La guerra, le fughe, i migranti, la sinistra

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 24 ottobre 2016

Lorenzo Cremonesi sul Corsera racconta oggi delle automobili che fuggono dai villaggi attorno a Mosul, “con il loro carico di masserizie e volti polverosi di gente spaventata. Bandiere bianche appese ai finestrini, donne, anziani e bambini alla ricerca di luoghi sicuri”. Questa è la più efficace,a la più vera e indelebile immagine della guerra. Non le bombe, non le case distrutte, né i soldati in prima linea, ma i lunghi cortei di profughi che fuggono dal campo di battaglia, dalla fame, dalla morte, dalla insicurezza assoluta. Carovane di derelitti, di donne e uomini indifesi, famiglie stremate, gente affamata la cui immagine stride con certi nostri scenari occidentali, come se l’Europa, come se noi calcassimo altre scene, immemori rispetto al caos e alla tragedia che si abbatte su Paesi a poche ore di viaggio da Roma, Parigi, Londra, Atene. Prendete anche lo sgombero della ‘Giungla’ di Calais. È cresciuta sino a divenire un enorme ghetto di quasi 10.000 persone. Nasce quale campo di accoglienza dei profughi, di coloro che avrebbero voluto proseguire sino a Londra,e prima ancora avevano dato vita a una lunga processione di sacrifici e dolore dall’Asia e dall’Africa. Anche qui una lunga fuga dalla fame, dalle guerre, dalla mancanza di una qualsiasi opportunità, anche solo di mera sopravvivenza. Oggi che se ne attua lo sgombero, è ancora un mesto corteo quello che si formerà, dalla ‘Giungla’ verso 280 centri di accoglienza dislocati in Francia.

Un mondo instabile, obliquo, diviso tra chi ha risorse e chi non ne ha, contrassegnato da conflitti e guerre, questo produce: grandi migrazioni, immensi cortei di donne e uomini che fuggono. Come a Mosul, come a Calais, come a Lampedusa, sulle rotte africane, e in Siria verso il confine turco. Un movimento incessante di volti impietriti dalla fatica, dalla fame, dal terrore. È un movimento che si ripete ogni qualvolta le disuguaglianze si fanno abissali, le oligarchie incamerano profitti e rendite assolutamente, sfacciatamente superiori alle loro concrete necessità, e le guerre tentano di ‘rimediare’ con la morte e la distruzione a queste colossali ingiustizie, ovviamente ingigantendole. È solo la variante moderna, questa, di una matrice antica, che si è ripetuta ogni volta nella stessa modalità o quasi. Un libro come ‘Furore’ di Steinbeck la racconta per filo e per segno, questa matrice, ambientandola ai tempi della depressione. Anche lì una fiumana di donne, uomini, bambini, vecchi lasciò l’Oklahoma, l’Arizona, gli stati dell’Est colpiti dalla ‘polvere’, la siccità, e dalla smania di profitto che cancellava ogni umanità, per migrare verso ‘the promise land’ californiana, quella delle casette bianche, la terra ricca ma incolta, i raccolti. Un calvario che fu imboccato da 10 milioni di persone lungo la Route 66, che furono trattate come oggi sono trattati i migranti, costrette in ‘giungle’, sfruttate all’inverosimile, fatte morire di fame e di malattie senza alcuna assistenza. Si trattava di americani tra gli americani, a pensarci, ma i migranti erano comunque ‘Okies’, erano una specie diversa, erano ‘rossi’, brutti, sporchi, cattivi, o più semplicemente non erano uomini a tutti gli effetti per chi ne voleva sfruttare solo il lavoro e gettare tutto il resto.

Vicende che si ripetono. Come a dire che la storia, in fondo è la narrazione degli effetti di una differenza di fondo, quella tra chi dispone di risorse e chi no, chi ha capitale e chi braccia, chi è primo e chi ultimo, chi vive ai margini e chi ha occupato saldamente il centro. Una differenza sociale, economica che, quando diventa anche culturale se non antropologica, indica che si è al fondo della crisi, e allora si deve rimediare. Ecco lo spazio della sinistra, dunque, oggi, in questa contemporaneità. Si trova nella lotta alla disuguaglianza, nel ripristino di una dignità, nella pratica di ristabilire livelli decorosi di equità e parità. Non si fermano le migrazioni, le fughe, le diaspore senza questo obiettivo prima di tutto politico. Ed è sciocco aprire un fronte con la UE per un po’ di flessibilità in più sui migranti, e poi lasciare tutte le disuguaglianze così come sono, cancellando tutele, rafforzando la precarietà, lasciando i giovani in balia di se stessi, senza opportunità effettive. Disuguaglianze che sono pronte a generare altre migrazioni, altre fughe, altro dolore. È sempre la povera gente, in fondo, a rimetterci. È così da sempre. La sinistra è chiamata rompere queste catene. Nulla di nuovo sul fronte occidentale (e orientale).

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