di Francesco Siciliano 10 gennaio 2016
Non sfugge la pericolosa personalizzazione del referendum costituzionale operata da Renzi. La leva sulla quale agisce è evidentemente la paura di un vuoto di potere in caso di sconfitta e conseguenti sue dimissioni, con possibile ascesa dei 5 Stelle alle elezioni anticipate, per riaggregare un blocco sociale piccolo e medio borghese attorno a lui, ed alle classi dirigenti. Classi dirigenti che nell’enorme ristrutturazione sociale che si è messa in moto in questi anni possono soltanto contare su una verticalizzazione del potere politico per tenere la briglia. Si tratta dell’ultima forzatura plebiscitaria e personalistica della politica italiana, oramai priva persino di resistenze, dopo lo svuotamento dei partiti e delle istituzioni di rappresentanza e l’egemonia culturale di una visione della politica vista come marketing delle risposte immediate ad interessi pratici, e non più come costruzione del senso del mondo.
A fronte di questa mossa di Renzi, che gli assicura ottime probabilità di successo, e che scivola via indisturbata (anche il Garante della Costituzione tace) una risposta efficiente non può essere quella di mettere su i banchetti e fare propaganda referendaria per il “no”, andare in televisione o sui giornali con il costituzionalista di turno che spiega il pericolo democratico del sistema disegnato da Renzi e dai suoi. La sproporzione di forze nella comunicazione è troppo ampia, l’opinione pubblica non capisce, in fondo sarebbe pronta ad accettare anche un nuovo Mussolini che le restituisca pane e sicurezze. Tutte queste cose sono fondamentali, intendiamoci. Ma non bastano.
L’unica speranza di far passare la nottata sta nel costruire una visione diversa di società, un modello alternativo, entro il quale ovviamente il disegno di riforma renziano non può stare. Scuotere il manto di indifferenza, cinismo e isolamento dettati dalla disperazione in cui la crisi ha gettato tanti italiani, costruendo una strada possibile, una speranza. Anche in caso di vittoria dei sì al referendum: perché niente è per sempre, tutto può essere ribaltato, ma occorre prima o poi arrivare ad avere la forza per ribaltarlo. Ora, è di tutta chiarezza che se la soluzione è quella di costruire un percorso verso un modello diverso di società, non si può stare con un piede dentro il paradigma, affermando di non condividerne alcuni aspetti, come quello sottoposto a referendum. Non siamo più in una condizione in cui l’opinione pubblica ha il livello di politicizzazione per comprendere simili sottigliezze, se così le vogliamo chiamare. Occorre stare con i due piedi da una parte o dall’altra della riga.
E’ quindi del tutto impensabile ritenere di poter partecipare a qualche Giunta comunale con il Pd renzianizzato alle Amministrative, evidentemente per ragioni di cadrega, e poi tre mesi dopo presentarsi per il “no” ad un referendum trasformato da Renzi in plebiscito pro o contro il Pd renzianizzato stesso. Non c’è credibilità, non c’è mordente. La stessa partecipazione alle primarie crea una contraddizione insanabile, perché le primarie apertissime in salsa piddina sono proprio lo strumento per svuotare di ruolo la rappresentanza intermedia tramite la santificazione della leadership plebiscitaria, che è esattamente alla base di una riforma costituzionale/elettorale: una riforma che, svuotando il Senato e comprimendo i poteri del Parlamento nel suo insieme, conduce proprio al leader unto del popolo che governa senza confronto con le rappresentanze degli interessi. Come si può partecipare alla festa del plebiscitarismo diretto e senza dibattito e poi ergersi a difensori del parlamentarismo? Per usare termini gramsciani, o si contrasta l’egemonia culturale avversa, oppure non si va da nessuna parte. Smeriglio stia fermo un giro e SEL Milano pensi a fare politica nei quartieri, e non caccia di posticini con Sala, per favore.