Piergiorgio Odifreddi: È stato il Santo Padre più frainteso di sempre

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Piergiorgio Odifreddi
Fonte: La stampa

Piergiorgio Odifreddi: È stato il Santo Padre più frainteso di sempre

Papa Francesco è stato forse il pontefice più frainteso e adulato dalla stampa e dai fedeli, che all’unisono l’hanno presentato come un uomo di innovazione e di cambiamenti epocali, anche quando l’evidenza dei fatti e la sobrietà dei giudizi avrebbero dovuto ispirare un atteggiamento più equilibrato e sobrio.

Per esempio, tutti ricordiamo il «Buonasera» con cui aprì il suo pontificato il 13 marzo 2013, la sera della sua elezione in Piazza San Pietro, ma tutti abbiamo dimenticato l’analogo «Buonanotte» con cui Benedetto XVI aveva chiuso il suo il 28 febbraio, la sera delle sue dimissioni a Castel Gandolfo. Qualcosa di subliminale ha portato il pubblico a considerare la prima espressione come straordinaria, e la seconda come ordinaria, benché avessero la stessa identica valenza linguistica.

Ancora di più ricordiamo il famoso «Chi sono io per giudicare un gay?», sul volo del 28 luglio 2013 di ritorno da Rio de Janeiro, strombazzato dai media come una storica apertura nei confronti dell’omosessualità, quando invece era stata l’imbarazzata reazione del neoeletto pontefice di fronte alla sua azzardata nomina allo IOR di monsignor Battista Ricca: un collaboratore dai trascorsi sessuali molto chiacchierati, degradato dai vertici della diplomazia vaticana alla direzione dell’albergo di Santa Marta, e inopinatamente promosso da Francesco a prelato della banca vaticana.

In seguito Bergoglio fece scelte altrettanto sfortunate. Per esempio, quelle di due membri dell’Opus Dei, monsignor Lucio Balda e la signora Francesca Chaouqui, alla COSEA, la neonata Commissione Organizzativa della Struttura Economico-Amministrativa della Santa Sede. Entrambi finirono processati e condannati nell’ambito dell’inchiesta sullo scandalo VatiLeaks 2, sul quale padre Federico Lombardi ha scritto un omonimo libro, per cercare di rimediare al danno di immagine causato dalle scelte azzardate del suo principale.

Dodici anni di pontificato non sono comunque bastati a papa Francesco per risolvere i due maggiori problemi che Benedetto XVI gli aveva lasciati in eredità, consegnandogli nel loro primo incontro a Castelgandolfo dei grossi faldoni di inchiesta al proposito: la chiacchierata banca dello IOR, e la scandalosa pedofilia ecclesiastica. Sulla prima, Bergoglio aveva sollevato grandi aspettative con una delle sue solite frasi ad effetto («San Pietro non aveva una banca»), ma l’Istituto per le Opere Religiose è rimasto dov’era e com’era, compreso il prelato Ricca.

Sulla seconda, Bergoglio ha agito nella sua solita maniera ondivaga: per esempio, tardando anni per ridurre allo stato laicale il cardinal Theodore McCarrick, e arrivando persino ad accusare nel 2018 le vittime del Cile di aver fabbricato le accuse contro il vescovo Juan Barros, pur vergognandosene in seguito.

D’altronde, che Bergoglio non fosse il progressista che i media hanno cercato di propagandare era evidente già dal suo passato argentino. Nel 2010, tre soli anni prima di venir eletto al soglio pontificio, il cardinale di Buenos Aires aveva violentemente avversato il progetto di legge per i matrimoni omosessuali, che non aveva comunque la maggioranza in Senato. Ma le parole di Bergoglio al proposito furono così retrograde, che la presidentessa Cristina Kirchner lo accusò di aver usato «toni da Crociata e da Inquisizione», e decise di prendere parte al voto. La legge fu approvata in Senato con 33 voti a favore e 27 contrari, e grazie al conservativismo di Bergoglio l’Argentina ha oggi una legge più avanzata di quella italiana.

Come mai allora papa Francesco è stato percepito come un progressista, quando non addirittura come un rivoluzionario? In parte, si sono scambiati i suoi toni populisti sudamericani per espressioni comuniste europee, come nel famoso «abbaiare della NATO ai confini della Russia». E in parte, si è fraintesa la sua tipica duplicità da gesuita per un parlare a senso unico, con un conseguente sconcerto fra i fedeli, incapaci di comprendere quali fossero le ondivaghe posizioni del Papa su temi quali la comunione ai divorziati, il sacerdozio femminile o il celibato ecclesiastico.

In fondo, però, la chiave per capire il pontificato di Francesco l’aveva fornita fin dagli inizi il cardinale Timothy Dolan di New York, ammonendo subito dopo la sua elezione: «Non aspettatevi un cambiamento nel prodotto, aspettatevi invece un cambiamento nella pubblicità». Questo crudo linguaggio mercantile aveva in fondo svelato il segreto gattopardesco del Vaticano romano, che gli ha permesso di superare indenne i secoli: “cambiare tutto, perché non cambi nulla”.

Naturalmente, fare pubblicità è un’impresa che non si improvvisa, e richiede degli specialisti. Il primo a fungere da spin doctor del Papa fu lo statunitense Greg Burke, un giornalista dell’Opus Dei, che in una rara intervista spiegò qual era il suo ruolo: «So quello che cercano i giornalisti, e di cosa hanno bisogno, e so come finiscono le notizie ai mezzi di comunicazione». In altre parole, sapeva a quali esche abboccassero i suoi colleghi, e gliele faceva lanciare dal nuovo papa, con gli ottimi risultati pubblicitari che si sono visti.

Il secondo spin doctor fu il colto gesuita Antonio Spadaro, per dodici anni direttore dell’influente rivista Civiltà Cattolica. Fu lui a fare la prima lunga intervista al nuovo pontefice, e molte altre in seguito, godendo dei privilegi di un accesso diretto al principale, e ad accompagnarlo in giro per il mondo nei suoi innumerevoli viaggi. In tal modo Bergoglio cortocircuitava le gerarchie ufficiali del Vaticano, e manteneva un filo diretto con la Compagnia religiosa a cui apparteneva.

L’immagine di papa Francesco è stata creata soprattutto da loro, anche se non corrispondeva affatto alla realtà. Per esempio, l’idea che Bergoglio fosse un rivoluzionario cozza con il fatto che il Vaticano sia rimasto tale e quale lui l’ha trovato: una monarchia assoluta patrimoniale di tipo medievale, in cui la pienezza dei poteri esecutivo, legislativo e giudiziario risiede nelle mani del capo di Stato, il quale ne possiede personalmente tutti i beni!

Papa Francesco ha spesso dichiarato che avrebbe voluto vedere la sua Chiesa povera, ma sapeva benissimo che sarebbe bastata una sua firma per renderla realmente tale, anche se ovviamente non l’ha mai apposta. Piuttosto, si è limitato a pauperistici gesti vuoti di significato, come l’uso di un appartamento a Santa Marta, invece che nel Palazzo Apostolico, o il muoversi con un’utilitaria per gli spostamenti corti, mantenendo ovviamente l’aereo per i viaggi lunghi.

Soprattutto, è un equivoco l’immagine del Papa ambientalista, propagandata anche dal legame con lo Slow Food e Carlo Petrini. In realtà, le maggiori minacce all’ambiente sono la sovrappopolazione e il consumo di carne. Ogni bambino occidentale che viene al mondo è una disdetta per il pianeta, perché aggiunge agli otto miliardi di abitanti già esistenti un consumatore che consumerà in media 80 volte di più di un bambino che viene al mondo nel resto del mondo. Eppure, il Papa ha continuato a celebrare ogni nascita come un dono di Dio, a sconsigliare la pratica degli anticoncezionali, e a considerare gli aborti come omicidi e i medici abortisti come “sicari”, con un’ottusità pari a quella dei fondamentalisti cattolici alla J.D. Vance: non a caso, l’ultimo politico da lui incontrato prima di morire.

Quanto alla carne, ogni giorno vengono uccisi nel mondo 200 milioni di animali e tre miliardi di pesci, con un consumo medio pari a 150 capi a persona all’anno. L’80% delle terre coltivate è già dedicato a pascoli o a mangimi animali, e la richiesta sempre maggiore è responsabile della deforestazione di vaste zone del pianeta. Predicare l’ambientalismo senza mai toccare il problema dell’eccesso di consumo di carne, è uno scandalo per un Papa che aveva scelto di portare il nome di un santo che aveva scritto un Cantico delle Creature.

In conclusione, mentre Benedetto XVI si muoveva strategicamente, e ha fallito tragicamente, Francesco ha agito solo tatticamente, e Thomas Eliot avrebbe detto che se n’è andato «non con un botto, ma con un gemito».

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