di Valerio Iannuzzi
Cari compagni e care compagne, mi sono preso la libertà di effettuare una indagine nel mondo del lavoro. Ho, per così dire, intervistato diversi lavoratori in varie categorie e queste sono le testimonianze che ho raccolto. Le interviste sono reali, i nomi sono di fantasia perché tutti, o quasi, hanno espresso la volontà di non essere identificabili.
Marta: 50 anni.
Settore pulizie.
Orario di lavoro: 15 ore settimanali.
Contratto: temporaneo 2 mesi, rinnovabili.
Stipendio percepito: €. 400 mensili variabili in funzione della prestazione effettiva.
Luogo di lavoro: supermercati Carrefour varie sedi.
Marta lavora due ore ogni mattina dalle 6 alle 8 per 6 giorni settimanali che includono la domenica,
oltre a questo fa due turni infrasettimanali con orario 12 – 13,30.
Riceve busta paga regolare, tredicesima, quattordicesima e ferie.
Sul posto di lavoro dipende dal responsabile della sicurezza del supermercato.
Sostiene che il lavoro da lei svolto richiederebbe un orario di lavoro più ampio ma, causa accordi contrattuali tra il supermercato e la ditta di pulizie è costretta ad affrettare le operazioni nel tempo
assegnatole, pena impiegare tempo suppletivo non retribuito.
Mi informa inoltre che la permanenza del personale all’interno della ditta è limitato a pochi mesi in
quanto molte sue colleghe rinunciano al posto di lavoro a causa delle vessazioni subite dai vari
responsabili della sicurezza.
Il suo contratto scadrà il 31 Dicembre prossimo e probabilmente non sarà rinnovato per le stesse
ragioni già espresse.
Maria: 54 anni.
Promoter
Orario di lavoro: 8 ore settimanali.
Contratto: ha “firmato un pezzo di carta” dove venivano indicate le mansioni e l’orario da rispettare.
Stipendio percepito: €. 160 mensili, versati 65 giorni dopo la fine del mese di riferimento.
Luogo di lavoro: supermercato Auchan Porta di Roma.
Maria lavora il sabato con orario dalle 10 alle 20 con due ore di pausa.
Il suo lavoro si svolge in piedi dietro a un banco vendita dal quale tenta di vendere prodotti che ogni
volta cambiano a seconda delle promozioni.
Nessuno la informa prima del prodotto che dovrà vendere.
Sul posto di lavoro dipende dal direttore del supermercato.
Le viene proibito l’uso del telefono che addirittura deve rimanere spento per tutte le ore impiegate,
pena l’allontanamento dal posto di lavoro.
Viene retribuita come lavoratore autonomo ma in effetti viene trattata come se fosse una dipendente
del supermercato stesso.
Non riceve tredicesima, né quattordicesima e non ha diritto né a ferie né a malattia.
I versamenti vengono effettuati senza alcun documento accompagnatorio.
Alfredo: 42 anni
Promoter
Orario di lavoro: 16 ore settimanali.
Contratto: collaboratore.
Stipendio percepito: €. 440 mensili, versati 55 giorni dopo la fine del mese di riferimento.
Luogo di lavoro: Leroy Merlin varie sedi.
Alfredo lavora tutti i sabato e le domeniche nel periodo maggio – settembre.
Deve vendere prodotti vernicianti utilizzando una macchina tintometrica.
Sul posto di lavoro dipende dal responsabile di reparto.
Non gode di nessuna copertura assicurativa per l’utilizzo del macchinario.
Non riceve tredicesima, né quattordicesima e non ha diritto né a ferie né a malattia.
Il macchinario usato consiste in una sorta di “lavatrice” che contiene una morsa nella quale vengono
bloccati i secchi di vernice, la macchina in opera centrifuga il secchio facendo così miscelare la
tinta con il colore.
L’uso di tale macchina richiede una specializzazione, il rischio incidenti è alto.
Le sostanze usate sono considerate tossiche per inalazione e allergeniche a contatto.
Giovanna: 35 anni
Operatrice Call Center
Orario di lavoro: 20 ore settimanali
Contratto: collaboratore con scadenza mensile.
Stipendi percepito: €. 200 mensili più provvigioni
Luogo di lavoro: sede società
Giovanna deve telefonare ad un elenco di persone fornito dalla società per cui lavora.
Lo scopo è promuovere servizi (telefonia fissa, telefonia mobile, energia, gas …)
È obbligata a raggiungere un certo numero di contatti giornalieri, pena richiami che spesso
avvengono con uso di violenza verbale e insulti alla presenza di tutti i colleghi.
Percepisce una quota per ogni appuntamento fissato più una quota per ogni contratto stipulato.
Lo stipendio massimo raggiunto è di €. 400 mensili, le viene versato in contanti 40 giorni dopo la
fine del mese di riferimento.
Ovviamente non gode di nessun diritto.
Monica: 48 anni
Settore di lavoro: mense scolastiche
Orario di lavoro: 3 ore al giorno quando richiesto
Contratto: collaboratore con scadenza giornaliera.
Stipendio percepito: €. 5 l’ora al lordo di ritenuta d’acconto.
Luogo di lavoro: mense scolastiche su tutto il territorio cittadino.
Monica si occupa della preparazione dei tavoli del refettorio, serve le vivande e raccoglie le
stoviglie a fine pranzo.
Deve anche pulire tutto il materiale utilizzato per la preparazione dei pasti, la cucina e il refettorio.
Monica mi informa che a causa dell’orario ristretto le operazioni avvengono a ritmo estremamente
sostenuto, fatto che rende particolarmente stressante il posto di lavoro.
Data la forma di contratto utilizzata, la ditta non le permette di lavorare più di 8 – 10 giorni al mese,
per cui lo stipendio mensile non va mai oltre i 130 – 150 €.
Come per gli altri anche lei non gode di nessun diritto.
Michela: 23 anni
Geometra.
Orario di lavoro: 10 ore al giorno
Contratto: libero professionista con partita Iva
Stipendio percepito: €. 800 mensili compresa Iva
Luogo di lavoro: studio tecnico.
Sebbene Michela sia una libera professionista, in realtà opera come se fosse una normale
dipendente.
Il lavoro le viene affidato dal titolare dell’ufficio e consiste nell’espletamento di alcune fasi di
pratiche urbanistiche.
Contrariamente alla natura dell’incarico, Michela non svolge il lavoro in autonomia ma secondo le
ristrette prescrizioni del titolare, pur assumendo tutte le responsabilità di quanto da lei fatto.
Data la natura di libero professionista non le spetta alcun privilegio.
Lo stipendio percepito basta a malapena a coprire i versamenti Iva, quelli contributivi e quelli
relativi al reddito.
Potrei continuare per decine di pagine ma penso che quanto esposto fin qui renda abbastanza chiaro
il quadro della situazione. Tuttavia mi sono preso la libertà di interpellare anche alcuni imprenditori, rei della situazione vessatoria in cui operano i loro dipendenti.
Ciò che è emerso risulta abbastanza preoccupante. Le piccole imprese lavorano spesso con contratti di sub appalto. Gli importi corrisposti per le opere richieste sembrano stilati su una logica in cui i dipendenti
vengono retribuiti con salari da terzo mondo.
In sintesi mi hanno spiegato che la composizione del prezzo con cui viene presentata l’offerta si
basa su un’analisi dei costi, che comprende il costo della mano d’opera (calcolato sul contratto
nazionale), il costo delle merci e dei servizi che occorrono per eseguire l’opera e il costo per la
gestione, che comprende anche tasse e tributi. Senza andare avanti, cioè senza calcolare nel costo il profitto per l’impresa, la cifra che emerge supera già quasi del doppio quanto l’appaltante offre (dato che possiamo considerare come “prezzo di mercato”). In pratica mi hanno spiegato che è praticamente impossibile lavorare secondo le regole imposte dal Contratto Nazionale del Lavoro.
Capitolo a parte andrebbe poi aperto per la tassazione a cui sono sottoposte le imprese, argomento
che avremo occasione di trattare in seguito.
Prendendo per buona anche solo la metà delle informazioni ricevute dagli imprenditori contattati,
informazioni spesso avallate da fatture e contratti di cui ho preso visione, il quadro che emerge è
quello di un sistema completamente basato sullo sfruttamento.
Sfruttamento dei lavoratori, ai quali non vengono riconosciuti i diritti ma anche sfruttamento delle
imprese, che vengono caricate di tutta la responsabilità delle opere eseguite, senza tener
minimamente conto delle spese che devono effettuare per la realizzazione delle opere.
Quindi la tendenza è quella di assumere, possibilmente in nero o con contratti al limite della
legalità, dipendenti con qualifiche molto basse o addirittura senza qualifica, così da poter pagare il
salario più basso che si riesca ad ottenere.
Il lavoro che ne risulta è ovviamente di pessima qualità, la prevenzione non viene quasi mai fatta e
le problematiche si moltiplicano. Il tutto poi è condizionato dal regolare versamento di contributi, senza il quale viene di fatto impedita all’impresa la possibilità di lavorare.
Ovviamente basta avere un solo dipendente in regola con contratto part-time e versare quei soli
contributi per essere considerati regolari, i controlli sono pressoché inesistenti.
In questa logica poco conta se esista un articolo 18 oppure no!
Lo scopo della riforma del lavoro è chiaramente quello di poter permettere l’abbassamento dei salari
fino e oltre i limiti indicati dal sondaggio. Tutto questo in nome di una “sana concorrenza” che avrebbe come scopo l’abbassamento dei prezzi al consumo per i cittadini.
Ma anche ammesso e non concesso che effettivamente ci sia questo abbassamento, la riduzione
degli stipendi mette sicuramente in condizione i cittadini di vedere il loro potere d’acquisto
diminuire e non aumentare.
Quindi qual’è lo scopo del gioco?
È evidente che i grossi capitalisti sono gli unici a trarre vantaggio. Incassano il 20% in meno di prima ma spendono anche il 50 – 60% in meno di quanto spendevano prima. Questo significa che se prima spendevano 100 per avere 150, ora spendono 40 – 50 per avere 120. Il loro profitto i questo modo passa da 50 a 70 – 80. Credo che questa sia la situazione e questo l’obiettivo che intendono raggiungere.
Da tempo sono convinto che le nostre iniziative debbano essere mirate e capillari e che il nostro
impegno debba essere quello di studiare contromisure a questi attacchi subdoli che il mondo
capitalistico opera ai danni dei cittadini.
Questo rafforza la mia convinzione che il mondo del lavoro debba essere separato dal mondo
dell’impresa. In sostanza credo che i lavoratori debbano avere in mano i propri destini e coalizzarsi in cooperative che producano per conto di terzi.
L’imprenditore che vuole produrre un qualsiasi bene in questo modo si trova incastrato nella scelta
“prendere o lasciare”, secondo il mio punto di vista questo dovrebbe proteggere i lavoratori dagli
attacchi speculativi.
Questo li renderebbe anche maggiormente responsabili del lavoro svolto, liberando così l’imprenditore dal problema di alcuni lavativi che, squalificando l’intera categoria, danno adito a lamentele con le quali l’imprenditore giustifica certe sue scelte. Noi ci assumiamo le nostre responsabilità, le imprese le loro!
Questo mi sembra l’unico modo per convivere senza che nessuno si faccia male, non vedo altre
alternative.