Nostalgia

per Gabriella

di Alfredo Morganti – 17 luglio 2014

C’era una scritta tanti anni fa nel quartiere Prenestino a Roma. Io ero uno studente delle superiori e la vedevo ogni qualvolta mi aggiravo dalle parti di Largo Preneste. Diceva: “Non programmi ma uomini nuovi”. Era firmata, mi pare, dal Fronte della Gioventù, l’organizzazione giovanile del vecchio MSI, che a via Erasmo Gattamelata aveva una delle sedi più note in città. Noi ragazzi dicevamo che quello era, in sintesi, il manifesto della destra: un uomo solo al comando, tanti fedeli gerarchi attorno, poche idee, quasi tutte anti-istituzionali, uno che pensa e programma per tutti, e gli altri fedeli a fare legna in nome del Capo. La nostra sinistra era invece fatta di partecipazione, discussioni, programmi lunghissimi, cultura, idee sin troppe, militanza nei quartieri. Disegni antitetici, insomma. Non avrei immaginato che quella scritta mi sarebbe tornata a mente oggi, e non per stranissime e incongrue associazioni mentali, ma per ragioni solidamente concrete. Non avrei immaginato che un giorno ci sarebbe stato un ‘cambio verso’ tale (questo sì) da ribaltare persino i miei più solidi parametri di pensiero. Dice la scritta: “Non programmi”, ossia basta con le chiacchiere, la palude, i dibattiti incessanti, le lunghe liste di cose da fare che non si fanno mai, le alleanze, le mediazioni infaticabili, la necessità di dare ordine e coerenza alle proprie idee, gli intellettuali, i partiti, i forchettoni. “Ma uomini nuovi”, ossia gente veloce, gente smart, che si impegna a cambiare le cose, che mette ordine, che ha idee forti, decise, e non perde tempo in soverchie discussioni, ma gioca di intuito, annusa l’aria e capisce il vento, decide per tutti e magari fa pure camminare i treni in orario, e nel mondo riporta dignità al nostro Paese contro i plutocrati.

Be’, non cogliete qualche assonanza con certi recenti nuovismi, non cogliete il ‘cambio verso’ che semmai lo riporta indietro (il verso)? Un gattopardismo che ‘cambia tutto’ perché nulla cambi o si trasformi davvero, e persino peggiori? Stamane esco dalla metro Colosseo e, sulla scala, mi affianca un settantenne che a voce alta invoca ‘quello’ che c’era stato settanta anni fa, ché lui sì avrebbe rimesso tutto in ordine e tutti in riga, fatto lavorare chi doveva lavorare, e fatta passare in orario la metro. Ce l’aveva confusamente con i ragazzi che usavano il cellulare (non capivo il nesso con la metro, ma dà l’idea del tipo) e cercava attorno gente che sostenesse quelle sue opinioni autoritarie (uomini nuovi, appunto, e decisi in tutto e per tutto). Ne aveva ben donde sullo stato della metro, davvero desolante purtroppo. Ma non tale da richiedere un duce, ovviamente. Ah, dimenticavo di dire che invocava ‘quello’ di settanta anni fa un po’ al buio, senza aver conosciuto di persona il ventennio: ‘premetto che non ho vissuto quei tempi’ diceva agli interlocutori che lo spalleggiavano attorno e persino rilanciavano il suo delirio. Vi confesso di aver provato una certa rabbia nei suoi confronti. Ho pure pensato (chiedendo scusa alle migliaia di vittime dello stadio di Santiago e desaparecidos): a te basterebbe anche un solo quarto d’ora di Pinochet per invocare subito e con una certa foga un dibattito parlamentare vero, purchessia, e un profluvio di chiacchiere istituzionali a oltranza o una legge proporzionalissima, purché rappresentassero un senso anche lontano, anche esile di democrazia. Dove ci si affida alle idee, ai programmi, ai dibattiti e si decide liberamente alla luce del sole, e non al primo affabulatore che si para innanzi, invocando liste bloccate e maggioranze bulgare, esagerate, debordanti per governare soli soletti a briglie sciolte.

fellini1

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