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“Puoi imbrogliare tutti per una sola volta o uno solo per sempre, ma non tutti per sempre“: aforisma attribuito a Lincoln, Churchill e mi pare pure ad altri, non importa, se un concetto è lapalissiano viaggia di citazione in citazione.
Ilvo Diamanti ha pubblicato su Repubblica un sondaggio che dà Renzi in calo di 14 punti, cioè dal 74 al 60, in soli due mesi. I sondaggi valgono quello che valgono, ma 14 punti sono davvero tanti, mettiamoci pure la tara, come si dice dalle mie parti, ma è indubbio che qualcosa sta incominciando ad andare storto nel rapporto tra Renzi e il Paese.
D’accordo, il PD rimane nelle intenzioni il 41%. Ma quella porzione di base PD usa ad obbedir tacendo pur non condividendo Renzi non si schermava dietro l’illusione “Con REnzi si vince, che ci vuoi fare”? Ecco, sarebbe ora che si alzasse da quel comodo divano. Almeno iniziasse a stiracchiarsi.
Diamanti e Giuseppe Musmarra sull’ Huffington Post danno la colpa alla “narrazione”. In parte è vero: è stucchevole tutto quel rampantismo in un paese stremato dalla crisi e a volte pure imbarazzante. Soprattutto se prometti, ma non realizzi. E non importa se non è colpa tua, non dovevi promettere o promettere solo quello che è certo che realizzerai. Puoi imbrogliare ecc. ecc., appunto.
Ma il problema di Renzi non è solo la narrazione o il ritardo negli obiettivi: è l’ambiguità nella direzione nelle riforme. Le riforme si fanno nell’interesse di tutto il paese, ma non sono neutre, avvantaggiano e ridimensionano sempre qualcuno. Chi si propone un programma riformatore deve sempre avere un blocco sociale di riferimento e ha gli occhi rivolto a quel popolo quando vi mette mano. Poi media, concerta, fa compromessi, ma parte sempre da lì. E perciò quel popolo gli accorda fiducia e non gliela ritira di 14 punti in soli due mesi.
Renzi non fa mistero di fottersene di quel popolo nell’orbita della sinistra, l’ha sempre detto esplicitamente che guarda anche al popolo di destra per allargare i consensi. E non si pone il problema di trovarsi di fronte ad interessi confliggenti.
E’ storia vecchia. Diceva Berlinguer del PSI: “Ceti medi, borghesia produttiva sono strati importanti del paese e i loro interessi politici ed economici, quando sono legittimi, devono essere adeguatamente difesi e rappresentati. Anche noi lo facciamo. Se questi gruppi sociali trasferiscono una parte dei loro voti verso i partiti laici e il PSI, abbandonando la tradizionale tutela democristiana, non c’è che da esserne soddisfatti: ma a una condizione. La condizione è che, con questi nuovi voti, il PSI e i partiti laici dimostrino di saper fare una politica e di attuare un programma che davvero siano di effettivo e profondo mutamento rispetto al passato e rispetto al presente. Se invece si trattasse di un semplice trasferimento di clientele per consolidare, sotto vecchie etichette, i vecchi e attuali rapporti tra partiti e Stato, partiti e governo, con i deleteri modi di governare che ne conseguono, allora non vedo di che cosa dovremmo dirci soddisfatti noi e il paese”.
Togliamo a queste parole il senso contingente legato a quel quadro politico. Cosa ne rimane? Rimane la verità che i voti si chiedono su un progetto di società che non può piacere a chiunque. E da quel presupposto forte si lavora per allargare il consenso.