«Pago meno gli africani». Schiavi all’asta a Terracina

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Antonio Maria Mira
Fonte: Avvenire

Ecco come i caporali trattano al ribasso con gli indiani. Bus carichi di braccianti che finiscono in balia degli sfruttatori

di Antonio Maria Mira, Terracina (Latina) – 21 luglio 2018

Un’altra alba, un’altra cittadina, un’altra etnia. Ma lo stesso sfruttamento. Dopo Mondragone siamo a Terracina, grosso centro costiero della provincia di Latina, turismo, pesca e ricca agricoltura. I turisti dormono ancora, i pescherecci stanno scaricando per il mercato del pesce. Ma il mercato delle braccia è già a pieno ritmo.

Alle 4 di mattina in via Gramsci (ironica coincidenza) arrivano in bicicletta centinaia di indiani e bengalesi. Ad attenderli sono sei pullmini. Sono di un caporale bengalese che li carica per portarli nei campi tra Borgo Hermada, Sabaudia e Borgo Sabotino. Si fa pagare 2 euro a persona. Ne carica 15 a pullmino e fa sei viaggi, come possiamo osservare tenendoci un po’ lontani. Tutto avviene nel centro della cittadina, indisturbati, nessuno interviene o controlla. Malgrado avvenga tutti i giorni.

Alla fine sono più di cinquecento i braccianti trasportati, per più di mille euro. Davvero un ricco affare, come dimostra il fatto che il caporale possieda ben sei pullmini. Mentre i braccianti sono pagati dagli impreditori, con molte probabilità complici del caporale, 3 euro l’ora. Per più di 10 ore. Carote, zucchine, cocomeri. Tutto a mano. Sotto questo sole implacabile. Ma non sono soli. Seguiamo, a distanza, gli ultimi pullmini. Ci accompagna Marco Omizzolo, sociologo, responsabile scientifico della cooperativa InMigrazione. E sui campi la scena è nuova. Fianco a fianco i multicolori turbanti dei Sikh e giovani africani richiedenti asilo. Un anno fa avevamo scritto del rischio di una contrapposizione tra gli indiani, che hanno cominciato una sindacalizzazione, fino al primo sciopero del 18 aprile 2017, e i più fragili subsahariani. Oggi vediamo una coabitazione. Ma al ribasso. Il fine è infatti sempre lo stesso: tenere bassi i salari.

Prima dello sciopero i sikh prendevano 2.50 euro l’ora, dopo 4.50, ora si è scesi nuovamente a 3 euro. Mentre il contratto ne prevede 9 per 6 ore. «Ai richiedenti asilo va bene perché nei centri che li ospitano hanno già vitto e alloggio – ci spiega Omizzolo –. Così l’imprenditore dice ai Sikh «vi prendo ma a queste condizioni». Gli indiani sanno che è un peggioramento ma lo devono accettare perché con la sostituzione dei giovani africani non lavoravano, così sì». Non è una guerra tra poveri, è un doppio sfruttamento. Oltretutto sui richiedenti asilo che dovrebbero essere tutelati, inseriti in progetti di formazione e lavorativi, e non abbandonati nelle mani del lavoro nero.

La conferma l’abbiamo nelle campagne di Borgo Sabotino, vicino a un Cas. Fermiamo due ragazzi africani in bicicletta, facendo finta di essere caporali. «Cerchiamo gente per lavorare per i nostri campi». Peter, 29 anni, nigeriano, arrivato in barcone dalla Libia è molto interessato. «Sei ospite del centro?». «Sì, da due anni». «Lavori?». «A Terracina, assieme ad altri del centro». E dice di averlo fatto tante volte. Comunque è disponibile a venire a lavorare da noi. Vuole sapere dove e quanto è la paga. «Dacci il telefono che poi ti chiamiamo. Dillo anche agli altri». Detto e fatto. E il numero finisce sul cellulare di Omizzolo, ma in vista di un possibile aiuto.

Un colloquio che conferma alcuni gravi fatti. Non solo l’utilizzo nei campi dei richiedenti asilo, ma anche la loro lunga permanenza nei Cas. Troppo lunga, anche tenendo contro degli interminabili tempi dell’iter burocratico per il riconoscimento di rifugiato.

Investigatori e magistratura di Latina (ma anche la Dda di Roma) tengono ben aperti gli occhi sul traffico dei migranti e sul loro sfruttamento. «È evidente che dietro ci sono delle organizzazioni», ci dice un investigatore. Sullo sfruttamento dei sikh hanno le idee molto chiare. «Arrivano regolarmente ma poi quando scade il permesso di soggiorno diventano irregolari e finiscono in mano ai caporali». Il fenomeno dello sfruttamento dei richiedenti asilo è invece nuovo anche per loro, ma stanno approfondendo. Proprio per questo, ci dice convinto, «la legge sul caporalato è molto utile. Sta funzionando bene, ci permette indagini più efficaci, anche grazie alle intercettazioni, prima impossibili. Così possiamo colpire oltre ai caporali anche gli imprenditori che sfruttano i braccianti». Ma, ci dice anche lui, «servirebbe qualche incentivo per convincere i lavoratori a denunciare gli sfruttatori».

E a proposito di imprenditori, ci rivela che «esponenti della camorra napoletana hanno comprato terreni nella zona. Sono in particolare quelli sconfitti nelle ultime “guerre” tra i clan, che hanno preferito andarsene per salvare la vita e i soldi che hanno investito in questo territorio».

Proprio su uno di questi terreni, di proprietà di una “famiglia” ben nota, alla periferia di Sabaudia, vediamo al lavoro sikh e africani. È l’ora di pranzo, il contratto prevederebbe una pausa e non sui campi. Invece sono lì sotto il sole, piegati in due a raccogliere zucchine. Poco più avanti, in un campo di cocomeri già raccolti alcuni giovani richiedenti asilo stanno estirpando le piante secche. Si potrebbe fare a macchina, ma convengono molto di più questi nuovi schiavi.

Leggi anche la prima puntata Due euro l’ora e nei campi anche i bambini

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