. E’ matematico che con una legge elettorale truffa (fatta dal Pd al tempo di Renzi) che premia le coalizioni, se al Pd non andava bene l’alleanza con Conte significa che si apriva una autostrada, “un campo largo”, al governo della Meloni. Adesso sostengono che il pericolo è quello della destra, del fascismo?

La destra con il 44% non avrebbe certo vinto, anzi stravinto, le elezioni se il Pd avesse fatto una alleanza elettorale con il Movimento 5 Stelle. Letta si è presentato insieme a Fratoianni e Bonelli, che hanno sempre votato contro il governo e sulle scelte sulla guerra. Incomprensibile. Anche la motivazione addotta, cioè che i 5 Stelle hanno fatto cadere il governo Draghi, è una fandonia (come ha spiegato Conte, il decreto non approvato dai 5 Stelle era evidentemente una provocazione). Il Pd avrebbe pareggiato e forse vinto le elezioni, perché l’elettorato di Conte e quello del Pd sono non solo compatibili ma addirittura complementari; il M5S è radicato soprattutto al sud e il Pd nelle città, fatto che avrebbe consentito di vincere la maggior parte dei collegi uninominali.

Nella giornata di ieri i capi corrente del Pd si sono detti d’accordo nell’anticipare il congresso. I nomi dei candidati alla sostituzione di Letta si rincorrono da mesi: il presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, il sindaco di Bari Antonio De Caro, il vicesegretario Peppe Provenzano, la new entry Elly Schlein (non tesserata).

Bonaccini, da tanti indicato come il favorito, già ieri tentava di togliersi di dosso il volto dell’ex renziano e indossava la maschera del leader che sostiene la necessità di ricostruire anche con il Movimento di Conte.

L’unità del partito faticosamente e fragilmente raggiunta con la segreteria di Enrico Letta (che è il più idoneo del Pd a fare il segretario ed era stato richiamato in modo accorato dall’esilio dignitoso a Parigi – dopo la coltellata di Renzi), al tempo della rielezione di Mattarella e delle amministrative di primavera, rischia di trasformarsi molto presto nell’ennesimo “tutti contro tutti”.

Questa volta, tuttavia, non basterà cambiare un altro segretario, questa volta il Pd rischia di sparire.

Il Pd è un partito malato dalle radici. Il Pd a un passaggio cruciale: o riflette su se stesso e cerca di capire quali sono stati gli errori compiuti in questo decennio, oppure rischierà di scomparire. Questa volta non basterà cambiare un altro segretario.

Nei 14 anni di vita del Pd sono cambiati ben 10 segretari, alcuni sono scappati senza neanche una riunione (Veltroni, Zingaretti), Bersani ancora poco dopo il tradimento dei gruppi parlamentari sulla elezione del Presidente della Repubblica che ha condotto inopinatamente al Napoletano bis, ha salvato la pelle per un pelo. Il Pd era malato dapprima dell’avvento di Renzi, che è solo stato il frutto di un albero malato. No, non basterà cambiare segretario.

A fronte del cambiamento continuo di segretari c’è stato un andamento elettorale penoso:

 

PD 2008: 12.095.306 voti

PD 2013: 8.646.034 voti

PD 2018: 6.161.896 voti

PD 2022: 5.282.444 voti.

 

Non solo, in queste elezioni il Pd ha potuto contare sull’appoggio di tutte le principali testate giornalistiche (che hanno attaccato Conte in modo indecente) e sulla benevolenza della Tv di Stato – Ahimè!

Ricordo infine che tutti coloro che si sono alleati negli anni con il Pd sono morti: Psi, Alleanza democratica, Di Pietro, Sel, Articolo Uno. E ogni volta il Pd è sopravvissuto sempre più malconcio. Come se il Pd guidasse un’automobile in modo scellerato e gli altri seduti di fianco o sul sedile posteriore, picchiando contro un muro, ci lasciano la pelle mentre l’autista sopravvive con la testa sempre più malata. Quindi, sia Conte che Calenda forse sono scappati (al di là degli episodi) per istinto di sopravvivenza.

L’antipatia che suscitano i leader e i militanti del Pd andrebbe studiata in modo approfondito: scontentano l’elettorato di sinistra ma sono ritenuti “comunisti” da Calenda e da quelli di destra. Un mistero e se si legge lo statuto del Pd non c’è alcun riferimento alla sinistra e neanche all’uguaglianza tra gli uomini, il principale principio fondante della sinistra. Un incubo della società italiana attuale.

Per gli italiani il presente e il futuro sono a tinte fosche, hanno votato (26%) la Meloni, ma porteranno quella croce sulle spalle, non tanto per un ritorno al fascismo (la democrazia corre un rischio ancora maggiore con il pensiero unico Mainstream), ma per le ricette della loro politica: meno tasse e maggiori spese, come se lo Stato avesse risorse illimitate, autonomia differenziata delle Regioni. Se applicheranno le loro proposte sarà un disastro, non solo per le fasce popolari ma per tutta l’Italia.

L’unica novità di queste elezioni è stato il risultato del 15% del Movimento 5 Stelle con cui si è rigenerato su posizioni, candidati e un programma elettorale genericamente progressisti e una agenda sociale rispettabile. Il Pd si trova in un paesaggio politico mutato, nel proprio campo si trova non cespugli ma una forza politica consistente. Conte gode dal tempo del governo di buona popolarità, solo un poco appannata dopo attacchi di una violenza inaudita e subdola dei mass media, inoltre ha superato gli assalti di Di Battista e Casaleggio, l’ingombrante presenza di Grillo e le insidie quotidiane di Di Maio che evidentemente marcia a braccetto con Draghi ed esponenti del Pd, non si spiegherebbe altrimenti la sua fuoriuscita sul voto di fiducia a Draghi e l’alleanza dissennata con il Pd alle elezioni. Conte è stato un camaleonte, ha cambiato pelle: dal Conte 1, al Conte 2, alla campagna elettorale, ma ha dimostrato una tempra singolare e ha sempre mantenuto i nervi saldi e l’educazione. Questa è una flebile speranza, basta? No di certo.

Oggi il compito principale di un’azione politica che voglia essere qualcosa di più e di meglio che un impadronirsi del potere per soddisfare interessi personali e di gruppo, di ‘lobbies’, come si dice, più o meno lecite, è quello di interpretare i nuovi bisogni e i nuovi diritti, specie di coloro che le nostre società affluenti tendono a trascurare. La speranza che nuove generazioni di giovani intraprendano una nuova strada e condividano i valori essenziali della sinistra a partire dall’uguaglianza degli uomini e di difesa delle istituzioni democratiche. Il cammino sarà lungo, lunghissimo e irto di difficoltà nell’Italia attuale  Ma per costruire qualcosa di buono l’unico modo è quello di mettersi coraggiosamente per strada, e di non lasciarsi frenare dagli ostacoli frapposti degli interessi costituiti.

 

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