LA TOSCANA E IL CENTENARIO PUCCINIANO

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Franco Cardini
Fonte: Minima Cardiniana

LA TOSCANA E IL CENTENARIO PUCCINIANO

Un vecchio detto recita che “quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare”. Sia chiaro che tale detto non ci piace: è sessista, machista, bullistico, quasi teppistico. Ma a volte la verità si nasconde nelle pieghe delle cose sgradevoli. E allora, accettiamo la sfida modificandola: “quando le cose si fanno serie, le persone serie debbono farsi avanti”.
E allora cominciamo. Nel nostro paese, e in questo momento, sembra che tra politica, potere e ricchezza da una parte, cultura e civiltà dall’altra, si stia scavando un abisso. Eppure, contraddittoriamente e paradossalmente, le prime hanno bisogno delle seconde. Meno c’è cultura, più forte si fa il bisogno di essa, la richiesta di politica culturale, il “consumo culturale”: e i politici debbono accettare la sfida; e i padroni dell’economia e della finanza debbono stare al gioco. Avanti con le proposte, dunque.
Nella nostra Toscana un’occasione irripetibile batte alle porte. Non si tratta solo del centenario della morte di Giacomo Puccini (Lucca 1858-Bruxelles 1924), del quale peraltro fra quattro anni festeggeremo il 170° della nascita e che fu un genio assoluto, uno dei creatori della musica contemporanea. Si tratta anche di affrontare l’innovatore e trascinante ruolo di primo piano della nostra regione in tutto quel che riguarda la musica: dal medioevo, con l’aretino Guido (Arezzo 990ca.-Pomposa 1033) e con il fiorentino o pistoiese Pietro Casella (seconda metà del Duecento), amico e sodale di Dante e di Guido Cavalcanti, coprotagonista della rivoluzione del Dolcestilnovo, fino al tardo Rinascimento che con Jacopo Peri, Ottavio Rinuccini, lo stesso Galileo Galilei e la “Camerata dei Bardi” inventò il melodramma aprendo la strada alla grande stagione lirico-concertistica d’Europa che dura ancora. Ecco da dove nascono il fiorentino Luigi Cherubini (1760-1842), figlio di un maestro cembalista del Teatro della Pergola, ammirato da Pietro Leopoldo e da Beethoven; il “livornese ribelle” Pietro Mascagni (1863-1945), sulle prime un semiautodidatta; l’empolese Ferruccio Busoni (1866-1924), figlio invece di due illustri concertisti e altro anniversario da non dimenticare; e giù giù fino a Odoardo Spadaro (1893-1965), fiorentino figlio di una finissima suonatrice d’arpa, chansonnier e cultore di musica popolare che a Parigi lavorò con Chevalier, con Jean Gabin e con Mistinguett e che sta alla radice della canzonettistica contemporanea (Sanremo viene da lontano); e magari i nostri cari fiorentini Narciso Parigi e Riccardo Marasco, popolarissimi eppure in realtà cultori molto seri di antropologia musicale contemporanea. O che credete, che il quattordicenne Wolfgang Amadeus Mozart sia stato ricevuto per caso a Firenze dal granduca Pietro Leopoldo?
Tutto questo ricchissimo, incredibile tesoro della bella regione centroitalica, che la stragrande maggioranza dei toscani d’oggi neppure sospetta, sembra quasi convergere nel genio gigantesco e modernissimo di Puccini, un mostro della feconda intuizione e della formidabile innovazione artistica: per molti versi figlio della migliore tradizione romantica e capace di cogliere qualunque novità, dal Massenet a Wagner alla cultura romantica e decadentistica fino a sfiorare (l’aveva già fatto Mozart) intuizioni che avrebbero condotto al jazz e alla dodecafonia.
Di antichissima famiglia di musicisti lucchesi (fino dal capostipite Giacomo, 1712-1781), non si stancò mai di sperimentare: nella sua immensa produzione ci s’incontra con la narrativa tragica romantica (Tosca), con il medievalismo (Gianni Schicchi), con l’ispirazione bohemienne parigina (la Bohème, appunto), con la grande storia americana dall’epopea della frontiera poi passata al cinema western (La fanciulla del west) fino ai risvolti più intimi e drammatici della conquista marittima del Pacifico e dell’incontro tra la giovane America e l’antico Giappone (Butterfly). Portando in teatro l’atmosfera dei saloon e delle pistole colt della frontiera statunitense, Puccini apriva le antiche venerabili porte del teatro lirico alla “Decima Musica”, il cinema: del resto, fondamentali per lui furono le frequentazioni americane. Ma l’interesse per la storia e per il mondo contemporaneo lo coinvolse tanto da far scaturire dagli echi della “guerra dell’oppio” e della rivoluzione nazionale cinese del 1911-12 lo sconvolgente ritorno all’archetipo fiabesco che si coglie nell’ultimo capolavoro, incompiuto: Turandot.
Una prova affascinante, ammirevole dell’incontro tra due geni toscani, il lucchese Giacomo Puccini e il fiorentino Galileo Chini (1873-1956) – pittore, ceramista e scenografo –, si riscontra nel libro-catalogo Turandot e l’Oriente fantastico di Puccini, Chini e Caramba (Silvana Editoriale 2021), dove si documenta lo straordinario lavoro del Museo del Tessuto di Prato nel raccogliere e ordinare i costumi e i gioielli di scena ideati da Galileo Chini per la Turandot e oggi custoditi anche nel Museo Antropologico di Firenze, sito nel “Palazzo Nonfinito” di Via del Proconsolo. Puccini non ce l’aveva fatta ad ottenere un libretto operistico dal divino ma venale e intrattabile Gabriele D’Annunzio: il sodalizio con Galileo Chini fu invece molto felice, e ce lo fa vedere la mostra che la Fondazione del Carnevale di Viareggio, con la sua dinamica presidentessa Marialina Marcucci, ha di recente dedicato all’argomento.
Puccini e Chini, dunque, orientalisti. Un tema dal fascino irresistibile. Se n’è accorto un nostro corregionale trapiantato prima in Finlandia e ora in Thailandia, il professor Luigi G. de Anna, che da un po’ di tempo si sta dedicando a una ricerca i frutti della quale potrebbero essere impensabili.
Ed ecco, in breve, quest’autentica – collaterale ma irresistibile – ciliegina sulla torta del centenario pucciniano. Galileo Chini aveva curato tra 1902 e 1912 la decorazione pittorica degli ambienti della Biennale di Venezia: il materiale a ciò relativo, raccolto nel 1914, è custodito nella Collezione Chini del Lido di Camaiore. Ciò attrasse l’interesse del re del Siam (l’odierna Thailandia), che gli commissionò la decorazione del suo palazzo reale tra 1911 e 1913. Se si tiene presente anche la collaborazione tra Chini e Sem Benelli, il circolo del rapporto fra Toscana (quindi Italia), orientalismo, medievalismo e innovazione artistico-fantastica si chiude. C’è materiale di primissima mano per riempire piazze, teatri e musei: il centenario pucciniano potrebb’essere un trionfo. Ce la faremo? Signor Ministro della Cultura, Signor Presidente della Regione Toscana: se ci siete, battete un colpo.

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