di Alfredo Morganti – 22 febbraio 2016
“Noi dobbiamo costruire le condizioni per dare funzione sociale e politica al lavoro”. Lo ha detto Stefano Fassina a ‘Cosmopolitica’. A me sembra davvero un ottimo avvio, perché la sinistra deve sempre ripartire dal lavoro, quello che c’è e quello che non c’è. Anche perché la situazione di partenza è davvero drammatica, come si sa, peggiorata peraltro dal jobs act renziano, a partire dalle tutele. Siccome pare che adesso contino solo i numeri, e il premier è il primo a sbandierarli come se sanassero ogni possibile discussione, allora rammentiamoli. Sono i numeri di una politica del lavoro che, a fronte di 1,8 miliardi di euro di incentivi messi in campo dal governo (mica noccioline), ha prodotto la poca roba raccontata dai dati Inps la scorsa settimana, che io riprendo direttamente dalle pagine di Repubblica.
Vediamoli a cascata, questi numeri, che così fanno ancora più effetto. L’inps dice che nel 2015 sono stati sottoscritti 5.408.804 contratti di lavoro. Di questi, quelli a tempo indeterminato sono 1.870.959 (circa un terzo). Di questi ultimi, tolte le ‘trasformazioni’ di vecchi contratti di apprendistato o a tempo determinato, i veri rapporti aggiuntivi sono stati 186.048, ossia il 3,43% dei circa 5 milioni circa di contratti totali. Giulio Marcon nel suo blog sull’HuffPost, a fronte dei suddetti 1,8 miliardi di euro spesi quale incentivo per ottenere questo scarno effetto ‘zero virgola’, scrive che “si sarebbero creati molti posti di lavoro in più se ci fosse stato un vero Piano del Lavoro”. Ecco.
Continuiamo coi numeri. Il 41% di quelli a tempo indeterminato sono solo contratti part time, nel 64% dei casi pure involontario. I beneficiari sono stati soprattutto gli uomini (61,8%) e gli over 30 (75% circa, contro il 25% degli under 30). Con ciò rafforzando l’attuale situazione che già prevedeva svantaggi per donne e giovani: altro che ‘change’. Nel frattempo, il premier inneggia nelle sue slides a 764.000 posti di lavoro a tempo indeterminato in più, che poi sarebbero la somma esatta dei 186.048 contratti di lavoro ‘aggiuntivi’ (il vero lavoro in più) sommati ai 578.081 che sono invece frutto delle stabilizzazioni sgravate fiscalmente. Ebbene, l’informazione sarebbe stata più corretta se il segno positivo fosse stato messo sul lavoro effettivamente ‘aggiuntivo’ (il 3,43% dei contratti totali 2015), non in generale sui contratti a tempo indeterminato (ossia diversamente precari, appunto il jobs act). Anche se mi rendo conto che celebrare un ennesimo zero virgola, dopo i tanti boatos propagandistici di questi mesi, sarebbe stato persino più ridicolo che controproducente.