La democrazia morente nell’Europa perduta

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Massimo Cacciari
Fonte: La stampa

La democrazia morente nell’Europa perduta

Alle 23 di domenica poco più della metà dei cittadini europei aventi diritto era andata a votare. Al Sud d’Italia il 40%. Incredibile ma vero nessuno ne terrà conto. La forma è salva, della sostanza chi se ne frega. La democrazia si sfalda lentamente quanto inesorabilmente, nella indifferenza di tutti i democratici (e oggi tutti dichiarano di esserlo). Le forze politiche che hanno cercato di praticarla nella sua sostanza progressiva dalla fine della seconda Grande Guerra, da quelle popolari di ispirazione cristiana a quelle socialdemocratiche, sostanzialmente alleate, fino ai Reagan e alle Thatcher, nel volere una presenza dello Stato capace di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana», quelle forze politiche proseguono nella loro inarrestabile decadenza. Irresponsabilmente vi è chi, da ciò che resta di un Grande Centro europeo, canta vittoria, mentre Macron è calpestato dalla Le Pen, crolla il governo belga, e in Germania e in Austria le gloriose rovine della SPD sono superate dall’estrema destra. Davvero una bella Mitteleuropa! Basta agli attuali governanti restare in sella, barcollanti finché si vuole – e soprattutto non chiedersi mai le ragioni della profonda crisi dell’idea stessa di Europa. La buona notizia è che i numeri daranno la possibilità di escludere ancora la destra più becera dalla governance dell’Unione; la pessima è che questo “successo” metterà ancora a tacere ogni riflessione critica seria sui nostri destini.

Occorre proprio non voler comprendere nulla della drammaticità della situazione per affermare che beh sì, bene o male, gli “europeisti” ce l’hanno fatta. Due sono gli eventi davvero storici di queste elezioni: Macron doppiato da parte della Le Pen e il superamento del Partito Socialdemocratico tedesco da parte dell’estrema destra dell’AfD. Si tratta dei Paesi centrali per ogni discorso o disegno che voglia mirare all’unità politica europea. Non si costruiscono unità politiche di nessun tipo in assenza di forze costituenti in grado di guidarle. Un mucchio di Stati e staterelli a caccia di identità, da un lato, e aiuti economici, dall’altro, potranno al massimo – e perché così vogliono grandi interessi finanziari – mantenere l’unità di mercato e monetaria. Ora né Germania né Francia, né qualsiasi assicella tra loro, potranno svolgere un tale ruolo. Non è una novità, si potrebbe dire. La Germani ha perso la storica occasione di essere leader di una nuova Europa massacrando il pilastro della coesione e solidarietà durante le crisi del 2006 e quella greca, mentre la Francia mai l’ha avuta se non per qualche patetica declamazione di grandeur. L’Europa si sveglia da queste elezioni senza più neppure la speranza di un possibile federatore politico.

La Von der Leyen ha ragione d’essere soddisfatta. Anche se si confermerà, come credo sia inevitabile, la coalizione tradizionale, sarà la sua linea a prevalere nettamente, e cioè una linea di assoluta conservazione in materia sociale e in politica internazionale. Né poteva essere diversamente, poiché l’area socialdemocratica si è presentata a questo confronto senza alcuna piattaforma comune né sulle riforme necessarie per fare della governance europea qualcosa che somigli a una democrazia, né per superare gli attuali paurosi squilibri in politiche sociali e fiscali. Ancora meno gli eredi dei Brandt e dei Mitterand hanno aperto bocca per dir qualcosa di diverso dal Centro popolare sulla politica internazionale e sulle tragedie cui stiamo assistendo senza aver voce in capitolo. Il gruppo socialdemocratico è così destinato ad accodarsi alla Von der Leyen ancora peggio di come è avvenuto finora – e di ciò non sarà lietissima neppure la nostra Meloni. Per avere, comunque, un’idea più chiara dello svolgimento della situazione credo occorrerà attendere le elezioni politiche in Francia. Mossa politica forte di Macron: non mi farò cuocere a fuoco lento – se i miei concittadini vogliono la Le Pen dovranno digerirsela tutta insieme e intera. Ma logora davvero Il potere? Macron ha letto Andreotti?

A proposito delle faccende domestiche: il campione di italiani che è andato a votare qualche indicazione logica l’ha fornita. L’area di destra è saldamente presidiata da FdI e la concorrenza salviniana non esiste. Saprà la Lega trarne le logiche conseguenze prima di precipitare anche nelle roccaforti nordiste? Il PD che si rimette almeno a parlare di politiche sociali, che finalmente fornisce di sé almeno un’immagine post-renziana e post-lettiana, recupera qualche punto dai 5Stelle. Basterà per avviare un mini-dialogo tra i due così da poter immaginare una vera politica dell’opposizione? Anche i ballottaggi per le Amministrative potrebbero fornire qualche indicazione ai naviganti. Ovvio che parlare di risorto bipolarismo è ridicolo. I “poli” son tutto fuorché poli, la strategia dell’uno e dell’altro appena sbozzata. La massa dell’astensione rende gassosa ogni previsione; i voti sono imprestati e tolti come promesse di marinaio.

La verità, che nessuno ammetterà, è che l’unità politica dell’Europa sta trasformandosi in un fantasma. Gli Stati fondatori conoscono la crisi forse definitiva dei soggetti politici che l’avevano pensata. Gli Stati che via via si sono aggregati concepiscono l’unità in funzione e in difesa dei propri interessi nazionali e non nel senso di una limitazione della propria sovranità. Nessuno di loro accetterebbe mai l’art. 11 della nostra Costituzione. Su tutto questo incombono le elezioni americane. L’Occidente, piaccia o no, dalla prima Grande Guerra non è più europeo, ma americano. L’ultima parola spetta per forza e per diritto a questo Impero, e, incredibile dictu, a pronunciarla, salvo catastrofi dell’ultima ora, saranno Biden o Trump…

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