Fonte: La Repubblica
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di ENRICO FRANCESCHINI
LONDRA – La sterlina ha perso l’1 per cento del proprio valore sui mercati asiatici, scendendo al livello più basso degli ultimi dieci mesi, e ha aperto in calo anche sui mercati europei, confermando l’ansia della comunità finanziaria per il referendum sull’indipendenza in programma fra dieci giorni in Scozia, dopo che il sondaggio pubblicato ieri dal Sunday Times ha messo per la prima volta in testa, 51 a 49 per cento, i “sì” alla secessione. La possibilità che il 18 settembre la Gran Bretagna perda la regione a nord dello storico vallo di Adriano ha spinto il governo conservatore e l’opposizione laburista a unire le proprie forze come forse non accadeva dalla seconda guerra mondiale: domani il primo ministro David Cameron, con il pieno appoggio del leader del Labour Ed Miliband, dovrebbe annunciare un piano denominato “devo maxi” ossia devolution alla massima potenza, che prometterà più autonomia e maggiori poteri per la Scozia in campo fiscale, di budget e del welfare se resterà parte dell’unione. Ma secondo indiscrezioni raccolte dal Financial Times la campagna del “no” all’indipendenza “è nel caos” e fra i Tories ci sarebbero già state riunioni per discutere l’ipotesi di dimissioni di Cameron se la Scozia voterà per la secessione. “Sarebbe un risultato tragico per il nostro paese”, scrive stamane sul
Telegraph, dove ha una rubrica settimanale, il sindaco di Londra Boris Johnson, che da tempo aspira notoriamente a prendere il posto di Cameron a Downing street e che potrebbe farlo se venisse eletto deputato (pur mantenendo per ora la carica di primo cittadino della capitale) in un’elezione suppletiva prevista a breve.
In arrivo il secondo “Royal Baby”: può influire sul referendum
L’allarme per la scelta indipendentista domina oggi tutta la stampa nazionale e i notiziari televisivi. È come se Londra si fosse improvvisamente resa conto che un evento dato per impossibile sta invece per diventare realtà. “Abbiamo dieci giorni per salvare l’Unione” titolano il Telegraph e l’Independent in prima pagina. “Non c’è altra questione più importante”, scrive il Guardian. E il tabloid Daily Mirror parla di un “Regno Dis-Unito” in cui Elisabetta II prega di “non diventare l’ultima regina di Scozia”.
I “no” all’indipendenza sono sempre stati in vantaggio nei sondaggi, con un margine che oscillava tra venti e dieci punti percentuali. Ma nelle ultime settimane si era ridotto a sei punti e poi domenica il Times ha pronosticato il sorpasso dei “sì”. Fra le ragioni citate dai commentatori per spiegare la rimonta degli indipendentisti c’è la campagna referendaria sbagliata di “Better Together” (Meglio Insieme, come si chiama il fronte unitario di conservatori e laburisti per il “no” alla secessione), che ha puntato sulla paura, cercando di spaventare gli scozzesi sulle conseguenze economiche dell’indipendenza (non potrete usare la sterlina come vostra monete, non entrerete automaticamente nell’Unione Europea, non saprete come tirare avanti quando finirà il petrolio del mare del Nord, e così via), anziché fornire loro motivi per sentirsi orgogliosi di essere britannici. Un altro errore imputato alla campagna per il “no” è stato quello di usare come leader e speaker due ex-politici sconfitti come l’ex-premier laburista Gordon Brown e l’ex-ministro del Tesoro laburista Alastair Darling, che hanno il merito di essere scozzesi ma mancano di carisma. D’altra parte sarebbe stato un suicidio inviare in Scozia a fare comizi dei politici conservatori, perché i Tories sono universalmente odiati a nord del vallo di Adriano e proprio la loro conquista del potere è uno dei motivi che spingono gli scozzesi verso l’indipendenza.
Un fattore che ha aiutato gli indipendentisti a guadagnare consensi è stata invece la vittoria di Alex Salmond, il premier del governo autonomo scozzese e leader del partito nazionalista, nei due dibattiti televisivi contro Darling che si sono tenuti in agosto. Con il suo tono pacato e tranquillo, Salmond ha convinto gli indecisi che l’indipendenza non sarebbe una rivoluzione ma porterebbe vantaggi per tutti. E infine, scrivono oggi i commentatori di Londra, Salmond è riuscito a mettere al centro del dibattito sul referendum “il cuore più del cervello”: se gli scozzesi voteranno con il sentimento più che con la ragione, è verosimile che dopo 300 anni di “colonizzazione inglese” gli scozzesi torneranno a essere una piccola nazione sovrana, come al tempo di Braveheart.