Lo streaming

per Gian Franco Ferraris

di Alfredo Morganti

Dunque la trattativa è possibile, se se ne creano le condizioni. Dunque la trattativa è produttiva. E può essere condotta alla luce del sole, in modo trasparente (senza patti non scritti). Dunque è possibile avviare delle mediazioni che ‘cuciano’ il fronte politico, almeno sulle grandi questioni, piuttosto che dividerlo in mille pezzi o in forzose bipolarizzazioni. Perché è questa la lezione che si deve trarre dal confronto Renzi-M5S di ieri (un confronto con toni pacati che se fosse stato concesso a Bersani ora staremmo in ben altrissima situazione). Un confronto che è la prova palmare della non necessità di un premio di maggioranza che garantisca comunque un vincitore sin dal giorno dopo (sovra-rappresentandolo rispetto al Paese), eleggendo così una sorta di dominus (visto che le organizzazioni politiche sono ormai del genere ‘padronale’).

Perché è questo il sale della democrazia: la mediazione, il dibattito, la ricerca di una soluzione comune e, poi, un voto a maggioranza che non sia, perciò, lacerante. Una ricerca che magari è faticosa, complicata, ma che produce (alla luce del sole) incontri (o scontri) che, se governati con cura, sono più fertili a lungo andare della decisione secca presa senza sconti per nessuno dal ‘vincitore’ di turno. Il paradosso della trattativa di ieri è stato questo: si ‘mostrava’ a tutti la possibilità di una discussione produttiva, e di una mediazione possibile, assumendo però a contenuto della discussione (da parte di Renzi) la necessità di una legge che tagli in due da subito il fronte politico (vincitore e sconfitti), immaginando che questa ‘vittoria’ possa essere la migliore garanzia politica possibile, anche sul piano del governo effettivo del Paese. Veniva insomma adottata in streaming la pratica e il metodo del confronto civile, sostenendo tuttavia che funzionava meglio il metodo del vincitore ‘senza se e senza ma’, del vincitore del giorno dopo. La pratica che smentisce la teoria, insomma.

La governabilità è meglio che le preferenze, ha detto Renzi. Come dire: chi vince è più importante di chi rappresenta. Eppure il premier ha tre forni aperti in questo momento (FI, Lega e M5S), e non è solo un fatto tattico, ma la prova che l’Italicum (o cos’altro) nasce, deve nascere da una trattativa, e nascerebbe comunque da una trattativa anche se il PD da solo avesse una maggioranza schiacciante in Senato. È ovvio che il 41% di Renzi è un’ottima precondizione per trattare, avendo prodotto dei riconoscimenti e delle legittimazioni presso l’avversario politico. Ma ciò non toglie che, come Renzi stesse ammette, non si fanno le riforme istituzionali da soli (e io dico anche le riforme VERE, quelle che durano più di un lasso di legislatura), senza un ampio arco di consensi. A prescindere da chi detenga la maggioranza. Così come, da soli, non si governa il Paese, nemmeno se si disponesse del 90% a causa, magari, di un folle premio di maggioranza. Per questo resto del parere che è meglio avere un governo ampio e rappresentativo, piuttosto che assegnare a un pezzo minoritario del Paese stesso una maggioranza soverchiante e senza contrappesi. Non è solo la qualità della democrazia, è soprattutto la qualità e la durevolezza della proposta legislativa.

Chiudo con questo. Se il trentennale di Berlinguer fosse stato celebrato politicamente e non ‘narrativamente’, ora staremmo di nuovo a discutere di ‘compromesso storico’. Ma che cosa fu il ‘compromesso storico’? La proposta di un metodo, anche. Un’indicazione pratica, oltreché un grande orizzonte democratico per un Paese lacerato, con incerte prospettive future, già stretto dalla crisi. L’idea che un Paese, il suo popolo, le sue istituzioni, i suoi partiti dovessero riunirsi attorno a grandi obiettivi, e dovessero farlo sperimentando sempre il dialogo, quello stesso dialogo che Moro e Berlinguer incarnarono per una brevissima stagione, subito stroncata da molti e diversi nemici spesso in combutta tra loro. Si trattava di trovare il margine più ampio di concordia e di unità per poi dividersi, eventualmente, al momento delle scelte parlamentari. Ma l’idea che non si potesse governare col 51% era tutta qui, nella convinzione che il governo è una cosa, le battaglie elettorali e la disputa politica un’altra. Fu una grandissima intuizione di Berlinguer, a cui Moro volle andare e vedere le carte, convinto a sua volta che l’unità popolare, la centralità del Parlamento, la mobilitazione di un’intera nazione paghino più delle vittorie ‘senza se e senza ma’ di questo o quello, e dei bipolarismi forzosi. È una lezione che vale ancora oggi. Tanto più, direi.

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