Israele vince, America e Iran perdono e la Turchia stravince

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Daniele Santoro
Fonte: Limes

Israele vince, America e Iran perdono e la Turchia stravince

L’attacco del 13 giugno è una vittoria totale dello Stato ebraico. Teheran si è definitivamente dimostrata debole e ha poche opzioni. Washington è costretta a seguire Netanyahu e il suo disegno di Medio Oriente, opposto a quello statunitense. Lo scontro avvantaggia Ankara.

Binyamin Netanyahu ha compiuto un capolavoro che resterà negli annali del Medio Oriente.

Non perché l’attacco senza precedenti avvenuto nella notte del 13 giugno ha verosimilmente riportato indietro di diversi anni il programma nucleare e decapitato i vertici militari iraniani. Il fatto geopolitico è che le violente incursioni israeliane hanno definitivamente eroso la residua credibilità della Repubblica Islamica. L’Iran è debole, in balia del suo miglior nemico. Incapace di reagire. Ridotto a implorare Israele.

Ma a rendere totale la vittoria di Netanyahu è l’impatto del suo azzardo sulla postura americana. Negli ultimi due mesi Donald Trump aveva inferto diversi colpi bassi al primo ministro israeliano. Legittimando la Turchia come potenza regionale, concedendo a Erdoğan il vicereame siriano, negoziando con l’Iran, sospendendo la guerra agli huthi mentre questi facevano il tiro al bersaglio su Tel Aviv, congelando la normalizzazione tra Israele e Arabia Saudita. Soprattutto, bloccando il precedente tentativo di Netanyahu di colpire la Repubblica Islamica. Trump si proponeva di raggiungere due obiettivi. Primo: fare in modo che le potenze regionali – Israele incluso – si contenessero a vicenda, dunque con un minimo dispendio di risorse da parte degli Stati Uniti e senza il coinvolgimento diretto americano nelle infinibili guerre mediorientali. Secondo: ottenere uno scenografico successo di politica estera a uso interno. Alla luce della straordinaria complessità della guerra – dunque della pace – in Ucraina, l’accordo sul nucleare con un Iran fragile e indebolito si prospettava occasione quasi irripetibile.

Carta di Laura Canali 2025

Netanyahu ha completamente riscritto le regole del gioco, dimostrando agli americani due cose. Israele può attaccare l’Iran anche senza il sostegno logistico e militare statunitense. E può farlo in modo devastante. Inoltre, ha restituito a Trump un colpo basso che vale per tutti quelli ricevuti nel recente passato: che senso ha negoziare con gli ayatollah riconoscendogli una posizione di forza che in realtà non hanno? Perché non tramortirli fino a prenderli per fame? Gaza docet. Tanto che il tycoon ha (malvolentieri) dovuto cavalcare la retorica di Bibi, annunciando molte ore dopo gli attacchi israeliani che “sapeva tutto” e intestandosi il successo dello Stato ebraico: voi iraniani non avete fatto l’accordo con me quando potevate farlo, ora se volete evitare altri attacchi israeliani non avete altra scelta che accettare il deal che vi propongo. Meglio, che a questo punto vi devo imporre. Al di là della propensione iraniana a cedere al ricatto, il problema è che a Netanyahu non interessa un accordo migliore sul nucleare iraniano. A Netanyahu interessa la guerra permanente contro chiunque possa anche solo lontanamente frapporsi alla dilatazione di Israele “dal fiume al mare”. Per Netanyahu la questione decisiva non è l’Iran, né il programma nucleare iraniano o il tipo di accordo con Teheran. La posta in gioco è la guerra permanente. L’Iran non è il Nemico e nemmeno un nemico. Israele non ne ha più bisogno. L’Iran è un teatro di guerra.

Non solo. Come dopo gli attacchi dello scorso ottobre, Netanyahu si è rivolto alla popolazione iraniana – in particolare ai giovani – invitandola a rovesciare il regime e offrendogli il sostegno israeliano. È il bacio della morte. Se prima del 13 giugno esisteva un’esigua possibilità che in Iran venisse instaurato un regime progressista, tendenzialmente filo-occidentale e simpatetico, o comunque non ostile, a Israele, tale eventualità è stata seppellita sotto le macerie dei palazzi di Teheran abbattuti dall’Aeronautica israeliana. È infatti biologicamente impossibile che i giovani persiani accettino l’umiliazione subita dalla loro trimillenaria tradizione imperiale fino a legittimarla. Dopo il 13 giugno il cambio di regime è più probabile che in passato. Ma il nuovo regime non sarebbe composto da giovani desiderosi di fare la pace con Israele per comprarsi l’ultimo modello di iPhone, bensì da un’oligarchia militare legittimata unicamente dalla guerra con lo Stato ebraico. Che diventerebbe permanente. È esattamente ciò che vuole Netanyahu.

Carta di Laura Canali – 2025

Il Medio Oriente immaginato dal primo ministro israeliano è diametralmente opposto a quello desiderato da Trump. E Bibi sta vincendo nettamente. Forse ha già vinto.

Anche e soprattutto per la manifesta inconsistenza militare della Repubblica Islamica. Non è escluso, è anzi molto probabile, che Trump puntasse sulla capacità di Teheran di difendersi da attacchi israeliani intrusivi come quello del 13 giugno. E invece la difesa persiana sembrava (quasi) quella dell’Inter in finale di Champions. Gli iraniani sono riusciti ad abbattere due aerei israeliani su duecento, mentre i restanti sciamavano nello spazio aereo nemico ammazzando e distruggendo a proprio piacimento. E come nelle precedenti occasioni, malgrado il “nuovo metodo”, la rappresaglia dell’Iran si è rivelata poco più di una carezza rispetto ai ganci al mento sferrati da Netanyahu. Qualche vittima civile, nessun serio danno alle infrastrutture e alle dotazioni militari israeliane. Con il paradosso che i (pochi) missili lanciati dai pasdaran e dagli huthi che riescono a superare l’Iron Dome finiscono spesso per uccidere o ferire dei palestinesi – è ormai evidente che gli sciiti siano piuttosto carenti nell’arte di centrare un bersaglio nemico qualsiasi.

Ed è proprio la devastante sconfitta subita dalla Repubblica Islamica nella prima, vera battaglia della guerra contro Israele a rendere quasi impraticabile l’unica via d’uscita, l’accordo Usa-Iran (non solo sul nucleare). A questo punto, vista l’imbarazzante debolezza dei persiani, Trump non può più fare concessioni agli ayatollah, pena passare per criptosciita. D’altra parte, qualsiasi cedimento negoziale di Khamenei verrebbe ora interpretato come conseguenza dell’attacco israeliano. Ammissione di sconfitta. Il regime ne uscirebbe nella migliore delle ipotesi destabilizzato. Resta da capire se gli ayatollah ritengano più pericoloso per la tenuta del sistema ingaggiare una guerra permanente contro Israele che si annuncia costellata di violente e dolorose sconfitte o accettare un accordo con l’America che sancirebbe immediatamente la sconfitta evitando la guerra. Quel che è certo è che i persiani hanno sbagliato i tempi, come spesso gli accade. Pensare in prospettiva secolare – in entrambe le direzioni temporali – comporta grandi vantaggi strategici. Ma se il tuo nemico ragiona in termini di secondi, rischi di commettere errori tattici che rendono insostenibile la grande strategia. Netanyahu, che pure era in svantaggio, ha usato l’America meglio di quanto abbiano fatto gli ayatollah, cui pure Trump aveva offerto un’occasione probabilmente irripetibile.

Dunque, America e Iran perdono. Israele vince. E Turchia stravince. Ankara è il vertice – in senso proprio – del triangolo mediorientale. In quanto tale la sua condizione geopolitica viene influenzata dalla guerra – ormai conclamata – tra Iran e Israele indipendentemente dal suo (non) coinvolgimento o dalla sua reazione. A bocce anatoliche ferme. Innanzitutto perché lo strabiliante capolavoro di Netanyahu ha confermato quanto Erdoğan va predicando da anni, ormai da decenni. Gli americani vanno usati. Non solo perché non sono (più) in grado di usare gli altri, ma perché non sono (più) in grado di usare sé stessi. Il che divide il resto del mondo – non solo i clienti della superpotenza – in due categorie nettamente separate: chi sa usare l’America e chi non lo sa fare. I paesi che appartengono alla seconda categoria e che hanno un minimo senso della realtà cominciano a tremare. Lungo il Nilo, ad esempio, si odono distintamente le vibrazioni. I vassalli si sentono orfani, cercano adozione. E i turchi sono dilaniati dal desiderio di maternità imperiale.

L’Iran è ormai posta in gioco. Israele vuole la guerra permanente, la Turchia agogna la Pax Anatolica. Sarà la partita del secolo.

Carta di Laura Canali – 2025

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