I ‘realisti’ alle prese con l’Africa

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 8 settembre 2017

Ci pensavo ieri sera, dinanzi all’ennesimo commento di questo tono: com’era possibile consentire sbarchi selvaggi sulle nostre coste, com’era possibile dare ancora fiato ai ‘trafficanti di carne umana’? È stato giusto ‘fermare gli sbarchi’ (come ha rivendicato Renzi più di tutti), fare l’accordo con le ‘autorità’ (sic!) libiche per alzare una cortina non oltrepassabile. Questo sarebbe stato un ‘sano realismo’. Sano realismo? Per quanto ne so io, il relaismo politico prevede delle scelte che non collimano essenzialmente con le proprie convinzioni o aspirazioni, consiste nelle valutazioni dei vincoli e delle impossibilità per trarne la soluzione meno svantaggiosa per sé ma più efficace possibile, vuol dire avere un occhio alla ragion di Stato, o comunque anteporre il bene comune a quello della propria parte, quasi sconfinando con il pragmatismo. Il realismo si paga, però, perché comporta scelte che la propria parte deve ‘digerire’, deve accettare, deve far propria per quanto lontana dallo spirito di quella parte stessa. Il realismo, così come all’opposto la rivoluzione, non è un pranzo di gala. Si paga personalmente un conto, a fronte di vantaggi futuri, magari, o collettivi.

Quale ‘realismo’ nella scelta di bloccare i flussi, facendosi aiutare in questo forse dagli stessi che su quei flussi già ci speculavano prima? Qual è il prezzo pagato, e da chi? Ora appare evidente che quelli che ci hanno rimesso sono coloro che fuggivano da fame, guerre, sogni spezzati e tentavano la sorte sul Mediterraneo. Dinanzi a loro adesso c’è un muro, e ci sono campi di contenimento disumani gestiti in modo bestiale. Sono loro a pagare prezzo, non i nostri ‘realisti’. I quali anzi si attendono invece un bell’abbusco in termini di consenso e voti. Si attendono che gli italiani plaudano alla cortina di ferro africana. Un ‘sano realismo’ sulla pelle altrui, insomma. Quelli che non capiscono, ovviamente, siamo noi, gli ‘idealisti’, i ‘buoni’ (detto con un certo spregio), che vogliamo l’invasione, il traffico di carne umana, vogliamo vedere affondare l’Italia a colpi di stupri e lavoro rubato. Proprio vero, l’ipocrisia è merce diffusa, così come la vergogna è merce rara. Ma far pagare il conto abissale del proprio realismo alle vittime è davvero l’ultimo gradino, quello insuperabile. Non è la prima volta che accade, certo, e non sarà l’ultima. La storia è davvero il tritacarne dei poveri.

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