Fonte: Lucia Del Grosso
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di Lucia Del Grosso – 12 marzo 2016
Forse non aveva previsto la traslazione del PD nell’area di destra, ma qualcosa di molto inquientante sì. D’Alema aveva detto mentre gli altri festeggiavano il tripudio della democrazia delle primarie che un partito che non si assume la responsabilità di proporre il suoi candidati, ma affida la scelta ai gazebo non è un partito serio. D’Alema aveva detto che non è sensato fondare un partito in cui si mette insieme un po’ di sensibilità ai diritti civili, un po’ di ecologismo, qualche richiamo generico ad una sinistra senza aggettivi e mischiare il tutto per farne un soggetto politico senza qualità. Tanto privo di contenuti da non poter essere chiamato che genericamente “democratico”.
Forse aveva preconizzato per quella creatura malaticcia un destino banale, di meteora che passa veloce in una fase confusa della storia, ma poi le cose si chiariscono e ognuno torna a fare il suo mestiere: la sinistra a fare la sinistra, la destra a fare la destra e il centro a fare il centro.
Non è andata così. Il PD non è stato un inutile esperimento che si svolgeva sotto l’osservazione scettica di D’Alema. Il PD è stato molto, ma molto peggio, ha incubato un mostro politico che in meno di due anni ha realizzato almeno 3/4 del programma P2 e la sua gestazione è avvenuta mentre D’Alema era in tutt’altre faccende affaccendato: immaginava riforme avviate da una sinistra finalmente al governo.
Come D’Alema potesse sperare di “fare cose di sinistra” solo azionando le leve di governo, mentre il “suo” popolo giocava ai gazebo, lo sa solo il Cielo. Mai nella storia ha avuto successo un riformismo senza popolo e D’Alema, che non è un illuminista, lo sa bene. Ma ha coltivato questa illusione e l’ha spacciata ad una base militante cresciuta a “partito di lotta e di governo” e invecchiata a “partito di governo e basta”, diventata ingorda di vittorie e avara di battaglie, senza più voglia di discussione e partecipazione.
Ma poi, siamo tanto sicuri che avesse margini per agire altrimenti, che avesse la forza di opporsi al narcisismo di leader senza partito che chiedevano la legittimazione popolare delle primarie (senza fare nomi, Prodi, per esempio)?
E ora eccoci qui, a dividerci tra fan e detrattori di D’Alema. Non credo che la questione sia la sua assoluzione o la sua condanna per quello che avrebbe potuto essere e non è stato.
Credo invece che D’Alema abbia il dovere di non fermarsi a metà della sua denuncia, di non tacere sui vizi originari del progetto dell’Ulivo e del PD, e soprattutto di non rimuovere passaggi al solo fine di cercare sponde nella sinistra PD: è inutile, e il coro imbarazzato che si è levato da quelle parti dopo la sua intervista lo dimostra. E’ una classe dirigente che non immagina un’avventura politica diversa da quella che ci ha condotto fin qui, se non per il piccolo dettaglio rappresentato da Renzi, come se Renzi fosse solo una brutta parentesi da chiudere in fretta. E’ una classe dirigente che non ha nessuna intenzione di intraprendere il duro lavoro di confrontarsi con il suo popolo originario, sa che ormai è fuggito e non tornerà più; sa che è stato soppiantato da altri riferimenti sociali e “realisticamente” si rivolge ai nuovi arrivati.
Lasciali perdere, D’Alema, rimarranno nel PD “con tutti e due i piedi” e in perfetto equilibrio, non ti aiuteranno a dare una spallata a Renzi, potrebbero sbilanciarsi e cadere.
Il tuo tempo è finito, la sinistra PD non ti seguirà e anche fuori del PD nessuno ti cercherà.
Ma un favore alla sinistra e all’Italia puoi ancora farlo: dire fino in fondo dove tu e gli altri avete sbagliato. Sarebbe un prezioso contributo per fugare le nebbie in cui anche la nuova sinistra che sta nascendo potrebbe finire.
E’ il favore che solo i grandi sanno fare.