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di Domenico Argondizzo 8 febbraio 2016
Mi definisco socialista per ragioni valoriali, per una questione metodologica e per le finalità che perseguo: ambisco a trasformare la società secondo i valori del socialismo, partendo da una analisi del reale di tipo economico-scientifico.
Le ragioni fondamentali del nostri problemi economici e sociali vanno ricercate entro i nostri confini nazionali. Certo le congiunture internazionali non sono favorevoli per stimolare una economia interna italiana “bloccata”. Ma non si può certo sostenere che la leggerezza con cui furono concessi – un decennio fa – i mutui edilizi negli USA, sia il motore primo anche della crisi italiana. E le teorie complottistiche che ora vanno per la maggiore (euro, Unione bancaria europea, finanza internazionale, ecc., come complessiva strategia per tagliare le gambe alla cosiddetta “quinta potenza mondiale”) sono beceramente false ed in più rinnegano l’internazionalismo socialista, che è tale soprattutto quando è contro il nazionalismo economico. Questi cantori del fulgore economico-industriale italiano dei primi anni ottanta dimenticano, per esempio: che l’Olivetti vendeva abitualmente alle Ferrovie dello Stato (ancora “Ente”) i suoi M-20 al quadruplo del prezzo di vendita per un qualunque consumatore in negozio; dimenticano che la Fiat produceva prodotti anche di pregio, ma spesso discutibili, con ricche sovvenzioni pubbliche (per non parlare delle regalie ricevute dalla prodiana IRI, come il prestigioso marchio Alfa Romeo); dimenticano l’inflazione a due cifre, le svalutazioni competitive, il disavanzo (cioè mancata tassazione) e corrispondente debito pubblici (cioè prestito richiesto agli evasori fiscali) a dir poco allegri; dimenticano le costanti (anche economiche) del nostro sistema paese:
1) criminalità organizzata con poteri sovrani su 2/3 del territorio nazionale;
2) illegalità e corruzione diffuse e penetranti;
3) assenza di un reale accertamento sui redditi che non siano da lavoro dipendente (che gode di trattenute alla fonte);
4) economia sommersa che dovrebbe equivalere a non meno del 30% del PIL ufficiale secondo diversi studi (eppure, qualcuno arriva a dire meno male che c’è il nero…), ma io posso anche essere autorizzato a pensare che sia il triplo, visto che il più del 70% del contributo all’Erario – da tassazione diretta – proviene dal nostro lavoro dipendente (quindi, mi verrebbe da chiedere, quel 30% delle altre attività lavorative è da considerarsi solo la punta di un iceberg, le cui dimensioni possono quantificarsi moltiplicando l’emerso almeno per 6, 7, 8, ecc., volte?);
5) changeover del 1° gennaio 2002 taroccato all’italiana (da imprese, professioni, autonomi, ecc.), in modo non rilevabile all’estero, convertendo con il tasso di 1000 lire per 1 euro. Ciò ha prodotto – in una notte – il 100% di inflazione per il lavoro dipendente, dimezzandone il salario (cambiato esso solo al tasso ufficiale di 1936,27) e la capacità di consumo;
6) distribuzione del lavoro e dello stato sociale, iniziata ben prima che arrivasse renzie;
7) prossima distruzione della democrazia e della Costituzione.
Tutte cose di cui è responsabile la UE e la moneta unica!?!
La cosa ancora più grave non è tanto condividere le cosiddette “analisi” delle destre nazionalistiche europee (cosa in sé legittima), ma tradire la ragioni fondanti del socialismo, rinunciando a ridisegnare la società esistente, nel contempo semplicemente assecondandone i vizi congeniti vecchi e nuovi.