Fonte: La stampa
La partita dei leader, le regionali ad alto rischio per Meloni e anche Schlein-Conte
Si fa presto a dire: ma dai, è solo l’Abruzzo. L’obiezione valeva cinque anni fa, quando la Regione risultò tanto poco rilevante che Silvio Berlusconi e Matteo Salvini la lasciarono come premio di consolazione a FdI, che allora quotava intorno al sei per cento. Oggi l’Abruzzo è diventato, forse suo malgrado, il SuperThursday delle leadership italiane e lo è visto dalla giornata di ieri, la giornata delle ultime cartucce prima dell’apertura dei seggi. La quantità di munizioni esplose dai contendenti è impressionante, funambolica, creativa. La destra annuncia la riapertura di una strada di montagna sbarrata da 14 anni, il sì europeo all’upgrade del Centro spaziale del Fucino, 200 milioni di nuovi investimenti del Ministero della Cultura. Il Movimento Cinque Stelle si gioca la telefonata tra Giuseppe Conte e Renzo Arbore con la mediazione di un noto comico locale, Nduccio, ma anche la passeggiata pubblica di Giuseppe Conte con Alessandra Todde, nuova icona del «Si può fare» in salsa italiana. Elly Schlein sembra meno propensa ai fuochi d’artificio, e tuttavia anche il suo ultimo messaggio agli elettori è più politico e barricadero di quelli ascoltati in Sardegna: se vinciamo, dice affiancata da Pierluigi Bersani, «sarà uno schiaffo diretto alla premier».
Sì, piacerebbe dire «è solo l’Abruzzo» perché sarebbe il segno di un Paese finalmente normalizzato, dove i test locali non sono psicodrammi politici ma semplici consultazioni di territorio. E invece, anche stavolta, tutti e due gli schieramenti hanno caricato la prova di significati assoluti, facendone questione di vita o di morte, in un azzardo pokeristico che rischia di mettere in seri guai chi perderà la posta. Meloni, innanzitutto. La presidente del Consiglio tra l’Aquila e Pescara cerca la smentita di una sensazione – l’idea che il vento stia cambiando – alquanto preoccupante in vista delle Europee. Vorrebbe che i suoi la rassicurassero, ma non succede. Anzi, il ministro dei Rapporti col Parlamento Luca Ciriani fa presente che, comunque vada in Abruzzo, «il governo va avanti lo stesso», rivelando aspettative non proprio positive sui risultati. Ne’ la tranquillizzano i nervi tesi di Matteo Salvini: fino a ieri FdI brindava a ogni scivolone del Capitano, ma adesso? La potenziale frana leghista è diventata un problema, soprattutto se quei voti finissero nell’astensionismo.
Il 48% con cui cinque anni fa venne eletto il governatore uscente Marco Marsilio era per due terzi figlio dei risultati della Lega e del suo clamoroso 27%. Alle Politiche del 2022 quei numeri si trasferirono pari pari su FdI, ma si votava Meloni, non Marsilio. Ed era una Meloni novità assoluta, scintillante di cambiamento dopo il biennio di Mario Draghi che aveva imbrigliato tutti gli altri con la camicia di forza del governo di salvezza nazionale. Oggi le scommesse della premier sono almeno tre: dimostrare che l’alto consenso nei suoi confronti regge, provare che la sua classe dirigente è all’altezza, smentire il tabù del secondo mandato che in passato ha trafitto molti autorevoli esponenti della destra come Gianni Alemanno, Francesco Storace, Renata Polverini. Per farlo le serve una vittoria chiara, non un testa a testa. Se ci sarà, tutto il resto diventerà irrilevante, comprese i numeri e/o le mattane di Matteo Salvini.
Dall’altra parte, nel fronte che sostiene Luciano D’Amico, si rischia meno. Già solo l’idea di un risultato contendibile e conteso rappresenta una soddisfazione dopo un decennio di prove perse in partenza. Il pericolo vero è nei risultati di lista, perché se la Grosse Coalition all’abruzzese – dal Pd ad Azione passando per il M5S – penalizzasse in modo serio uno dei tre soci, addio dialogo, addio futuro. La vera scommessa di Elly Schlein non è sottrarre voti ai partner ma riportare alle urne il popolo dei delusi e confermare che la sua missione – ricucire la «rottura sentimentale» tra popolo di sinistra e Pd – non solo è possibile su scala regionale ma può diventarlo su scala nazionale. Senza segnali in questa direzione la leadership di Schlein rischia di appassire nella routine, come peraltro stava già avvenendo prima che il risultato sardo desse fuoco alle polveri.
Sì, bisognerebbe dire: dài, è solo l’Abruzzo, ma è proprio impossibile dirlo. Alto rischio per Meloni, alto rischio per Schlein, per Salvini, per Conte, per tutti i leader. Ma se il pericolo è simile, il potenziale premio è molto differente. Meloni e Schlein, in caso di successo, potranno entrambe sbandierare il risultato come cosa loro e farne un trampolino decisivo verso le europee. La premier potrà attribuirsi il merito di aver scommesso su un candidato solido e di averlo difeso mobilitando ogni risorsa a sua disposizione, compreso l’interventismo dei ministri. Schlein potrà dire «ecco il campo largo, anzi larghissimo che vince»: mia la formula, mio il progetto, mia la pazienza per metterlo insieme. Salvini e Conte non avranno lo stesso privilegio. Se lunedì si ritroveranno sul carro del vincitore, salvo imprevedibili exploit delle rispettive liste, appariranno comunque come gli junior partner delle signore che comandano. Si capisce il loro nervosismo, si capisce una certa renitenza a fare squadra fino in fondo.