di Alfredo Morganti – 16 febbraio 2016
LA PEGGIO GIOVENTU’
Parliamo di gente brava, di ragazzi intelligenti, di primi della classe da sempre e di persone meritevoli sul piano delle competenze e dei saperi. Sono stati anche fortunati, certo, perché la fortuna è essenziale in ogni vicenda della vita. La fortuna, le coincidenze, le opportunità, anche le relazioni personali e familiari. Ma nessuno è raccomandato, diciamo. Parliamo di 30 italiani (su 302 borse disponibili) che si sono visti finanziare quest’anno un loro progetto di ricerca con fondi dell’European Research Council (ma erano 46 due anni fa): 17 di loro hanno deciso di spendere questi soldi all’estero. Ed ecco un dato su cui riflettere: tra il 2007 e il 2013 l’Italia ha contribuito al programma europeo di ricerca con 900 milioni di euro, ne sono rientrati soltanto 600.
I giornali parlano tantissimo dei cosiddetti ‘cervelli in fuga’ e della ‘meglio gioventù’ italiana. Di un Paese che respinge i figli migliori (o più intelligenti). Puntano i riflettori sulla crema della crema, e sui tanti di loro che scelgono l’estero. Certo, si tratta di ragazzi molto bravi, stimabili, ma anche fortunati, dicevamo. Lo ammettono persino alcuni di loro, e come non potrebbero? Giovani 30-40enni che meritano questa loro fortuna, ma che siedono al tavolo delle élite europee, che hanno scelto di puntare su se stessi anche a cagione della loro stessa (e legittima) ambizione personale, che hanno decisamente virato a favore della propria carriera, delle proprie aspirazioni, direi persino del propri stipendi, pur animati indubbiamente dal sacro fuoco della missione scientifica. Oggi occupano le pagine dei giornali, si impongono nel dibattito anche politico, oltre che culturale e di costume. Insomma, sono bravi e investono questo loro merito, certificato dalle istituzioni europee, nell’ambito della ricerca scientifica finanziata con denaro pubblico.
La crema della crema, insomma, che assurge agli onori della cronaca. In fondo, siamo un Paese che si è sempre fatto vanto dei primi della classe, che di solito lo erano semplicemente per meriti naturali, e non ha mai apprezzato gli altri, i normali, i medi se non i mediocri. E poco si è chiesto perché ci siano gli intelligenti meritevoli e poi tutti gli altri, ma ha sempre decisamente incensato quelli più bravi. Forse perché danno meno pensiero, fanno da sé, sono autonomi, ci aiutano invece di essere aiutati. Siamo un Paese un po’ pigro, in fondo, e mediocre al punto da non apprezzare proprio i mediocri, pur raccomandandone molti. Il fatto è che, dinanzi ai 30 bravi che sono finanziati riccamente e decidono per il 56,7% di investire queste risorse all’estero, ce ne sono MILIONI che, dopo aver fatto nulla o poco a scuola, dopo essere stati meno fortunati di altri, dopo aver sbagliato il luogo, l’epoca e la famiglia dove nascere, oggi si ritrovano precari, sottopagati, inattivi, disoccupati, già svuotati di ambizioni e sogni a 20 anni, pronti a concepire come un destino e un demerito anche la propria sfiga. Pronti a non impegnarsi affatto. Senza più percepire il senso della parola ‘riscatto’. A meno che questi mediocri non siano di famiglia ricca, certo. A meno che qualcuno non li raccomandi a qualche amico.
Ecco. Se ogni tanto, ogni tanto, nell’intervallo delle ovazioni verso i cervelli in fuga, negli interstizi di un’opinione pubblica ormai perduta, si rivolgesse per pochi secondi lo sguardo al mondo della peggio gioventù, al mondo di chi non meritava, non era bravo, ed era destinato socialmente a stare d’accanto, forse, dico forse, avremmo compiuto un atto di giustizia sociale. Passi per l’economia e le imprese che debbono avere brevetti, progetti, ricerche (magari finanziate con denaro pubblico) da testare sul mercato e cervelli da strizzare il più possibile. Passi per tutto ciò, ma la politica non può pensare di governare la complessità scrivendo dei tweet sbeffeggiati in gloria a chi una gloria già ce l’ha. Non può pensare che, in ultimo, la questione dei non-bravi si risolve poi raccomandandoli agli amici, facendone dei ‘servi’ sciocchi, leali, pronti a scattare ogni qualvolta risuoni l’apertura delle urne elettorali. A essere massa. E pronti a consumare le cose brevettate dai più bravi e prodotte dalle grandi aziende globali.
Così la scuola: quella buona di Renzi è aziendale ed efficientista, ma la ‘peggio’ scuola ha bisogno di un’attenzione e una cura in più (e spesso di una bonifica). Ci sono studenti e insegnanti che affogano ogni giorno nella melma dell’indifferenza politica e sociale, ci sono periferie culturali dove il riscatto è inconcepibile. Ci sono bambini, ragazzi che questa indifferenza la sentono a pelle da subito, che intuiscono presto che l’unica salvezza è avere santi in paradiso, come si dice: gli amici degli amici. Ma la soluzione non può essere la raccomandazione, la fedeltà e la lealtà verso il proprio signore: un altro feudalesimo insomma. Oggi c’è una peggio gioventù da riscattare, altro che. Da restituire a se stessa, alla propria consapevolezza, alla propria libertà di opinione, oltre che a lavori decenti. E al prossimo peana sui cervelli in fuga (dritti dritti verso le proprie solitarie ambizioni: ‘mi son fatto tutto da me’, diceva Gaber) tolgo la sicura al grilletto (cit.).