di Alfredo Morganti – 22 gennaio 2018
La società senza mediazioni
Il ‘Rapporto Demos’ su ‘Gli Italiani e lo Stato’ è illuminante. Certifica che molti, moltissimi italiani non pensano affatto ai partiti quando parlano di democrazia e ritengono che la democrazia stessa non sia preferibile necessariamente ad altre forme di governo, in primis autoritarie. Si tratta degli stessi italiani che propendono per un uomo forte alla guida del Paese. Gli elettori di ‘Liberi e Uguali’ rappresentano un felice controtendenza a questo andazzo, ma ciò non toglie la grande preoccupazione verso il panorama generale. Diciamo la verità: oggi chi parla di centralità del Parlamento, di necessità dei partiti e di insuperabilità della democrazia esprime una tendenza ostinata e contraria a quanto circola torbidamente nel Paese. Le posizioni dei partiti, che oggi sono succubi dei sondaggi per ragioni anche di marketing politico, risentono di questa circolazione di pensiero e, di conseguenza, la alimentano a fini di consenso. È un ossequio alla ideologia dominante, ai luoghi comuni diffusi, a un’egemonia culturale perduta, che spinge il corpo politico verso una pericolosa deriva.
È vero, Demos dice anche che cresce la ‘partecipazione’. Ma che significa, come intenderla? Alimentare un gruppo di discussione su fb è ‘partecipazione’? E cliccare sul web? Oppure aderire a un’associazione? O recarsi estemporaneamente alle riunioni di un comitato di quartiere? La verità è che la semplice adesione a temi politici o sociali, il semplice esercizio del diritto a esprimere pubblicamente opinioni, le forme di solidarietà o di impegno civico (per quanto lodevoli) non sono partecipazione. Senza ‘organizzare’ questa partecipazione, senza incanalarla in direzione dello Stato, senza stare da presso alle amministrazioni pubbliche, e senza che ciò avvenga in forme collettive, di massa, consapevoli, continuative, il ‘movimento’ di donne e uomini non produce alcunché, è solo attivismo, perché solo in forme molto ampie si può ambire a smuovere l’opinione pubblica e a determinare cambiamenti effettivi nei contenuti di governo. Per il resto siamo ancora nella sfera della morale, lodevolissima, ma priva di concrete ripercussioni politiche.
Senza i partiti, senza quello che i partiti significano come tramite verso lo Stato, e senza le forme di rappresentanza che attivano nelle istituzioni, non c’è partecipazione. Senza la promozione di un’educazione diffusa alla politica partecipata, collettiva, organizzata, agitarsi non produce davvero alcunché di reale. Al massimo la chiacchiera. Al massimo ondate di opinione pubblica, che i media si mangiano in un boccone e l’attuale classe politica ‘curva’ subitaneamente verso il proprio interesse di potere. Si fa presto a dire ‘cambiamento’, se poi non si conducono davvero dei cittadini organizzati e consapevoli alle soglie dello Stato. Se poi non c’è protagonismo effettivo. L’uomo forte, la democrazia plebiscitaria e populista, gli attuali strani partiti che vivono nel paradosso di farsi campagna contro, scacciano di fatto i cittadini singoli od organizzati dal potere, scavano come un abisso tra questi ultimi e le istituzioni, disintermediano, promuovono forme esasperate di leaderismo, parlano direttamente al Popolo, così che alla fine della politica resta solo una testimonianza.
La sinistra, che è storicamente il simbolo vivente della mediazione (politica, culturale, sociale, e dei cittadini con lo Stato, le istituzioni, la memoria e un progetto vivente di trasformazione) da quest’andazzo non può che rimetterci. Pur di sconfiggerla stanno smantellando l’impalcatura istituzionale su cui si è retta storicamente ogni nostra ambizione di giustizia e ogni nostra richiesta reale di cambiamento. E ci sono quasi riusciti.