di Alfredo Morganti su facebook 19.06.2014
Quello che divide Renzi e Berlusconi sono soltanto i tempi. Tempi tattici, in un certo senso. Entrambi puntano a un mandato diretto: Presidente, Premier, poco importa per ora. Entrambi vogliono ‘semplificare’ la dialettica democratica, cortocircuitando le decisioni, alleggerendo gli iter e il peso del sistema rappresentativo, terremotando i corpi intermedi, creando in sostanza attorno al Capo una tale terra bruciata che il Popolo sembri lì, davvero a due passi, senza più filtri e articolazioni. È questo il senso del Patto del Nazareno, un senso nemmeno tanto segreto pur in assenza di streaming. Sono più chiare, così, anche la risposta di Renzi alla richiesta di Presidenzialismo di Berlusconi: richiesta per ora inopportuna, intempestiva. Esageratamente anticipata, al punto da minacciare la celerità delle riforme Speedy di Renzi. Domani sì, ma oggi serve ancora un po’ di copertura al progetto presidenziale.
Ma d’altronde, il povero ex Cav., che doveva fare? Poche ore prima Grillo era entrato a gamba tesa nel dibattito sulle riforme con una richiesta choc di trattativa, che aveva tolto scena a Berlusconi e rischiava di essere una trappola per Renzi. La botta sul presidenzialismo era inevitabile. Anticipata per la tattica renziana, ma niente affatto per le esigenze del Capo di Forza Italia. Sembra di assistere a una partita di poker, anche se un po’ asincrona, visto che tutti fanno le mosse come se stessero su tavoli diversi. Una partita in cui il banco non è il bene del Paese, ma la propria personale affermazione. Le riforme vengono smussate, corrette, se non ribaltate in base a calcoli ragionieristici, al mero interesse di parte. I giocatori si sentono liberi, più sereni, adesso che una parte consistente della sinistra italiana è stata messa fuori gioco e, in gran parte, non intende nemmeno rientrarci in questo gioco. Forse eccessivamente zelante, o consapevole della proprio stato di minorità. O di subalternità culturale.
Il punto è che, se manca la sinistra, quella oggi sconfitta, i frammenti non si ricompongono, le culture politiche evaporano, le leggi ferree della comunicazione omogeneizzano tutti gli attori, e riducono tutto a una dimensione, come diceva il vecchio Marcuse. Una dimensione. Senza più una profondità, né uno spessore (storico, temporale, sociale, fate voi). Ma piatti, uniformi a chiederci, al massimo, al culmine del dibattito, cosa sia uno ‘storytelling’ (sbagliando pure la risposta nella maggior parte dei casi). Uno specchio rotto, insomma, i cui pezzettini riflettono tutti Renzi, seppure in forme diverse. E il bello è che, adottando questa strategia subalterna, ci si crede pure Togliatti! Dimenticando che non basta essere “golpe a conoscere e’ lacci”, ma serve pure essere “lione a sbigottire e’ lupi” (e ce ne sono di lupi in giro!), perché l’una caratteristica non surroga affatto l’altra. E invece oggi vedo moltissime volpi capaci di divincolarsi dalle trappole, pronte ad afferrare le occasioni, veloci a cogliere l’attimo favorevole. Ma vedo ben pochi leoni, pochi dirigenti politici coraggiosi, forti, capaci di guardare lontano, di soffrire se c’è da soffrire, di esporsi se sia il caso, di pagare il conto, di reagire positivamente, di mostrare agli altri una strada ben più lunga e distante rispetto a quella asfittica di casa propria. Molti, troppi sono oggi i calcolatori privi di forza e privi di coraggio. Che pensano la politica come mero atto di forza, ma poi indossano a malapena il manto della volpe.