Dopo Macerata. Ricostruire un Paese distrutto, ecco il compito della sinistra

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 6 febbraio 2018

Qual è il sentimento di questo Paese? E prima ancora: un sentimento va di per sé compreso, o giustificato se non alimentato? E che accade ad alimentare, e quindi a cavalcare un sentimento purchessia? Forse se ne ricava una ‘vittoria’ elettorale, ma dopo? Quali atti di governo prefigura aggrapparsi a un’onda sentimentale? E che accadrà dopo le urne? Sono domande non peregrine, che presuppongono una visione della società da cui dipende senz’altro anche una qualità della politica. Cento anni fa, Vilfredo Pareto scriveva che “gli uomini si lasciano persuadere in principal modo dai sentimenti (residui)”. Residuo è ciò che resta dopo aver rimosso la vernice logica dalle argomentazioni e dai sistemi culturali. Questa residualità dominante e che costituisce il nocciolo pulsionale di ogni sistema argomentativo, sospinge verso una sorta di deriva la politica, rafforza i pregiudizi, determina il trionfo delle pulsioni sulla forma istituzionale. Se si intendesse costruire l’azione politica sulle pulsioni stesse ciò andrebbe benissimo, ma la sinistra questo non può assolutamente permetterselo.

Serpeggia nel Paese un sentimento razzista, che deriva, per un verso, dalle difficoltà di una società sofferente socialmente, con poco lavoro e poca istruzione, ma per altro verso è amplificato da una solida azione ideologica della destra. Cavalcare questo retroterra socioculturale è lo sport della Lega e dei fascisti, secondo uno schema che ha già funzionato a Roma nel 2008 (ricordate il tragico caso della signora Reggiani?). Alemanno arrivò in Campidoglio anche sull’onda di quell’evento, perché la destra vi salì sopra, lo alimentò e si lasciò trascinare. Rutelli perse anche per quella circostanza. I fatti di Macerata sembrano ripetere lo stesso schema: una violenza efferata, a cui è seguita una reazione sconsiderata, che produce nell’opinione pubblica un’ondata emotiva e una domanda ancor più forte di sicurezza. Non è un caso che un bianco che tenta una strage di neri non porta a condannarne le sue gesta, ma a certificare soprattutto sui media un’ ‘invasione’ da parte degli stranieri (che i numeri non suffragano affatto, peraltro).

Che deve fare la sinistra in questi casi? Parlare anch’essa alla pancia del Paese, fare proprio il sentimento che si leva, entrare in connessione sentimentale con questi umori? Scavalcare a destra la destra? Rendere i sondaggi una guida? Oppure reagire al sentimento che si leva, comprenderne le motivazioni ma denunciarne la deriva penale, l’odio che innesca, mostrando come il risentimento sociale produca solo violenza e non risolva alcunché? Direi la seconda senza alcun dubbio. Anche se ciò dovesse costare consenso. Vincere sui sentimenti dominanti, prestare ascolto acritico a ciò ‘che sale dal Paese’ è già l’annuncio di un futuro governo follemente demagogico, di mero ritorno all’ordine sociale. Pur non concedendo nulla al razzismo e al fascismo (vorrei vedere) si tratta invece di capire a fondo le ragioni di questo risentimento. E quali sono? Il lavoro che non c’è, le periferie e le province che si sentono ai margini, l’abisso che separa sempre più i governanti e i governati, e che condanna i ‘residuali’ (nella accezione di Pareto) alle proprie pulsioni, senza istituzioni capaci di dare forma a queste spinte antisociali.

La sinistra, insomma, deve fare la sinistra, e restituire ai cittadini, ai lavoratori, ai soggetti ultimi e precari partecipazione e protagonismo politico. Deve sanare gli abissi, parlare di sviluppo, ricostruzione e tentare di ricucire le ferite. Lavoro, tutele del lavoro, scuola, chance culturali, democrazia di massa, partecipata, rappresentativa, rappresentanza: sono queste le chiavi per evitare che gesti come quello del fascista di Macerata attecchiscano socialmente e politicamente, per evitare che si crei consenso attorno alle faide in strada. Gli stranieri sono solo il feticcio su cui si orientano e si proiettano le pulsioni, lo scontento, i dubbi, le ansie, le insicurezze diffuse, su cui attecchiscono il fascismo, la disintermediazione, l’immediatezza, le vie brevi antiistituzionali. Non è facile parlare al Paese che non vota, che è scettico, che ignora, che è ultimo, che si è perso per strada. Ma questo oggi è il compito principale della sinistra. Non basta dare un’immagine d’ordine, alla Minniti per intenderci. Non serve rincorrere le grida per ‘vincere’ le elezioni (che poi si perdono regolarmente). Va battuta un’altra strada invece, quella della ricostruzione di un Paese ridotto allo stremo dalla Seconda Repubblica, dalla crisi, da una classe dirigente improvvisata, da media incapaci di fare informazione. Roba da far tremare i polsi. E che non dovrebbe affatto spingere molti, anche a sinistra, a fare i cinesi sulla riva del fiume. La vita di tutti viene prima.

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