Fonte: politicaprima
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Non quello che oggi si spaccia per amore e, alla fine, non è che una maniacale rincorsa al soddisfacimento della passione sessuale senza lo scopo primario che esso, secondo il disegno della natura, comporta: la procreazione, ovvero la capacità umana di “dare la vita”.-Giugno del 2006. I visi sorridenti di due donne colpite da una gravissima malattia, rifiutano le cure per non compromettere la nascita della creatura che portano in grembo. Sono cose che fanno riflettere poiché appena ieri, se non oggi stesso, sulla stessa pagina e di seguito alla notizia, si racconta di bambini trovati ai margini di una strada o in qualche cassonetto della spazzatura, qualcuno ancora in vita, altro portante i segni di una degradante violenza. Istintivamente la mia mente. stanca per età, torna indietro nel tempo, ai ricordi dell’infanzia e dell’adolescenza.Un episodio avvenuto, alla data di oggi, ben ottantasei anni fa. Era l’anno 1929, l’undici febbraio, quello in cui il Governo di Mussolini concluse il concordato con la Santa Sede che pose fine alla cosiddetta “Questione Romana”. Quell’evento ancora oggi fa parlare di sé per i riflessi politici che ebbe e che ha ancora oggi nella storia del nostro paese.
Nella ‘presila’ catanzarese in quei giorni, in un piccolo paese, abbarbicato ad ottocento metri di quota, sulle pendici del Monte Angaro, nella Sila Piccola, accadde un fatto tanto eccezionale da portare il piccolo borgo nelle prime pagine dei giornali nazionali. Quel paesino si chiamava Sersale. Dal nome del feudatario, il Barone Sersale, che cedendo quel territorio, nel 1620, a dodici famiglie di coloni, aveva permesso il formarsi di una minuscola comunità autonoma di boscaioli e contadini.
Quell’anno, nel mese di febbraio una nevicata di particolare virulenza, si abbatté sulle montagne e colpì proprio il territorio del nostro comune, seppellendolo sotto una coltre di neve che raggiunse i due metri di spessore. A quell’epoca io contavo circa otto anni. Risiedevo a Sersale da appena due anni, provenendo da Genova. Mio padre originario del borgo, volle riunirsi alla famiglia d’origine che nel territorio possedeva alcune proprietà. Ricordo benissimo lo stupore per la gran nevicata, era la prima volta che mi accadeva di vederne una di quella imponenza.
Il 21 febbraio 1929, una disgrazia avrebbe coinvolto sentimentalmente tutta la nazione.
Quel giorno, Carmela Borelli moglie di un pastore, vista la brutta piega che stava prendendo la situazione metereologica, al fine di riportare a casa in paese i figli ancora in tenera età, lasciò al marito la cura del gregge nell’ovile, a qualche chilometro dal paese, e fatti montare sull’asino i figli si avviò alla volta di Sersale. La tormenta non cessava, il nevischio ed il vento raddoppiavano la fatica della donna che sospingendo l’asino cercava di raggiungere il paese e la sua casa.
Nessuno può dire se fu la tormenta o altri fattori naturali ad avere il sopravvento sulla poveretta, di certo qualcosa la indusse a far scendere i figli dall’asino e a cercare, con loro, riparo sotto i castagni tra i quali correva il sentiero che avrebbe dovuto condurla a casa, senza, peraltro, accorgersi che ormai si trovava alle porte del paese.
La cavalcatura fu ritrovata stecchita sotto un cumulo di neve. Ma ben altro cumulo la neve produsse sui corpi delle tre creature. Un altro pastore, anche lui in viaggio verso casa, si trovò all’improvviso dinanzi, nella scarsa visibilità della tormenta, la macabra visione di una mano affiorante dalla coltre nevosa ai piedi di un castagno. Si affrettò a dare l’allarme e guidò un gruppo di volontari fino al cumulo. La neve fu spalata e agli occhi dei soccorritori si presentò una scena quanto mai emozionante. Carmela Borelli, completamente nuda, era morta assiderata sdraiandosi sui corpi dei figli, che aveva avvolto nelle sue vesti, proteggendoli dal freddo e dalla neve.
Ho scritto in apertura che oggi non è raro appurare di bambini abbandonati dalle madri nei cassonetti della spazzatura, oppure nei luoghi più impensati, per sottrarsi al peso ingombrante di una maternità evidentemente non desiderata e voluta, conseguenza, in ogni modo, dell’edonismo e dell’egoismo predominanti nella quotidianità del nostro tempo e che, con ipocrita sfacciataggine, viene paludato del sostantivo “Amore”.
Crudele testimonianza di un universo umano che si sottrae alle proprie responsabilità naturali in nome di una pretesa e conclamata libertà. Non che nei tempi che furono non occorressero episodi simili ma erano delle eccezioni e il più delle volte i frutti involontari ed innocenti del disordine morale trovavano la via di qualche caritatevole brefotrofio, nella “ruota” collocata a lato degli antichi monasteri.
I due figli di Carmela, grazie al sacrificio della loro umile madre, furono salvi e ai volenterosi soccorritori toccò l’ingrato compito di portare in paese il corpo congelato e senza vita della poveretta. Il Podestà in carica ritenne giusto che il fatto valicasse i confini del paese e così la stampa fu informata di quanto era accaduto. Allora non esisteva la televisione e la radio era patrimonio di pochi eletti. Esistevano i corrispondenti locali dei grandi quotidiani, mio padre, ad esempio lo era del Giornale D’Italia. I corrispondenti entrarono in campo e la Nazione fu informata.
La notizia fu, così, nota a tutta l’Italia che si commosse e si mobilitò in favore dei due piccoli orfani e per il riconoscimento dell’eroismo di Carmela Borelli.
È ben noto come il fascismo desse molta importanza all’istituto familiare e l’evento che si prestava all’esaltazione della figura della madre, “angelo del focolare”, come si soleva definirla, non fu fatto cadere… là dove si poteva. Le Piccole Italiane di Milano, sollecitate dal direttore del loro giornale, il Prof. Tortoreto, aprirono una sottoscrizione per i primi soccorsi ai piccoli orfani e per raccogliere i fondi necessari a un monumento che ricordasse negli anni a venire la Madre Eroica. Il simulacro, una colonna marmorea spezzata, fu consegnato al Comune di Sersale e lo stesso professore pronunciò la preghiera che aveva composta: <<Signore, Ella diede a noi il più alto esempio di amor materno: Accoglila nel Tuo regno celeste! Signore, Ella diede due volte la vita per le sue creature: Concedile la vita eterna! >>.
Il monumento fu posto sul lato sud della Piazza San Pasquale, a poche centinaia di metri del luogo del sacrificio e per dare maggiore significato all’eroico gesto, venne proposto di istituire, in nome dell’eroina, “La giornata della Madre”. I tempi sono mutati, ma possiamo dire che di “Madri Eroiche” forse ce ne sono ancora.
Come si è già detto in passato se qualcuna si separava dal cosiddetto figlio della colpa, lo faceva però non ricorrendo ai cassonetti della spazzatura. Dobbiamo forse pensare che l’uso di oggi è conseguenza della conquista, da parte delle donne, dei “diritti civili”? No! le mamme di cui dicevamo all’inizio ci danno una secca smentita.