La penombra di Renzi

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti,

di Alfredo Morganti – 1 aprile 2016

Insomma, se la politica è ridotta come è ridotta non può solo essere colpa dei politici. Oggi Stefano Folli, parlando della minoranza PD, la cita come formata da coloro che ‘manovrano nella penombra correntizia’. Ora, si può essere d’accordo o meno sulle forme e i contenuti di questa opposizione interna a Renzi, ma non si può contestarne la legittimità, non la si può rappresentare come composta di tenebrosi ‘manovratori’ (con tutto il negativo che ne consegue). È un’immagine talmente rozza e volgare che non andrebbe nemmeno presa sul serio. Piuttosto, se c’è un ‘oscuro’, quello è tutto nella maggioranza piddina: il patto del Nazareno cos’era (cos’è)? E l’avvisaglia di partito della nazione che cova in parallelo all’esistenza del partito democratico cos’altro è?

Peraltro è sempre Folli, nello STESSO articolo, a dire che “Renzi non ama il PD”. È come dire che il premier sta all’opposizione del suo stesso partito, pur dirigendolo dal Nazareno. In una sorta di doppia veste intimamente contraddittoria. Non è ‘manovrare nella penombra’ questo? Non è un disegno oscuro, poco trasparente, dove si progetta ‘altro’ a partire (anzi contro) il ‘proprio’? E qui Folli ha ragione da vendere. Non è affatto il PD il partito di Renzi, lui si è solo limitato a scalarlo come si ‘scala’ un’azienda per farne lo ‘spezzatino’ e tenersi solo le parti che piacciono di più. La logica è quella degli speculatori di borsa, non altra. Renzi ama un altro partito, di cui il PD (ossia il segmento maggioritario del PD) è solo una parte. Ama un partito ‘nuovo’ non necessariamente e formalmente costituito, ma ‘federato’, ‘amicato’, con brani presi qua e là ma in linea con l’indirizzo strategico centrista del suo mentore, in un coagulo di variegati interessi forti.

Quando sento che il PD non ha vinto le elezioni, ed è perciò che governa con Alfano e Verdini, be’, io rispondo che in realtà Renzi governa perché le elezioni le ha vinte, altro che. Ha vinto quel prodromo di partito che lui coltiva nel cuore e nell’ombra, e che nasce contro il PD ma in parallelo all’esistenza di quest’ultimo, come una specie di parassita. Un partito che traccia trasversalmente l’arco politico, che ‘accrocca’ attorno alla sua persona e al suo cerchio personalità politiche sparse, di provenienze diverse, e le fa interagire ai fini di un progetto più grande e audace. Ossia mutare la natura della democrazia italiana, renderla un democrazia decidente dove la politica è nulla, l’esecutivo è il centro, e lui in persona lo è più di tutti. Si tratta di un’abilissima manovra trasformistica, dove la ‘trasformazione’ non è posta successivamente (col passaggio da un gruppo politico all’altro in nome del proprio tornaconto), ma in simultanea: si è del PD, lo si dirige da padrone, i voti di Bersani sono sempre buoni, ma-anche (e soprattutto) si sta in un partito diverso, un superpartito trasversale centrista. Non c’è transizione, tutto è già qui e tutto assieme. Una micidiale matassa con cui il renzismo sta strozzando non solo la sinistra italiana ma l’intero Paese.

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