di Alfredo Morganti – 21 luglio 2017
La tecnica è fatta così, compresa la tecnica medica o analitica: ti dà la Soluzione, ti indica l’unica via, ti mette di fronte al Busillo, quello e non altri, quello solo, l’unico. La tecnica è credibile, perché no? È il mezzo migliore, più potente per ottenere il risultato della felicità e della salvezza, che, così intese, equivalgono a una sorta di compiuta ‘liberazione’, di evento definitivo, indietro cui non si torna né si può tornare più. Cosa resta, allora, della politica? Ben poco. La politica come scelta, come ostinata visione del mondo, come ‘ideologia’, come fazione, come soggettività, dico. Nulla. Il potere medico, analitico, tecnico, formale ha già detto tutto, ha invaso l’intero campo, dando voce definitiva al detentore della verità tecnico-scientifica. Alla infinite possibilità squadernate dalla lotta politica, succede la necessaria, unica, liberatoria, definitiva soluzione tecnica da ‘imporre’ senza remore (Heidegger usava proprio il termine Gestell). Da ‘imporre’ in quanto evidente, ‘vera’, potente, efficace. Non come il ‘balletto’ politico, il chiacchiericcio, i ‘teatrini’ della politica (come dice Renzi), con il loro ‘ondeggiare’ apparentemente impotente e irresoluto. La tecnica porta sempre con sé un pessimo giudizio politico.
E così, sulla scena politica italiana, giorni fa è calato, direttamente da ‘Repubblica’, anche l’asso psicoanalitico. Massimo Recalcati ha spiegato a tutti, anche con argomentazioni banali, quasi mainstream, quale sia il male della sinistra: ne ha descritto la fenomenologia, ci ha detto che la sinistra è un cadavere, il cui lutto gli ex PCI (sempre loro) non riescono a elaborare. Tal che questo coacervo di emozioni e pulsioni non elaborate alla fine si scaricherebbe sul nuovo venuto, sull’innovatore, sull’eterogeneo. Sul Salvatore. Sul Liberatore. Su chi osa lambire la tradizione. In questo modo, il peso della scienza e del grande scienziato, si è abbattuto pesantemente con Recalcati sul dibattito e sulla scena politica. Ossia, sul luogo ove, quotidianamente, invece si discute, ci si batte, ci si divide e ci si aggrega dinamicamente in alleati e avversari, per aprire, nel caso, nuovi fronti e nuove fasi. Un luogo che nessuna accademia potrebbe sicuramente ‘normalizzare’. Eppure, se così stanno le cose, se la parola adesso toccasse finalmente ai ‘tecnici’ perché la politica è solo ‘teatrino’ e perché i politici si attarderebbero col ‘vecchio’, mi attendo l’intervento di un ingegnere che ci spieghi come si realizzino davvero i ‘ponti’ per riunificare la sinistra. Oppure quello di un chimico, che ci indichi tra gli applausi quali siano gli ‘elementi’ da mettere in campo per agevolare nuovi ‘legami’, ‘affinità’, aggregazioni. I tecnici della comunicazione, d’altronde, hanno già invaso la politica da tempo, mutandone geneticamente il DNA.
Detto questo è altresì evidente come l’intervento di Recalcati sia solo linguisticamente e formalmente ‘tecnico’, ma nasconda invece una sostanza politica fortissima. Un po’ come presentare un contenuto sotto mentite spoglie. La scienza, peraltro, oggi appare più potente e credibile, più ‘salvatrice’ e meno ‘ideologica’ della politica, e dunque assumerne la maschera vuol dire apparire più credibili dei ‘politici’ stessi. Si tratta ancora di ideologia, di partito preso e di una convinzione personale, tanto più se la si ammanta di spoglie scientifiche. La tecnica d’altronde è potenza e volontà tanto quanto l’ideologia. È ideologia essa stessa, insomma. Visione del mondo. Parte in causa. Fazione. Guai a dimenticarlo. Così che non saranno i tecnici, gli intellettuali, gli scienziati, gli studiosi, i dotti a ‘salvare’ la politica, la sinistra, le vicende umane dall’eventuale crac storico. Gli studiosi porteranno il loro contributo, utile o meno che possa essere, com’è sempre stato. Ma poi il ‘lavoro’ politico dovranno farlo, lo fanno quelli che hanno scelto di svolgere questo ‘lavoro’, e che si trovano da decenni a ‘scavalcare’ cadaveri storici, ad andare avanti comunque. La politica: quella sporca, quella osteggiata, quella ‘di parte’, faziosa, che sta nelle piazze o nelle aule parlamentari, quella delle élite e quella del popolo, quella di chi dirige la ‘manovra’ politica e quella di chi movimenta la ‘base’ e mette gli scarponi nel fango. Può non piacere agli intellettuali di professione e agli accademici, ma questo è il fronte, questa è la battaglia. Divampa oggi, non domani. E non vedo lettini di psicoanalisti in giro, nemmeno a guardar bene.