di Alfredo Morganti
Open. O forse Closed. Renzi è a un bivio
A me importa il dovuto delle inchieste avviate dalla magistratura. Normalmente si resta in attesa dei loro esiti, ed è quello che faremo. A me importa del fatto politico. Questa storia della Fondazione Open dice una cosa evidente, ossia che essa raccoglieva copiosi finanziamenti (taluni in chiaro, altri coperti da riservatezza) successivamente riversati sulla politica: le Leopolde, i Comitati renziani, taluni deputati o dirigenti vicini a Renzi. Così almeno riferisce Fabio Tonacci su “Repubblica” di ieri. Secondo la magistratura, però, si sarebbe trattato di un finanziamento sui generis ai partiti: come se la Fondazione Open agisse da filtro, indirizzando il denaro non alle casse del PD nella sua interezza, bensì solo a una parte ben circoscritta di esso. Ossia a quella parte che progettava da tempo un altro partito ma che già si muoveva con una certa libertà d’azione. E che era nello stesso tempo dentro e fuori dal PD (più fuori che dentro), come il noto gatto di Schrödinger, paradossalmente morto e (italia)vivo nello stesso tempo. Renzi lo ha confermato, peraltro. La sua accusa alla magistratura è politicissima. Non devono decidere i giudici come nasce un partito, spiega. E si riferisce indubbiamente a quel ‘satellite’ politico che dal PD si sarebbe (alle brutte) staccato, ma che già nel PD funzionava come un corpo estraneo, per quanto fosse maggioranza di esso.
Ad aggravare questa ipotesi, c’è il fatto che Renzi era anche il segretario di questo partito, non un dissenziente marginalizzato. Che, da segretario, agiva come un avversario, come se quel partito fosse un corpo estraneo, un involucro che mal sopportava. Un segretario-avversario che accusava gli altri di fare le scissioni, quando la scissione vera era parte organica del suo progetto politico più puro. Renzi è sempre stato uno scissionista dentro. E lo era tanto più quando cacciava di fatto dal PD i suoi oppositori (do you remember? “Fuori, fuori!”). Mai un partito politico aveva avuto un massimo dirigente così sideralmente lontano da esso. Nell’epoca dei partiti personali, il PD era in realtà il partito più impersonale di tutti, peggio: più solidamente alieno dal suo capitano. Sbaglia, dunque, chi crede che il Partito Democratico fosse il partito “di” Renzi: l’ex Sindaco questo partito non lo ha mai sentito suo, se non in termini padronali. Prima di essere segretario non andava nemmeno alle riunioni della Direzione, tradendo fastidio. Tant’è che si è mosso e ha agito, anche in termini di risorse, in modo del tutto avulso, persino contro l’organizzazione che pure dirigeva, totalmente concentrato sul suo progetto di fondo, quello sì personale: azzerare il PD per convogliarne la parte più consistente nel nuovo partito vivaistico. Che sarebbe sorto come succedaneo dal precedente, inglobandone le strutture e il nome, oppure dalla sua ‘catastrofe’ finale. Fate voi.
Così è andata, anche se Renzi avrebbe preferito ‘mutare’ in via definitiva il partito, piuttosto che doverlo abbandonare con una scialuppa verso l’azzardo del raggruppamento di stile macroniano. Un esito che somiglia tanto a un Piano B e a una mezza sconfitta. A dimostrazione che, per quanto Renzi sia un esito degenere del partito leggero e all’americana, senz’altro il suo figlio peggiore, d’altra parte di quella tradizione è, pure, il più fiero avversario. Solo un acerrimo avversario, difatti, potrebbe avere come proprio fine la distruzione della propria stessa famiglia politica, in nome di ingorde ambizioni e di un progetto politico assolutamente ‘altro’ ed eterodosso. Che è poi quello che racconta la vicenda Open, la storia delle Leopolde, il giglio magico, i comitati referendari (e non) che si sono succeduti sfacciatamente in questi anni, come una specie di lento Calvario della sinistra storica italiana, dal quale è ora di uscire verso una rifondazione generale, che riguardi tutti, ma proprio tutti.