Fonte: facebook
di Fauto Anderlini, 25 gennaio 2018
Liberi, Uguali e Diversi. Una indagine demoscopica
2. Sul limitar del bosco. Bisogni comuni coscienze sbarellate
In questo secondo capitolo indagheremo due variabili: l’agenda tematico-politica, cioè le questioni che più stanno a cuore (come bisogno e premura politica), e l’autocollocazione sul continuum sinistra/destra. Tratti semplificati ma emblematici dell’autocoscienza sociale politica. Sempre ricordando che i dati son tratti da una indagine campionaria di 2400 casi svolta nella regione Emilia-Romagna nei giorni scorsi. E precisando che anche in tal caso useremo come spettro di analisi la comparazione fra i votanti alle liste elettorali.
– L’Agenda. Guardata in termini d’insieme e precisando che erano date due possibilità di scelta (prima e seconda, nel seguito considerate come sovrapposte) essa è saturata in modo massiccio dalle tematiche economico-sociali. Al primo posto con una incidenza del 30 % viene la tutela dei diritti dei lavoratori e la piaga del precariato, a conferma di quanto perduri la percezione della crisi e di quanto rilevante sia stata la frattura introdotta con il job act. Al secondo posto con il 26 % di indicazioni l’abbassamento delle tasse, al terzo una politica industriale espansiva (25 %) e al quarto la difesa della sanità pubblica e la politica scolastica (22%). Dentro questo quartetto di testa, e a una certa distanza, con frequenze fra il 9 e il 14 %, nell’ordine: la sicurezza e la limitazione dell’immigrazione, le diseguaglianze sociali (sul 14 %), e ancor più staccate, sul 9-10 %, la ‘mano libera alle imprese’, la lotta all’evasione e i diritti civili. Su frequenze prossime allo zero, infine, altre indicazioni come la difesa ambientale, il taglio della spesa pubblica, lo jus soli e l’integrazione degli immigrati nonchè una politica più europeista.
In questa gerarchia l’aspetto che più colpisce è la scarsa consistenza dei temi securitari che invece infiorano le schermate mediatiche, e la quasi irrilevanza di tematiche qualitative care alla destra o alla sinistra e all’elettorato d’opinione in genere, come l’ambiente, la flessibilità, l’europeismo, l’integrazione degli stranieri ecc. C’è dunque una preponderanza assoluta delle tematiche economico-sociali, e se è vero che l’impostazione cara alla destra della riduzione delle imposte ha un posto di rilievo è anche vero che il peso specifico del lavoro e della sicurezza sociale è straordinariamente sostenuto.
Sono i temi sui quali si è motivata la proposta di LeU e che infatti si ritrovano puntuali nel suo elettorato, ma che attraversano tutte le fasce dei votanti. Ovvio pensare che ove LeU riuscisse a penetrare la sfera pubblica con messaggi programmatici ficcanti (come ad esempio è in parte avvenuto con la proposta dell’azzeramento delle tasse universitarie) ne trarrebbe un immediato beneficio elettorale. LeU è nata sulla frattura sociale della degradazione sociale del lavoro creata dalle politiche liberiste che è anche il segno fondamentale dell’epoca attuale. E vien da pensare quanto meglio sarebbe disposta se le conseguenze fossero state tratte per tempo all’epoca del job act.
Se si osservano le agende prevalenti nei diversi gruppi di votanti si nota immediatamente una notevole sovrapposizione, segno che l’elettore vive le stesse preoccupazioni ed anche buona parte delle proprie attese quale che sia la collocazione politica. Cionondimeno restano alcune differenze qualitative di rilievo. Negli elettori leghisti i temi cari alla sinistra, pur presenti, recedono sullo sfondo a fronte di un forte classamento della riduzione delle tasse (primo posto) e della sicurezza (terzo posto), sicchè il votante della Lega appare, fra tutti, come quello più caratterizzato a destra. La riduzione delle tasse è anche la prima richiesta nei votanti di Fi, mentre anche in quelli del Pd è di tutto rilievo (secondo posto). Le agende dei votanti Fi e Pd appaiono abbastanza sintoniche nell’accostare alle problematiche della sicurezza sociale il tema fiscale classico dei conservatori. Un accostamento che è però più il sintomo di una sostanziale eterogeneità degli elettorati di riferimento che di una sintesi politico-culturale.
Più affini appaiono le agende dei votanti di LeU e del M5S, sebbene più spostata a sinistra quella di Leu.
Volendo trarre una visione d’insieme si può dire che pur restando percepibili le diverse sensibilità che tradizionalmente opponevano la destra e la sinistra (aspetto che residua più coerentemente fra gli elettori di LeU) è in atto una notevole trasversalità, con i temi del lavoro e del welfare (diritti, precariato, politiche occupazionali, sicurezza sociale) dotati di forte pervasività, seppre intercalati dalla forte audience che accoglie il tema della detassazione. Tanto che vien da pensare, pur nell’interscambio e fatta salva la specificità del Pd, che c’è più sinistra nella destra che destra nella sinistra.
– L’autocollocazione. Ma quanto è, oggi, il contenuto di senso della topologia politica democratica basata sulla gradazione sinistra/destra ? Se si osservano le distribuzioni d’insieme si vede che i tre quarti dell’elettorato continuano a collocarsi sul continuum classico, con il blocco di sinistra/centro-sinistra al 37 %, quello di destra/centro-destra al 25 % e il centro al 14 %. Disponendo di serie storiche relative all’Emilia-Romagna c’è da dire che il mutamento intervenuto è comunque rilevante. Solo in un recente passato il blocco di centro-sinistra era assai più nutrito e il differenziale con quello di centro-destra abissale. Cosa che non è più, mentre anche la quota extra-continuum, cioè aliena alla classificazione, ora al 25 %, era assai più contratta e caratterizzata piuttosto da scarsa politicizzazione che da una esplicita motivazione culturale.
Ma non è questo l’unico aspetto di rilievo. Se si osservano le distribuzioni nei diversi gruppi è vero che i conti tornano secondo le attese, ma con sfumature controintuitive, o perverse, per nulla secondarie.
I votanti Pd continuano ancora a collocarsi per il 60 % nel centro-sinistra (addirittura con una certa prevalenza degli autocollocati a sinistra) ma una quota consistente pari al 30 % si dichiara entro lo spazio che comprende il centro e la destra. Segno eloquente di una mutazione in atto, o quantomeno di una crescente eterogeneità culturale del blocco elettorale che si aduna nel Pd.
Di contro Fi appare investita da una mutazione analoga a quella del Pd. Cioè da una sensibile convergenza al centro.
Quelli del M5S presentano, come normale, la più alta quota di ‘estranei’ (quasi il 40 %), ma nella parte restante gli elettori che si dichiarano di centro/centro-destra sono quasi il doppio degli autocollocati a sinistra. A conferma dell’ambigua ubiquità e della deriva di un movimento che in origine, nella regione, era una specie di costola enragée della sinistra.
LeU è l’elettorato più coerentemente allineato sull’asse, col 70 % dislocato sulla sinistra/centro-sinistra, anche se non mancano anomalie.
Infine, tanto i votanti della Lega che di Fd’I presentano forti discrasie. Se prevale l’orientamento di destra è anche acclarabile che cospicui sono i non collocati e, soprattutto, i contingenti di votanti che nel gruppo si autocollocano a sinistra: il 20 % nella Lega, il 15 % nei Fd’I (!).
Ci sono dunque scarti evidenti nella tenuta dell’asse. Riassumibili in tre aspetti:
a) L’aumento della quota degli alieni al continuum, cioè di coloro che avvertono come superata la divisione sinistra/destra – tendenza che va ad alimentare soprattutto i partiti borderline o antisistemici come M5S e Lega.
b) La mutazione genetica, con convergenza al centro, degli elettorati un tempo avversi del Pd e di Fi.
c) gli scarti crescenti fra autocollocazione e scelta di voto, con elettori che si dichiarano di sinistra e che votano per formazioni di destra (soprattutto la Lega) ed elettori (seppure in numero assai inferiore) che si dichiarano di destra e votano formazioni di sinistra.
Aspetto quest’ultimo di una sindrome icasticamente rappresentata dai casi Bagnai e Marescotti. L’economista di sinistra che si candida con la Lega, e l’orgoglioso comunista che vota cinque stelle. Ciò che si evidenzia è uno scarto fra la percezione di sè, ovvero un kit biografico, culturale e sentimentale in virtù del quale ci si considera di sinistra o di destra, e la scelta di voto. Laddove in passato, vigente la prima, ma anche la seconda Repubblica, c’era una sostanziale contestualità fra autocoscienza e orientamento di voto. Quale era ad esempio rappresentata dal cd. ‘voto d’appartenenza’. Oggi la realtà cui stiamo assistendo, non per caso segnalata da una smisurata disaffezione politica, è la ‘perdita delle appartenenze’. Le quali recedono nel foro interiore, come identità biografica, memoria personale, intimità esistenziale, senza più un costrutto collettivo nel quale riconoscersi. Tratto emblematico della deriva post-democratica in atto ed aspetto veramente eccezionale se rilevato nella regione che è stata famosa per la solidità straordinaria della partecipazione e delle appartenenze politiche collettive.
In altra ricerca avevo stigmatizzato questa ‘perdita’ come l’instaurarsi in vaste zone della popolazione di una sorta di ‘astensionismo esistenziale’. Qui si constata l’altra faccia della stessa fenomenologia della caduta: con l’affermarsi di una sorta di ‘voto isterico di opinione’ o schizoide, laddove un tempo si presumeva l’esistenza di un elettorato razionale capace di argomentare pacatamente le differenze di programma. Oppure, in luogo del visitato ‘voto d’interesse’ di altra geografia politica, un voto meramente reattivo basato su una specie di ‘calcolismo ostile’.
Le ragioni di questi processi sono complesse e hanno a che vedere con le mutazioni dell’elettorato ma anche con l’offerta dei soggetti politici, vieppiù instabili, frammentari, volatili, mutanti. In una reazione a catena top/down, andata e ritorno, che dà allo scollamento una dinamica esponenziale, quasi catastrofica. Ma non è qui il luogo per effondersi su questo argomento che sintetizza la crisi della rappresentanza, prima che di governabilità, che affligge la nostra come altre democrazie. Dove tutto è peggio e tanto vale sprofondare in ogni dove, per ripicca.
Prendiamo atto che Liberi e Uguali è anche il tentativo di andare contro-tendenza, cioè di ristabilire un nesso fra cultura, sensibilità e comportamento politico, fra autocoscienza e offerta politica, creando ‘appartenenza’ e ‘progetto’. Noi speriamo che ce la caviamo. Un tentativo eroico di ripristinare il nesso fra ideologia e interessi. Per intanto avverto che questa battaglia avviene non nel bosco, ormai troppo fitto e impenetrabile per pensare di diradarlo seriamente, ma sul suo limitare. Un aspetto che sarà argomentato nel capitolo a seguire, mentre ancora mi scuso per la bruttezza dei grafici.