La sinistra non ha bisogno di un messia ma di uomini e di donne che rappresentino i suoi valori

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti e Giorgio Piccarreta
Fonte: L_Antonio
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A cura di Alfredo Morganti e Giorgio Piccarreta – 11 luglio 2017

L_Antonio, dopo D’Alema, Fioravante, Bersani e Jonathan Pine, ha intervistato Laura Lauri, Presidente di Sinistra Italiana. Interessanti i passaggi sull’unità della sinistra e sulle politiche europee. Il consiglio è di leggere con attenzione.

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Penso che la sinistra oggi vada riscritta. La semplice riproposizione di modelli del passato, se pur vincenti in alcuni momenti, sarebbe fallimentare. L’unità della sinistra è un percorso difficile e va fatto con tutti quelli che condividono gli stessi valori e gli stessi obiettivi. Punti irrinunciabili: rimettere al centro il lavoro, l’abolizione del Jobs Act, il superamento della Legge Fornero, la cancellazione del pareggio di bilancio in Costituzione. Il 18 giugno e l’1 luglio c’è stato un grande assente: una critica radicale all’assetto neoliberista dell’eurozona da cui non si può prescindere. Pisapia non mi ha convinto, troppe ancora le ambiguità rispetto ad una radicale alternatività al PD. Sinistra Italiana è un partito giovane, nato solo a febbraio di quest’anno e che ha però suscitato fin dall’avvio un forte entusiasmo in tutte le realtà territoriali. L’ideale europeo mi pare sia stato buttato a mare da tempo. Mi chiedo allora: è possibile la coesistenza di una politica di sinistra, che rimetta al centro il lavoro, con l’architettura europea e con la moneta unica? Dalla necessaria risposta a questa domanda, a mio avviso dipende la sopravvivenza stessa del concetto di sinistra. A pio parere, oggi considerare la moneta unica come irreversibile ritengo sarebbe un errore, pur nella consapevolezza dei rischi e delle difficoltà che il superamento dell’attuale assetto monetario comporta. La mia è indubbiamente una cultura socialdemocratica, ma oggi la politica risente proprio della mancanza di quel “pensiero lungo”. L’involuzione sul piano della cultura politica, ha reso cieca ed impotente la sinistra di fronte al “massacro” sociale perpetrato dalle politiche neo-liberiste. Il mio più grande amore musicale è De Andrè. Il calcio, invece, non mi appassiona e non tifo alcuna squadra: sono la classica donna che si è fatta spiegare innumerevoli volte il concetto di fuori gioco ma che ancora non è riuscita a capirlo“. (Laura Lauri)

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Laura Lauri, secondo lei la sinistra italiana è ‘autosufficiente’ per aspirare al governo? Oppure no, come sostiene anche D’Alema?

Innanzitutto penso che la sinistra oggi vada riscritta. Questa è la sfida principale che ci troviamo di fronte. Non a caso questo è stato lo slogan che abbiamo scelto per il nostro congresso fondativo “Una sinistra tutta da scrivere”. Siamo di fronte alla fine di una lunga fase, culminata con una rottura clamorosa proprio laddove era nata – la Brexit e la vittoria di Trump ne sono l’esempio più eclatante – e sta a tutti noi a sinistra ora gettare le basi per affrontare la nuova fase che si è aperta. La semplice riproposizione di modelli del passato, se pur vincenti in alcuni momenti, sarebbe fallimentare. Serve oggi un “pensiero lungo sul futuro”, serve ridare al paese una prospettiva di sviluppo collettivo, quella prospettiva che la sudditanza della sinistra al pensiero neoliberista ci ha tolto. Per fare questo c’è bisogno di uno sforzo da parte di tutti i partiti di sinistra in Italia, nessuno può considerarsi autosufficiente. Una sinistra così, che torni a rappresentare il lavoro, la giustizia sociale, la sostenibilità ambientale, la democrazia costituzionale ritengo avrebbe tutte le possibilità di aspirare al governo del Paese.

A un tavolo delle sinistre, in vista magari di un accordo più ampio, potrebbero sedere anche Pisapia o, per dire, Tabacci, ove manifestasse un sincero interesse alla messa a punto di un progetto riformatore per il nostro Paese? Oppure si deve tendere a circoscrivere l’ambito e a chiudere eventuali accessi?

L’unità della sinistra è un percorso difficile e che va fatto con tutti quelli che condividono gli stessi valori e gli stessi obiettivi. Non può essere però una somma di sigle o di ceto politico, ma un percorso partecipato che non può che partire dal basso, senza veti su eventuali biografie politiche e senza concedere nulla alla vocazione minoritaria che pure esiste a sinistra. Allo stesso tempo però va evitato anche l’opposto estremismo di chi cavalca la mozione degli affetti in nome di un comune fronte contro i barbari alle porte. Un tavolo quindi a cui possono sedere tutti a patto che si riconoscano nel comune obiettivo di essere forza alternativa alle destre, ai 5 stelle e al PD.

Ci indichi i tre punti irrinunciabili per un accordo a sinistra, sia in vista del confronto elettorale, sia più in generale per federare le forze in una sinistra ampia e plurale.

Innanzitutto rimettere al centro il lavoro e la dignità dell’uomo all’interno del lavoro. Quindi abolizione del Jobs Act e correzione di molte delle riforme attuate negli ultimi anni che hanno aumentato la precarietà, con estensione delle tutele a tutte le tipologie contrattuali in cui è oggi frammentato il lavoro. Superamento della Legge Fornero attraverso forme di flessibilità in uscita, cancellazione del pareggio di bilancio in costituzione.

A Roma, sabato 1 luglio, si sono viste alcune prove tecniche di unità e di dialogo. Che giudizio dà di quella piazza?

Penso ci sia in questo momento un processo in corso che il 1 luglio ha avuto una tappa. Un’altra ne ha avuta il 18 giugno al Brancaccio. Ho partecipato ad entrambe e ho visto due iniziative molto partecipate, con tante compagni e compagne desiderosi di ritrovarsi e di ricostruire una comunità, le cui parole d’ordine sono state discontinuità e alternatività alle politiche fin qui condotte. In entrambe le occasioni per me un grande assente: una critica radicale all’assetto neoliberista dell’eurozona da cui non si può prescindere se si intende dare un giudizio sul passato ma soprattutto se si vuole tentare di dare una risposta coerente a molti dei problemi di oggi, perché da lì arrivano.
Devo essere però sincera su un punto: Pisapia non mi ha convinto, troppe ancora le ambiguità rispetto ad una radicale alternatività al PD. Penso che non è di un leader che abbiamo bisogno oggi e ritengo che questa incoronazione dall’alto sia stata un errore. I leader si scelgono democraticamente o si impongono in maniera naturale per la chiarezza di offerta politica che incarnano. La sinistra non ha bisogno di un messia ma di uomini e di donne che con la loro azione quotidiana rappresentino i valori di cui vogliamo farci portatori, e al Brancaccio e SS Apostoli ce ne erano molti.

Sinistra Italiana stenta un po’ a emergere, come dovrebbe, nel dibattito politico. Se è così, perché? Come vanno le cose in SI?

SI è un partito giovane, nato solo a febbraio di quest’anno e che ha però suscitato fin dall’avvio un forte entusiasmo in tutte le realtà territoriali. Dopo il congresso fondativo di Rimini si sono svolti tutti i congressi regionali, provinciali e cittadini che hanno visto la partecipazione di migliaia di iscritti. E’ sicuramento vero però che non godiamo di una particolare attenzione da parte dei media e questo sicuramente non aiuta a far emergere il partito come dovrebbe nel dibattito pubblico. Nonostante ciò i sondaggi ci vedono in crescita, allo stesso livello di MDP, a conferma di un radicamento nei territori che prosegue. Devo dire che complessivamente il bilancio di questi primi mesi è assolutamente positivo: al nostro interno convivono punti di vista differenti, come è naturale dal momento che abbiamo alle spalle percorsi diversi, che trovano però una sintesi nel comune convincimento che serva una reale alternativa a sinistra, in grado di fare fronte alle destre che, come si è visto nell’ultima tornata elettorale, si sono riorganizzate.

Che fare in Europa: buttiamo a mare l’Euro, compreso l’intero ideale europeo? Oppure le cose sono più articolate? Ci spieghi in breve la sua posizione in merito.

Guardate, l’ideale europeo purtroppo mi pare sia stato buttato a mare da tempo: cosa è rimasto del sogno di Spinelli in un’Europa che lascia liberi i capitali di circolare mentre chiude le frontiere ai migranti? Un’Europa, che con il ricatto obbliga la Grecia alla firma di un memorandum che ha messo in ginocchio milioni di persone, cosa ha a che fare con quell’idea di prosperità e benessere in cui tutti abbiamo creduto? Io, come tutti quelli della mia generazione, sono cresciuta con questo sogno ma mi rendo conto che il risultato sotto i nostri occhi è ben diverso da quello che ci aspettavamo. Negli anni si è andato sempre più affermando in Europa, al posto di un modello cooperativo, un modello competitivo tra Stati e la supremazia del mercato sugli interessi dei popoli.
La domanda che tutti noi oggi a sinistra dovremmo porci, a mio avviso, è se sia possibile la coesistenza di una politica di sinistra, che rimetta al centro il lavoro, con l’architettura europea e con la moneta unica. Cioè se sia ancora possibile mettere in campo una politica nazionale che garantisca quell’equilibrio tra capitale e lavoro che il capitalismo non è in grado di assicurare o se invece il progetto europeo non stia mettendo in discussione l’esercizio stesso della democrazia. Dalla necessaria risposta a questa domanda, a mio avviso dipende la sopravvivenza stessa del concetto di sinistra. E bisogna partire dal capire perché il perdurare della crisi non possa essere considerato un semplice accidente dovuto a scelte di politica economica sbagliate, ma valutare se non dipenda piuttosto dall’architettura stessa della moneta unica. L’austerità che ci è stata finora imposta e che non solo non ha alleviato la crisi ma anzi l’ha acuita, non è solo una sbagliata risposta di politica economica derivante da scelte ideologiche ma piuttosto il frutto, a mio avviso, di una diversità di interessi tra i paesi partecipanti alla moneta unica, diversità di interessi che diventano evidenti se guardiamo alla diversa competitività dei paesi partecipanti e alla altrettanto evidente politica di dumping salariale portata avanti dalla Germania. Se lo vediamo quindi da questo punto di vista l’attuale protrarsi della crisi non è semplicemente un errore nella medicina usata o nel dosaggio utilizzato, ma è piuttosto una strategia di lunga durata – basti pensare alle riforme del lavoro Haartz con i cosiddetti mini jobs – portata avanti dai paesi creditori nei confronti dei paesi debitori e che l’euro aiuta a implementare. In definitiva risulta così evidente che il tanto sbandierato modello di crescita tedesco non sia un modello replicabile. In un quadro come quello descritto, dove al problema di competitività per noi si aggiunge il problema dell’elevato debito pubblico, che spazi rimangono alla sinistra se non quello di rassegnarsi alla crescita delle disuguaglianze e al massimo quello di giocare in difesa e cercare di correggere la punteggiatura alle riforme di stampo liberista che il governo, su imput dell’Europa, ci propone? Beh ecco io penso che invece quello che oggi serve, e soprattutto quello che oggi il popolo di sinistra ci sta chiedendo, non sia di fare da contraltare alle scelte del governo. Quello che ci sta chiedendo è una vera alternativa alla politica economica seguita fin qui e non solo una aggiustatina, quando ciò è possibile. Un esempio su tutti: in questi giorni alla Camera è in discussione il decreto per il salvataggio delle banche venete. L’unica cosa ragionevole da fare sarebbe stata quella di far entrare lo Stato nel capitale delle banche ma ciò sarebbe stato in contrasto con la normativa europea. Quindi si è scelto di regalare a Banca Intesa la parte buona delle banche lasciando sulle spalle dei contribuenti, e in primis dei risparmiatori, l’onere dei crediti deteriorati. Questa è ciò che è rimasto del sogno europeo! In questo quadro quindi, per tornare alla vostra domanda, l’Euro, così come l’allargamento ad est senza standard fiscali, sociali ed ambientali comuni, ritengo sia stato un errore. Per cambiare rotta la via maestra dovrebbe essere quella di una riscrittura dei Trattati ma è evidente che il consenso ad un cambiamento nella direzione auspicata non c’è e dubito ci sarà mai. Anzi direi che i progetti di revisione oggi sul piatto vadano esattamente nella direzione opposta. Di conseguenza oggi considerare la moneta unica come irreversibile ritengo sarebbe un errore, pur nella consapevolezza dei rischi e delle difficoltà che il superamento dell’attuale assetto monetario comporta.

Qual è la sua cultura politica di riferimento? E prima ancora: esistono ancora delle ‘culture politiche’ in Italia nei termini di una volta? Oppure la politica galleggia ondivaga in un mare di pragmatismo e di politicismo senza più alcuna ‘salvezza’ possibile?

La mia prima tessera di partito è stata quella del PDS. Poi DS – PD. Ho abbandonato poi quest’ultimo due anni fa nella convinzione che non fosse in alcun modo riformabile dall’interno. Ho quindi aderito al percorso costituente di Sinistra Italiana. La mia è indubbiamente una cultura socialdemocratica, anche se mi rendo conto che da tempo le socialdemocrazie in Europa si siano sempre più allontanate dalle proprie radici socialiste. L’aver abbracciato la cosiddetta “terza via” le sta irrimediabilmente condannando all’irrilevanza.
Oggi la politica risente proprio della mancanza di quel “pensiero lungo” di cui parlavo all’inizio. Manca cioè di immaginazione, di un’idea di società che vada oltre i tatticismi ed i personalismi. Lo spiega molto bene a mio avviso Galli nel suo ultimo libro “Democrazia senza popolo”: è in atto una vera e propria involuzione sul piano della cultura politica, che ha reso cieca ed impotente la sinistra di fronte al “massacro” sociale perpetrato dalle politiche neo-liberiste. E’ quanto mai necessario in questa fase recuperare una capacità di analisi e di elaborazione teorica a sinistra, che costituisca l’indispensabile bagaglio culturale su cui fondare un serio tentativo di ristrutturazione della sinistra. Indubbiamente in questi due anni qualche passo avanti in questo senso è stato compiuto, ma il percorso è solo all’inizio.

Cosa legge Laura Lauri, quale musica sente, qual è il film che ha amato di più recentemente? E soprattutto: è tifosa? E di chi, nel caso?

Leggo molto e di tutto: dai romanzi gialli, quando ho bisogno di evadere, ai classici ma in particolare leggo testi di economia che è la mia passione. Ascolto principalmente musica italiana, il mio più grande amore musicale è De Andrè. Un film che ultimamente mi ha molto colpito è “La grande scommessa”, in cui le perverse storture del sistema capitalistico sono sapientemente tratteggiate e rese comprensibili a tutti. Un film educativo. Venendo al calcio invece proprio no, non mi appassiona e non tifo alcuna squadra: sono la classica donna che si è fatta spiegare innumerevoli volte il concetto di fuori gioco ma che ancora non è riuscita a capirlo. Ho smesso di chiedere però!

(A cura di Alfredo Morganti e Giorgio Piccarreta)

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Laura Lauri, 50 anni, laureata in Economia e Commercio. Master in Studi Europei. È da 25 anni funzionario dell’Istituto nazionale Commercio Estero, una sorta di diplomazia economica, e in questa veste ha girato il mondo in lungo e in largo. In particolare è stata vice direttore dell’ufficio di Mosca e direttore di quello di Kiev. Negli anni trascorsi a Mosca ha fondato la prima sede dei DS nella Federazione Russa. Da due anni ha lasciato il PD, aderendo al percorso costituente di SI di cui ne è divenuta Presidente nel congresso fondativo svoltosi a Rimini a febbraio di quest’anno. È tra gli organizzatori dell’Euro Plan B, la cui prossima tappa si svolgerà a Lisbona in ottobre.

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