Promemoria per Renzi, Boldrini contro i decreti. Come Napolitano

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Michele Prospero
Fonte: Il Manifesto

di Michele Prospero – 10 marzo 2015

Nell’inter­vi­sta all’Espresso, Mat­teo Renzi cri­tica il pre­si­dente della camera Laura Bol­drini, che è uscita «dal suo peri­me­tro di inter­vento isti­tu­zio­nale con valu­ta­zioni di merito se fare o no un decreto che non spet­tano al pre­si­dente di un ramo del par­la­mento». La sen­tenza è dura ma non fon­data, alla luce della sto­ria delle istituzioni.

 Nel luglio del 1978, il pre­si­dente Pie­tro Ingrao denun­ciò la scor­cia­toia della decre­ta­zione d’urgenza come rispo­sta illu­so­ria all’esigenza di deci­sione rapida, che avrebbe com­por­tato sem­mai una più effi­cace pro­gram­ma­zione dei lavori.

 Un argine alla decre­ta­zione sarà un chiodo fisso nel corso delle pre­si­denze di Nilde Iotti. Nel luglio del 1981, durante la ceri­mo­nia del Ven­ta­glio, pro­nun­ciò parole dure con­tro l’abuso dei decreti. Nel dicem­bre dell’1981, uscì di nuovo «dal suo peri­me­tro di inter­vento» e non si limitò ad un attacco alla decre­ta­zione ma invocò «una strada nuova e diversa» nei pro­cessi legislativi.

 Nel set­tem­bre 1984 Iotti demolì l’uso smo­dato della decre­ta­zione riscon­trando nella prassi dei governi delle «deli­cate que­stioni di cor­ret­tezza costi­tu­zio­nale». Per que­sto sfidò, espri­mendo una «vivis­sima pre­oc­cu­pa­zione», Craxi per il varo di una raf­fica di decreti, giunta peral­tro nel giorno stesso delle sue dimis­sioni. Un solerte com­men­ta­tore dell’Avanti reagì con le stesse parole ado­pe­rate ora da Renzi con­tro Bol­drini: «Non tocca a lei sta­bi­lire il carat­tere di urgenza dei prov­ve­di­menti adot­tati dal governo».

 E però Craxi, che in 36 mesi aveva varato 185 decreti e altri 63 li emanò nel corso della seconda espe­rienza di governo, sor­prese gli osser­va­tori. E il 19 marzo del 1987 rispose rico­no­scendo le ragioni isti­tu­zio­nali della Iotti. Si impe­gnò anche, con una pro­messa del mari­naio, a richia­mare il governo ad «una scru­po­losa veri­fica dei pre­sup­po­sti costi­tu­zio­nali dei decreti».

 Nel feb­braio del 1988 Iotti sol­levò una ulte­riore dege­ne­ra­zione, la richie­sta con­ti­nua del voto di fidu­cia, una prassi ormai invalsa e nep­pure più cen­su­rata dai custodi della Costi­tu­zione. Sul finire della prima repub­blica, nel gen­naio del 1993, toccò a Gior­gio Napo­li­tano attac­care i troppi e non giu­sti­fi­cati decreti in una fase di emer­genza gui­data dal tec­nico Ciampi.

 Quando, con i comi­tati Prodi, anche lo sta­ti­sta fio­ren­tino in erba comin­ciò a fare poli­tica, la que­relle della decre­ta­zione non era certo spenta. Nella seconda repub­blica ha avuto anzi una pro­li­fe­ra­zione incon­tra­stata quale fonte nor­ma­tiva pri­vi­le­giata. Il 26 marzo del 1998, al governo sedeva l’Ulivo, il pre­si­dente della camera Luciano Vio­lante denun­ciò l’uso abnorme della decre­ta­zione e della delega. E inve­stì anche il Qui­ri­nale della deli­cata fac­cenda di un par­la­mento ridotto a «con­te­ni­tore di decreti».

 Il suo grido, per il ripri­stino della pro­ce­dura ordi­na­ria e per il ritorno al sistema delle fonti, non ebbe suc­cesso. Una delle punte pole­mi­che più accese del con­flitto tra palazzo Chigi e Mon­te­ci­to­rio si regi­strò nel 2007 con la disputa tra Fau­sto Ber­ti­notti e Prodi. Dopo 11 giorni di dibat­tito in aula sulle libe­ra­liz­za­zioni, ci fu il ricorso al decreto per accor­ciare i tempi e inter­rom­pere i lun­ghi riti. Lo scon­tro tra le ragioni della discus­sione e quelle della deci­sione fu aspro e inter­venne anche il Quirinale.

 Si dirà: ma sono tutti pre­si­denti comu­ni­sti, che rin­viano cioè alla nostal­gica dot­trina della cen­tra­lità del parlamento.

Nel set­tem­bre del 1994, a scri­vere una for­male let­tera di pro­te­sta, fu però la leghi­sta Irene Pivetti, che non esitò a sfi­dare Ber­lu­sconi. Al governo da appena 5 mesi, il Cava­liere già aveva sco­perto il fascino della decre­ta­zione (219 decreti, in parte ere­dità del governo precedente).

 Nel giu­gno del 1996 anche Oscar Luigi Scal­faro si sca­gliò con­tro «l’usurpazione» del governo Prodi (decreti rei­te­rati). E nell’ottobre del 2002 lo stesso Pier Fer­di­nando Casini inter­venne per stig­ma­tiz­zare i decreti e l’ampiezza e gene­ri­cità delle dele­ghe riven­di­cate dall’esecutivo Berlusconi.

 I con­flitti tra governo e pre­si­denti delle assem­blee sono dun­que abi­tuali e anche Gian­franco Fini nel 2009 cen­surò l’abuso del governo del Cava­liere che per con­trol­lare la mag­gio­ranza inquieta aveva posto la fidu­cia al decreto anticrisi.

 Il fatto è che la legi­sla­zione è sem­pre più ridotta ai soli decreti impo­sti dall’esecutivo, seb­bene risul­tino senza i con­no­tati della neces­sità e urgenza. Con i maxie­men­da­menti alla finan­zia­ria (che nel 2006 videro assu­mere forme far­se­sche), con il con­tin­gen­ta­mento dei tempi, con la con­ti­nua richie­sta della fidu­cia, l’aula è vit­tima sacri­fi­cale di cenni di deci­sio­ni­smo che avan­zano a colpi di ghi­gliot­tine, canguri.

Non è stato Renzi a creare que­ste dege­ne­ra­zioni nell’iter legi­sla­tivo, che Bol­drini segnala in difesa dell’autonomia fun­zio­nale del par­la­mento. Ma forse lui pensa che la Camera sia il con­si­glio di Palazzo Vec­chio, solo un po’ più grande, che il sin­daco d’Italia può, se lo crede, emarginare.

Michele Prospero (dal Manifesto del 10/03/2015)

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