Fonte: Il Fatto Quotidiano
La novità è contenuta in poche righe di un emendamento presentato dalla Lega. Se approvato, per tre anni porterà la Stretto di Messina – la società incaricata di realizzare il ponte caro a Matteo Salvini – fuori dall’alveo dei soggetti pubblici. La prima conseguenza è che non si applicheranno le norme di “contenimento della spesa” previste fin dal 2009 e poi ampliate dal governo Monti in poi. La seconda, per così dire, indiretta, è che salteranno anche i tetti stipendiali per i vertici, gli unici rimasti dopo le modifiche dei mesi scorsi. È l’ultima trovata sulla maxi-opera da quasi 15 miliardi partorita dallo staff di Salvini. L’emendamento è stato infatti presentato al decreto Milleproroghe, in discussione alla Camera, e inserito tra i “segnalati” dai deputati leghisti ma è una precisa richiesta di Sdm e messa nero su bianco negli uffici del ministro delle Infrastrutture. Procedura lampo e blindata.
L’emendamento fa slittare (per ora) al gennaio 2027 l’inserimento di Sdm nell’elenco dei soggetti pubblici dell’Istat, decine di società ed enti statali a cui si applica la spending review. Parliamo di norme che nei quadri sinottici del Tesoro occupano 70 pagine e prevedono riduzioni di spese anno per anno: consulenze, emolumenti, consumi, gettoni per gli organi collegiali ma anche disposizioni su bilanci e gestione del debito. Sdm replica che la ragione è solo tecnica: la società è uscita dalla liquidazione decisa nel 2012 dal governo Monti ed è “operativa solo da giugno”, non esistono qui dati di spesa consuntivati su cui calcolare i tagli. In ogni caso, non ci sono “oneri aggiuntivi per lo Stato” e “non riguarda il sistema retributivo aziendale e i cosiddetti tetti agli stipendi”.
La realtà è più complessa. La norma dovrebbe produrre risparmi di spesa, che non ci saranno. Lo slittamento poi non è di un anno ma per un triennio e non prevede eccezioni se non “gli obblighi di comunicazione dei dati rilevanti in materia di finanza pubblica”: tutto il resto salta, limiti agli stipendi compresi. Nella relazione illustrativa si spiega che la norma è ispirata a una analoga applicata alla fondazione “Enea tech”, che però prevede di lasciare “i limiti alle retribuzioni, emolumenti ovvero compensi stabiliti dalla normativa vigente e le disposizioni in materia di equilibrio dei bilanci e sostenibilità del debito”, cosa che qui invece salta del tutto. Per tre anni, in sostanza, mano libera e niente risparmi. “La Lega regala alla società un plafond di spesa illimitato”, attaccano i 5Stelle.
La misura è solo l’ultima di una serie di modifiche, approvate nei mesi scorsi, che hanno trasformato Sdm in un unicum tra le società pubbliche non quotate. A dipendenti e consulenti non si applica infatti il tetto di 240 mila euro annui previsto per i manager pubblici e la società può assumere pensionati in deroga (l’Ad Pietro Ciucci ha 73 anni) che potranno superare pure i limiti di cumulo tra emolumento e pensione con la possibilità di derogare a tutte le norme per il reclutamento del personale, gli obblighi di trasparenza e gli obiettivi di performance.
Dopo le polemiche, Salvini ha sottratto solo Ciucci e il Cda dalla deroga al tetto stipendiale, ma subito dopo è arrivata la solita modifica che ha inserito Sdm nella “prima fascia” delle società pubbliche garantendole il massimo previsto. Lo stipendio è così passato dai 25 mila euro, sbandierati pubblicamente dal manager, a 240 mila, e con la nuova modifica potrà salire ancora. D’altronde Ciucci per Salvini è fondamentale, tanto da averlo richiamato alla guida del progetto: ha guidato Sdm per un decennio ed è il vero padre della maxi-opera che ha contribuito a trasformare una saga legale infinita grazie alle penali garantite ai costruttori e che ora rischiano di tornare. Ciucci ha infatti il compito di negoziare con il general contractor, guidato dalla Webuild di Pietro Salini, la pace dopo il contenzioso partito nel 2012 quando Monti fermò l’opera considerata uno spreco. Webuild voleva i 700 milioni di penale garantita dal contratto negoziato con Ciucci ed eliminata poi per legge.
Trovato l’accordo, andrà poi modificata la convenzione e approvato il Piano economico dell’opera e approvato il progetto definitivo. Difficile aprire davvero il cantiere nel luglio 2024 come promesso da Salvini. Se va bene, si fa per dire, sarà una finzione, ma poco importa: la manovra stanzia comunque 3 miliardi fino al 2027, 15 in tutto al 2037. “Assorbirà il 92% di tutte le spese infrastrutturali del decennio”, ha attaccato ieri l’Ance.