La comunicazione al tempo di facebook….

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Angelica Lubrano
Fonte: facebook

di Angelica Lubrano – 3 febbraio 2015

Ogni scoperta determina, com’è evidente, profondi mutamenti nella storia dell’umanità: l’agricoltura  si sviluppò  grazie alla capacità di trasmettere le conoscenze attraverso l’articolazione del linguaggio; la scrittura  portò l’umanità fuori dalla preistoria;  la stampa favorì  l’accesso alla cultura di più larghi strati sociali  e la circolazione  delle idee di uguaglianza e libertà che hanno poi dato luogo alle moderne democrazie.

Paradossalmente gli attuali strumenti di comunicazione hanno rischiato di diventare strumenti di asservimento di massa: la radio permise a Mussolini e a Hitler di diffondere il loro verbo sino nelle lande più periferiche dei rispettivi Paesi, coartando comunità intere all’obbedienza. La TV dell’era democristiana aveva una esplicita finalità di controllo dei costumi nazionali.  La TV commerciale ha permesso a Berlusconi di condizionare non solo gli acquisti, ma anche le scelte elettorali di gran parte degli  Italiani.

Ora ci troviamo di fronte a un nuovo potente strumento di comunicazione: il web. Si profila una convinzione di onnipotenza, di controllo di tutto lo scibile che deriva dalla possibilità di accesso alla più grande biblioteca della storia: Google ha digitalizzato 30 milioni di libri; Wikipedia, oggi l’opera più consultata al mondo,  a sua volta, presenta 30 milioni di voci in 287 lingue; in 24/48 ore si produce la stessa quantità di informazioni di tutti i 5 mila anni prima del web.  L’ubriacatura è totale, si moltiplicano le opzioni a nostra disposizione: possiamo acquistare merci, prenotare viaggi, ascoltare musica, giocare con avversari sconosciuti e anonimi, scaricare film, documenti, immagini, leggere giornali, libri, consultare leggi, collegarci con amici e parenti dall’altra parte del mondo,  svolgere, infine, attività di lavoro su un computer senza muoverci da casa.

Sembra che anche le varie primavere arabe abbiano avuto il “la” dalla diffusione di internet, che ha portato un vento di libertà fra le nuove generazioni…..

I nativi digitali stanno facendo emergere un distacco profondo con le vecchie generazioni spesso autoescluse dai nuovi linguaggi informatici.

I social network come facebook  permettono di trovare l’anima gemella o semplicemente persone che condividono idee e progetti con cui costruire una comunità, sparpagliata in chilometri di distanza,  ma incredibilmente coesa e affine nei gusti e nella visione esistenziale.

 Ma il primo scotto da pagare  sembra essere la perdita di ogni socialità reale. Se la già vituperata TV aveva ristretto al salotto familiare la vita sociale di ogni individuo, dall’infanzia con i cartoni animati,  ai nonni con le telenovele, ora sembra apparentemente allargarsi a dismisura la platea dei contatti, attraverso un  “mi piace- non mi piace” semplificato,  ma la relazione fisica con “l’altro” svanisce,  sostituita da un solipsismo claustrofobico che trova sfogo in una dimensione virtuale di socialità.

Al momento ignoriamo le conseguenze sociali della sbronza informatica, ma possiamo già avvertire una pericolosa diffusione di fenomeni inquietanti di deresponsabilizzazione collettiva: nascosti sotto un nickname, nel chiuso della propria camera da letto, il web è diventato per molti lo “sfogatoio” di frustrazioni,  di rancori e di invidie. Con un tweet uomini e donne  possono  urlare tutto il livore di esistenze rancorose a chiunque rivesta un ruolo istituzionale. Spesso l’analfabetismo di ritorno, la deprivazione culturale e la povertà degli strumenti linguistici in possesso di questi individui si manifestano con  un turpiloquio che nulla ha da invidiare a quello del peggiore postribolo d’angiporto.

Siamo di fronte a una nuova rivoluzione industriale: dopo la meccanica e la robotica, l’informatica realizzerà merci e prodotti su misura del cliente, assecondandone le esigenze e i gusti personali e fidelizzandolo con assistenza e servizi  mirati: l’auto personalizzata sostituirà quella in serie…..

 Come sarà l’uomo del futuro?  Quali saranno le mutazioni genetiche che la rivoluzione informatica produrrà? Una mano .mouse? Il collo anchilosato?  Occhi perennemente arrossati? Si moltiplicheranno le cliniche di disintossicazione da overdose di PC, tablet, smartphone?

Mi auguro nel frattempo che si recuperi un minimo di netiquette  nei social network: già usciamo poco la sera per timore di agguati, vorrei poter navigare senza temere ogni volta di imbattermi in qualche malintenzionato  😉

  http://espresso.repubblica.it/attualita/2014/12/18/news/siamo-tutti-sudditi-di-google-e-facebook-1.192553?ref=HEF_RULLO

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2 commenti

fausto 2 Giugno 2017 - 20:38

TASTO MATTO

di Fausto Corsetti

Carta profumata, bigliettini con disegni, frasi che davano spazio ai sentimenti. Oggi, invece, le emozioni passano attraverso i tasti, poco cambia se del cellulare o del computer.
Dalle lettere che coprivano lunghe distanze impiegando giorni e giorni per giungere a destinazione, alle e-mail che ci arrivano qualche attimo dopo l’invio, alle chat o agli sms tramite i quali ci si può scrivere avendo una risposta nel tempo necessario per scriverla.
Gli anni passati si son fatti meno auguri a voce e per telefono e anche per e-mail; e tantissimi via social network, magari “urbi et orbi”. Ci sono stati meno incontri anche brevi per salutarsi. In compenso, nei momenti in cui si riusciva a tirare il fiato, si andava online. Per scambiare due chiacchiere con qualcuno che non fosse un cognato; per fare battute sugli ultimi strani eventi italiani; per rincuorare tutti, a metà pomeriggio del 25 dicembre, con dei “forza e coraggio” a sindrome influenzale galoppante. Poi magari ci si è visti con gli amici. I soliti. Non quelli, magari centinaia, che abbiamo su Facebook. E che stanno portando la parte “più evoluta” del pianeta, insomma i milioni e milioni di Facebook, quelli di Twitter e gli altri, a ridefinire il concetto di amicizia. Non più legame affettivo e leale tra affini che fa condividere la vita e (nella letteratura classica) la morte. Assai più spesso, un contatto collettivo. Non più una frequentazione continua fatte di serate, discussioni, reciproche consolazioni. Casomai, un dialogo virtuale fatto di battute tra individui che quando va bene hanno incrociato i propri sguardi due volte…
Tempi di “social networking”: l’amicizia si sta evolvendo, da relazione a sensazione. Da qualcosa che le persone condividono a qualcosa che ognuno di noi abbraccia per conto proprio. E non è poi raro che, dopo certi pomeriggi domenicali passati a chattare, ci si senta non appagati, guarda caso, lievemente angosciati e col mal di testa.
In tanta pantagruelica abbuffata di parole la comunicazione e il modo di scrivere sono lentamente e inesorabilmente cambiati.
Ci siamo tutti impoveriti nel linguaggio. Un buon discorso fatto fra due o più persone, nel passare da vocale a scritto, ha perso tutto il fascino di una tranquilla chiacchierata tra amici: non ci si guarda più in faccia per dirsi qualcosa ma si rimane incollati a schermi e schermucci a “pestare” o “lisciare” una tastiera, aspettando una risposta dall’altro.
Guardarsi negli occhi mentre ci si parla è importante perché lo sguardo rispetto alle parole esprime meglio i concetti, i sentimenti, gli stati d’animo. E’ troppo comodo mascherarsi dietro uno schermo ed esprimere ciò che si pensa piuttosto che affrontare la conversazione a viso aperto.
E’ innegabile d’altro canto che questo sia uno strumento comodo e veloce per comunicare e trasmettersi informazioni o materiale, ma – come tutte le cose – anche questo deve essere adoperato nel giusto modo perché risulti veramente utile e non diventi un alibi, un paravento dietro cui nascondersi per paura di affrontare l’interlocutore faccia a faccia.
Da tutta la tecnologia che ci “avvolge” e continuerà ad avvolgerci non trarre beneficio sarebbe forse poco intelligente, l’importante è usarla con raziocinio e quando realmente serve, e non per pigrizia o altro; ci deve aiutare a semplificare le cose non a renderci più pigri; avari persino nella possibilità di scambiarsi uno sguardo, un sorriso.
Anche una mano che accarezza, se non è accompagnata da uno sguardo che sostiene e che avvolge, non è efficace e convincente. Sono infinite le parole che possiamo scrivere o pronunciare , ma solo poche quelle che restano, che riescono ad abitare le stanze interiori del cuore.

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fausto 8 Giugno 2017 - 10:23

TASTOFOLLIA

di Fausto Corsetti

Carta profumata, bigliettini con disegni, frasi che davano spazio ai sentimenti. Oggi, invece, le emozioni passano attraverso i tasti, poco cambia se del cellulare o del computer.
Dalle lettere che coprivano lunghe distanze impiegando giorni e giorni per giungere a destinazione, alle e-mail che ci arrivano qualche attimo dopo l’invio, alle chat o agli sms tramite i quali ci si può scrivere avendo una risposta nel tempo necessario per scriverla.
Gli scorsi anni si son fatti meno auguri a voce e per telefono e anche per e-mail; e tantissimi via social network, magari “urbi et orbi”. Ci sono stati meno incontri anche brevi per salutarsi. In compenso, nei momenti in cui si riusciva a tirare il fiato, si andava online. Per scambiare due chiacchiere con qualcuno che non fosse un cognato; per fare battute sugli ultimi strani eventi italiani; per rincuorare tutti, a metà pomeriggio del 25 dicembre, con dei “forza e coraggio” a sindrome influenzale galoppante. Poi magari ci si è visti con gli amici. I soliti. Non quelli, magari centinaia, che abbiamo su Facebook. E che stanno portando la parte “più evoluta” del pianeta, insomma i milioni e milioni di Facebook, quelli di Twitter e gli altri, a ridefinire il concetto di amicizia. Non più legame affettivo e leale tra affini che fa condividere la vita e (nella letteratura classica) la morte. Assai più spesso, un contatto collettivo. Non più una frequentazione continua fatte di serate, discussioni, reciproche consolazioni. Casomai, un dialogo virtuale fatto di battute tra individui che quando va bene hanno incrociato i propri sguardi due volte…
Tempi di “social networking”: l’amicizia si sta evolvendo, da relazione a sensazione. Da qualcosa che le persone condividono a qualcosa che ognuno di noi abbraccia per conto proprio. E non è poi raro che, dopo certi pomeriggi domenicali passati a chattare, ci si senta non appagati, guarda caso, lievemente angosciati e col mal di testa.
In tanta pantagruelica abbuffata di parole la comunicazione e il modo di scrivere sono lentamente e inesorabilmente cambiati.
Ci siamo tutti impoveriti nel linguaggio. Un buon discorso fatto fra due o più persone, nel passare da vocale a scritto, ha perso tutto il fascino di una tranquilla chiacchierata tra amici: non ci si guarda più in faccia per dirsi qualcosa ma si rimane incollati a schermi e schermucci a “pestare” o “lisciare” una tastiera, aspettando una risposta dall’altro.
Guardarsi negli occhi mentre ci si parla è importante perché lo sguardo rispetto alle parole esprime meglio i concetti, i sentimenti, gli stati d’animo. E’ troppo comodo mascherarsi dietro uno schermo ed esprimere ciò che si pensa piuttosto che affrontare la conversazione a viso aperto.
E’ innegabile d’altro canto che questo sia uno strumento comodo e veloce per comunicare e trasmettersi informazioni o materiale, ma – come tutte le cose – anche questo deve essere adoperato nel giusto modo perché risulti veramente utile e non diventi un alibi, un paravento dietro cui nascondersi per paura di affrontare l’interlocutore faccia a faccia.
Da tutta la tecnologia che ci “avvolge” e continuerà ad avvolgerci non trarre beneficio sarebbe forse poco intelligente, l’importante è usarla con raziocinio e quando realmente serve, e non per pigrizia o altro; ci deve aiutare a semplificare le cose non a renderci più pigri; avari persino nella possibilità di scambiarsi uno sguardo, un sorriso.
Anche una mano che accarezza, se non è accompagnata da uno sguardo che sostiene e che avvolge, non è efficace e convincente. Sono infinite le parole che possiamo scrivere o pronunciare , ma solo poche quelle che restano, che riescono ad abitare le stanze interiori del cuore.

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