PD: La notte degli “astenuti”

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Antonio Napoletano
Fonte: facebook

di Antonio Napoletano – 30 settembre 2014

La notte degli ‘astenuti’ si conclude (ipse dixit) con un definitivo:<<Li ho spianati!>> del nostro ‘amico’ americano.
Sì, perché in politica si paga tutto. Non esistono sconti, né saldi di fine stagione.
E quello che oggi tutti i cosiddetti ‘osservatori’ non possono fare a meno di segnalare è la debacle sul piano politico e dei numeri delle sinistre narcolettiche, parte delle quali, inchiodata da ‘responsabilità’ superiori, ha pensato bene di riconfermarsi, ancora una volta, né carne né pesce, astenendosi.
Ne farà carne di porco.
Che questo lungo tramonto della sinistra italiana si avvii alla conclusione con, forse, l’ultimo do di petto dei ‘due’ tenori – l’infido D’Alema e l’onesto Bersani – in perfetta solitudine – giacché poco importano ai fini di questo ragionamento i buoni interventi del Pippo Civati, il Belloccio sempre meno belloccio della Brianza, e di Paperoga-Fassina – la dice lunga sul deserto che assedia questa vecchia guardia, che non vuole arrendersi al disastro, cui giunge il loro lungo traccheggiamento in uscita dal mondo diviso e dal crollo dei muri.
Chi si ricorda più di quella specie di masterino de naontri col quale l’onesto Bersani si riprometteva di avviare il rinnovamento, oltre le camarille che lo immobilizzavano come un Gulliver, formando e promuovendo una leva di giovani quadri (meridionali)?
Il suo sogno d’amministratore emiliano – prendere due pagando uno – formando e rinnovando quella accozzaglia trasformistica di reti elettoralistico-affaristiche nella quale sprofondava e sprofonda il PD meridionale? Ricordate? A un certo punto era diventato addirittura un modo per ‘motivare’ il suo ni all’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti.
E ancora. Chi si ricorda delle stizzite e frettolose dimissioni da parlamentare del nostro infido D’Alema a fronte del beau geste del suo fratello-coltello, l’amico ‘americano’ per antonomasia e suggestione kennediana, il botton down, Walter Veltroni?
Annunciandole alla rifatta Lilli Gruber, in quella prima serata televisiva, ebbe a parlare della << Risòrsa>> Renzi, al quale anche allora rimproverò una certa rozzezza culturale, e di come lui, ormai e da tempo, fosse in tuttaltre faccende affaccendato. Perché, lui, disse, testuale: << Io formo classe dirigente!>>.
Credendo e volendo far credere, l’uno e l’altro, anche allora in strana sintonia, che creare classe dirigente in politica si potesse senza partito. Anzi, che quella forma slabbrata e di tutti di partito non partito nel quale s’erano ritrovati, dopo una parabola interminabile di accasamenti provvisori, potesse essere addirittura un vantaggio, secondo un’idea, una pratica adeguata al “riformismo riunito” non “riformistico” del PD. Quello, peraltro, del tutto inconcepibile sotto qualsiasi altra latitudine storica e concettuale se non quella, solo e unicamente, democristiana.
Andati per fottere, si direbbe impietosamente, rimasero fottuti.
Infatti, compiuta fino in fondo e oltre ancora la completa destrutturazione dell’idea stessa di partito, arrivando addirittura a surrogare lo statuto da azzeccagarbugli per dare (Bersani) alla contesa (con il Renzi rottamatore) tutti i crismi del confronto leale – tanta era la sicumera sulla praticabilità della strada intrapresa – che, conclusa l’OPA ostile un anno dopo, il Renzi, non ci ha pensato un attimo a fare il suo ingresso di segretario/presidente nel glorioso Partito Socialista Europeo. L’ectoplasma politico appeso a quel gabinetto del dottor Caligaris che è diventata la SPD, dopo la svolta neo corporativa impressale da Schroder.
Così che, il lupo rottamatore di vaghe ascendenze schunpeteriane, fattosi agnello del nuovo rinascimento della ‘sinistra’ che innova, costi quel che costi, può oggi a ragione andare a destra pitonando la sinistra che residua. Paralizzandola, rendendola definitivamente tossica dei suoi stessi errori e omissioni, delle sue storiche manchevolezze, facendole apparire e credere direttamente in vena che, non solo – come sfacciatamente dice il Poletti – l’impresa, oggi, è il luogo irenico senza più conflitto, né feroci interessi in gioco, ma che, chi ne sta a capo è lui e solo lui il vero, l’autentico, risolutore rivoluzionario. Pardon, innovatore. E che la modernità, anzi la postmodernità, quella mondata dal conflitto e dalla lotta di classe, è acconciarsi a questa furia che tutto rivoluziona e cambia. Sempre. Un moto perpetuo cui s’ispira fin nelle movenze e nel fare facendo il Nostro annunciatore del ‘novo’, il novissimo che sa d’antico e che s’avanza.
A tutto questo rullar di tamburi e di annunci, allo spadone che fende e offende non puoi rispondere di fioretto, sperando che l’altro al tuo ‘en gare’ tiri elegante e di scherma.
No, Non è così che funziona.
Se “eccedi” – come ammette in un inciso D’Alema nell’intervista al De Bortoli, nel fare flessibilità costruendo precarietà e, dietro di te, il sindacato alla frutta, neppure ci prova a porti un serio limite, a rendertelo evidente e fetente fino a farti rinsavire, poi non puoi buttarla, per quanto tu sia bravo ed efficace nel far comprendere l’abisso d’intelligenza che c’è tra te e chi siede dove non dovrebbe, solo ed esclusivamente sul governo e le sue sorti. Non solo perché non è di questo che si preoccupa, perché non arrossisce alla balle che racconta, ma perché la sua ricerca del consenso la misura diversamente.
Eppoi chi hai precarizzato – le vera posta in gioco della partita – non lo capirà.
Troppo complicato rispetto ai pochi denari che l’altro gli sta promettendo. Gli sventola sotto il naso, sventola sotto il naso di nonni e genitori, accusandoti di essere come sempre dalla parte di chi quel problema non ce l’ha.
Così, ora, nel momento topico, i due ‘tenori’, quel partito non partito se lo ritrovano, quasi come un anticipo di questa distonia, non solo contro – esperienza comune a chi fa politica – ma che li mette al bando. Li ridicolizza. Li vuole unicamente come una sorta di bad company – altro che Ditta! – dove scaricare tutti i ‘rosiconi’, i ‘gufi’, i rompicoglioni, quelli che non capiscono, che sono dell’altro secolo, sono analogici, scrivono lettere e documenti,magari studiano, non twittano e sono restii a fare annunci a ripetizione.
Quelli, insomma, che si tengono se si adeguano e a comando sciorinano i loro dubbi, magari fanno qualche resistenza, danno spessore al suo comando, lo rendono efficace, gli danno smalto, servono ad aumentare la dose e a rendere ancora più tossica quella che un tempo era la ‘base’ e che ora è solo sondaggi&marketing, audience, consenso e rete elettorale e gazebo da primarie per tutto e tutti.
Hanno creato mostri. Che li stanno divorando.
E qui su questo punto, che si scopre il grande Rottamatore – sia pure con argomentazioni ridicole e rabberciate – e dove i nostri due eroi non attaccano. Esitano. Non scoprono le carte. La loro lunga Bad Gotesberg è senza tavole. E loro lo sanno. Ne sono responsabili.
E quelle vecchie, al più, sono ormai come una religione privata. E se si usano non lo si dice.
E mentre il primo, pur slittando da questa asperità, ne mette in chiaro le conseguenze, chiamando in causa il problema dell’inutile governo e avvertendo che “chi queste cose le sa” ci prenderà per il culo a strafottere; l’altro, onesto anche in questo, tenta una replica imbarazzata. Dice, infatti, Bersani, io sono il vero riformista. Io ho sudato le sette camice per la riforma Fornero sull’art, 18. Perché, dice – e qui la cosa s’ingarbuglia – “Riformismo è equilibrio tra Capitale e Lavoro”! Questo lo zenit della differenza tra i contendenti. E da qui, ovviamente, non si schioda nulla. Perché come argomentare dentro quella logica contro chi quell’equilibrio lo pretende dinamico, transeunte, mobile, mutevole, distruttore e innovatore?
E se è questo il contrasto percepito cosa conta se e come il governo cadrà o non cadrà. Se a questa evenienza si è già provveduto col patto del Nazareno? Se a un possibile sgarrro di pochi ostinati la grande abolizione dello Statuto s’inceppasse chi potrebbe mai avere da ridire sul volenteroso aiuto dei Sacconi, dei Brunetta, di Berlusconi, quello che va e viene dalla sede del Pd? Sarà comunque, sempre colpa del partito del 25% se quello del 40,8 non riesce a fare facendo.
I nostri ‘tenori’ sono in trappola e i numeri lo certificano.
A questo penso mentre sfilano al Nazareno questi bamboccioni a 14.000 al mese, e sento e vedo fenomeni come quel piccolo giuda lucano, quella speranza bersaniana, issata a forza a capo del gruppo parlamentare più consistente mai entrato a Montecitorio, arrampicarsi sugli specchi della sua parlantina ancora un po’ da cafone e sdraiarsi sulla linea dell’onesto compromesso possibile. E questo dopo che il suo ex benefattore, addirittura rischiando un altro ictus, s’infervora e parla di Metodo Boffo contro il suo dissentire.
Per non di dire del nostro ‘Gianni’, con quel suo triestino nasale e romanizzato, che gli fa strascicare certe consonanti con effetti snobistici degni di un Arbasino, e muovere le belle mani come una duse a sottolineare le sue acrobazie del “non ci starei e mi fa quasi schifo, ma non lo dico neppure sotto tortura”?
Erano tutti loro figli. E loro si sfilano.
Emendano e dei principi (gli antichi, ahimé! principi , quelli di ultima istanza, quelli che senza sei un’altra roba), bè, se ne sbattono. Loro emendano.

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