Fonte: facebook
di Barbara Balzerani
16 marzo 1978
Mi si asciuga la gola e comincio, con il cuore in tumulto, ad aspettare. So già che finché tutto non avrà inizio non riuscirò a ritrovare la piena padronanza dei miei nervi.
Passeranno di qua? Riuscirà la manovra studiata per bloccarli? E tutto il resto?…
Ci siamo. Vedo la nostra macchina scendere su via Fani con dietro le altre due. Mi preparo a prendere posto in mezzo all’incrocio e, al primo sparo , tiro fuori la mia arma. Dobbiamo bloccare il flusso delle macchine per tenere la strada libera alla nostra via di fuga e impedire qualsiasi intervento indesiderato. Guardo in un’altra direzione e perciò non vedo cosa sta succedendo a pochi passi da me.
Quello che sento è però abbastanza per immaginare.
No, non è abbastanza.
Il tempo è sospeso, incalcolabile.
Unico elemento dinamico nell’irrealtà ferma di quei momenti, l’assordante fragore delle armi. Non mi abituerò mai all’estraneità del loro sgradevole timbro metallico.
Come se ogni volta mi sorprendesse.
Certo, è la politica a guidare il fucile, ma colpo dopo colpo ci lascio un pezzo di me.
Fatto. Ci siamo tutti? Tutti. Con in più il nostro prigioniero. Lo rivedo per un attimo mentre gli altri lo caricano su un pulmino. Io prendo un’altra direzione. Da ultimo, il sorriso di saluto di un compagno che, in quell’inferno, sembra così contento di aver trovato il modo di regalarmelo.
Ma niente è più potente del luogo comune. Come avevamo potuto fare tutto da soli? A distanza di tanti anni sembra inverosimile persino a me che c´ero. Debbo riallacciare molti fili per rientrare in quella visione della politica, in quella determinazione, in quel contesto. Eppure succedeva, e non solo da noi. Azioni militari spettacolari, in America Latina, in Germania, in Spagna, raccontate nei film, nelle canzoni. Rivendicate nelle assemblee, nei cortei. Adulate dai circoli intellettuali. A nessuno veniva in mente che non si poteva, che non si sapeva fare.
Quella mattina di marzo uscimmo di casa ed eravamo quelli di sempre, con la certezza che andavamo a fare quello che stava nelle cose dovesse essere fatto, con le nostre armi inefficienti, col nostro addestramento approssimato. I pochi a non aver mai frequentato i campi di esercitazione della guerriglia internazionale.
Gli avvenimenti ci avevano dato ragione. L´ultimo movimento armato era stato sconfitto sul campo. Chiuse le sue sedi, spente le radio, vietate le manifestazioni. Solo la clandestinità sembrava permettere una politica d´attacco. E lo dicevamo nel nostro politichese, anche di Via Fani dicevamo, a leggere bene.
Andammo e li prendemmo di sorpresa
Non ci conoscevano, non immaginavano.
Avevano di noi l´idea che ne davano quelli del partito comunista.
Per loro eravamo quattro provocatori, isolati, mezzi fascisti, di certo infiltrati.
Non comprendevano perché non gli era mai interessato capire.