Quando due forni mi sembran troppi

per Luca Billi
Autore originale del testo: Luca Billi
Fonte: i pensieri di Protagora...
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di Luca Billi – 18 aprile 2018

Il profumo che esce da un forno la mattina è certamente uno dei piaceri della vita. Poi sai bene che dietro a quell’odore così gradevole e capace di attirarti, come il canto delle sirene, c’è il duro lavoro dei fornai, che di notte, mentre noi placidamente dormiamo, hanno preparato quel pane, ma intanto tu ti puoi perdere in quel profumo. Non so se chi è nato e cresciuto in una città ha avuto – e ha – la stessa opportunità, ma io che ho frequentato le elementari nei Settanta in un piccolo paese del contado bolognese e andavo a scuola a piedi, ricordo che ogni mattina sentivo quel profumo, perché il forno stava nel breve tragitto tra casa nostra e la scuola. E risento quel profumo anche ora, perché per arrivare in ufficio passo davanti a un forno di lunga tradizione.
Credo immaginerete che questo articolo non è dedicato solo alla nostalgia del profumo del pane appena sfornato, ma a una metafora di cui in questi giorni si fa largo uso – mi sembra un po’ a sproposito – quella dei “due forni”. Pare che l’abbia inventata Giulio Andreotti negli anni Sessanta e comunque, al di là di questa inutile questione di copyright, descrive bene la situazione politica di quel decennio, perché la Democrazia cristiana, grazie alla sua forza e alla sua capacità di essere molte cose contemporaneamente, aveva la possibilità di avere interlocutori sia alla propria destra, dai liberali ai missini, che alla propria sinistra, fino ai socialisti. E naturalmente sfruttò fino in fondo tutte queste possibilità, riuscendo a essere il dominus della politica italiana per tanti anni. Quella stessa metafora fu applicata in anni successivi anche al Psi di Bettino Craxi, anche se in questo caso si trattava di una possibilità più teorica che pratica. Certo i socialisti seppero sfruttare questa posizione in tante amministrazioni locali, riuscendo a governare sia con la Dc che con il Pci, magari ottenendo il sindaco, proprio grazie a questa possibilità, ma a livello nazionale non ci fu mai veramente l’opzione della nascita di un governo formato da Pci e Psi, con la Dc all’opposizione. Di questo erano consapevoli tutti gli attori della politica italiana. Bastava vedere cosa era successo nel ’78 quando la Dc di Aldo Moro tentò un’apertura al Pci di Enrico Berlinguer: pensate cosa sarebbe successo se qualcuno avesse tentato di formare un governo senza la Dc. Comunque allora le insegne dei forni erano ben chiare.
Oggi mi pare che nella politica italiana non ci sia più nessuno capace di fare il pane né tanto meno qualcuno che abbia la voglia di svegliarsi la notte per farlo. Questi non hanno proprio la stoffa per fare i fornai, al massimo possono aprire delle botteghe in cui rivendono pane confezionato, preparato giorni prima da qualche altra parte. Senza nessun profumo.
Francamente la politica dei due forni non mi è mai piaciuta, neppure quando c’erano quelli che sapevano fare il pane. Mi pare sia un’espressione di quell’opportunismo italiano, ben rappresentato dall’antico adagio “o Franza o Spagna purché se magna”, attribuito in maniera malevola al Guicciardini.
Mi piacerebbe invece richiamare un altro uso antico, di cui però anch’io – e penso molti di voi – ho ancora memoria. Quando io ero bambino nessuna delle nostre famiglie faceva il pane in casa, lo acquistavamo al forno, però c’erano alcune occasioni in cui quel forno, pur rimanendo di proprietà del fornaio, diventava comunitario, ad esempio per cuocere il coniglio a pasqua. Ricordo che mia nonna, come altre donne della sua età, portavano le teglie a cuocere là, perché con i forni “moderni” che avevano in casa non veniva bene. Quell’uso comunitario del forno era una traccia, un ricordo, di un passato – che è il presente in tante realtà del mondo – quando le famiglie che vivevano in una stessa comunità condividevano alcune cose, come il forno appunto, che non potevano avere ognuna nella propria casa. E quel forno era di tutti, e tutti ne avevano cura, come se fosse il proprio.
Naturalmente quello che ogni famiglia sfornava rimaneva di sua proprietà, ma quando c’è un forno comune non è sempre facile dire cosa è mio e cosa è tuo e magari, in un momento di difficoltà, quel che sarebbe stato solo mio poteva diventare anche un po’ tuo. Oppure se io quel giorno non potevo portare il pane a cuocere, tu potevi cuocere anche il mio, mentre lo preparavi per te. Ecco io alla politica dei due forni preferisco decisamente quella del forno comunitario, di un solo forno di cui tutti dovremmo prenderci cura e di una comunità che, intorno a quel forno, pratica una forma concreta di solidarietà.

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