Riecco D’Alema: convegni, cortei e interviste tv. È tornato un Max in purezza, con tutto il suo carisma. Netto, definitivo, seducente.

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Fabrizio Roncone
Fonte: Corriere.it

Riecco D’Alema: convegni, cortei e interviste tv. È tornato un Max in purezza, con tutto il suo carisma. Netto, definitivo, seducente. (Video)

Soffia un ventaccio sul mondo. Spazza via le vecchie certezze. Eppure la sinistra italiana custodisce una prodigiosa capacità di stupire. Come? Con il ritorno di Massimo D’Alema.

Rilassiamoci dieci minuti.
Sentite che storia

Indizi concreti, tracce dentro i cortei, avvistamenti a convegni e a presentazioni di libri — l’altro giorno era alla biblioteca della Camera con Carmine Fotia e Fabio Martini, che ne hanno scritto uno ciascuno su Craxi — e poi ospitate nei talk tv, interviste scoppiettanti come a Piazzapulita, ospite di Corrado Formigli: e quindi sì, certo, è davvero di nuovo tra noi quello che i giornali destrorsi chiamano ancora con sarcasmo «Baffino» e che per molti militanti e parlamentari dem era e resta invece solo Massimo, Max, il Lider Maximo, oppure affettuosamente Mandrake, il soprannome dei bei tempi andati, quando era premier a Palazzo Chigi, il primo comunista ad essersi seduto su quella poltrona, e i suoi Lothar consiglieri, come nel celebre fumetto degli anni Trenta, gli stavano accanto fedeli e senza manco un pelo in testa (Claudio Velardi, Fabrizio Rondolino, Marco Minniti, Nicola Latorre: una squadra che, di questi tempi, appare lunare).

La domanda è: D’Alema, a 75 anni, che vuole fare? Ha un Wikipedia pieno, importante. È stato presidente della Federazione dei Giovani Comunisti, direttore dell’Unità, segretario e poi presidente dei Ds, presidente del Consiglio e ministro degli Esteri. Ha fatto tanto. E tanto ha cercato di disfare. Boicottando (possiamo trovare un altro verbo, ma quello fu: un sabotaggio) l’Ulivo di Romano Prodi, scatenando una lotta feroce nel Pd di Walter Veltroni, attaccando Matteo Renzi («D’Alema venne a chiedermi il posto della Mogherini, come Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, ma nel Pse non lo voleva nessuno»), e quindi andando addirittura via dal partito e poi però, in qualche modo, rientrando.

Munito d’una proverbiale autostima — celebre la frase: «Il capotavola è dove mi siedo io» — sempre sfoggiando eloquio affilato e battute inesorabili, D’Alema ha costantemente rappresentato soprattutto se stesso. Per i nemici (anche sinistrorsi): vanitoso, indisponente, velleitario («Però certi giudizi sono colpa mia: non mi sono mai occupato di essere popolare»). Per i fan: autorevole, lucido, di un’altra categoria. Per i cronisti: straordinario personaggio da raccontare. Non solo in politica. Indimenticabili i reportage nel Mediterraneo, quando era al timone del suo veliero, l’Ikarus, e poi in Umbria, quando si scoprì che s’era venduto la barca per acquistare un’azienda agricola, La Madeleine, che produce vino dentro una vallata stretta tra il borgo di Otricoli e Narni («Questo ulivo secolare… costa 1500 euro, pensi», disse con incontrollabile modestia ad Alain Friedman). Negli ultimi anni, certo, anche qualche ruvida polemica di stampo giudiziario: su presunti interessi in traffici di ventilatori cinesi durante la pandemia («Ma ho tutto qui, documentato — spiegò a Tommaso Labate su Sette — I ventilatori funzionavano e il nostro governo li ha anche pagati poco»). E poi ci sarebbe pure il possibile coinvolgimento come «mediatore informale» in un affare di navi e aerei destinati alla Colombia.

Perché, ad un certo punto, D’Alema sembrava essersi messo a fare davvero altro. Così, un pomeriggio d’un paio d’anni fa, lo chiamo per fargli commentare non ricordo più quale casino politico. Lui mi risponde da un paese lontano (forse arabo, però non ne sono sicuro), e mi fa, con il tono di quando vuole risultare simpatico: «Lei dovrebbe sapere che io, ormai, faccio il consulente per alcune società… e la politica, di-cia-mo, la osservo con inevitabile distacco…».

Ha cambiato idea? Se è così, la notizia è che i rapporti con la Schlein erano e sono comunque rimasti formali, tendenti al freddo. Del resto, di tutto Elly ha bisogno, tranne che di un Papa rosso emerito (già fatica, e molto, ad ascoltare i consigli di Romano Prodi). L’ultima volta che ha visto Mandrake, a fine novembre, a un corteo della Cgil che sfilava nelle strade di Roma, il saluto è stato proprio gelido. Un’occhiata, neppure la bozza d’un sorriso. Lei aspettava che fosse lui ad avvicinarsi. Lui, al solito, pensava: ragazza, io sono Mandrake. Così è rimasto qualche fila dietro. I cronisti intorno: «Certo… alle Europee, il Pd è andato bene. Ma per costruire un’alternativa, di-cia-mo, non basta».

È fatto così: deve spiegartela sempre un po’. E con quell’aria che conoscete: da D’Alema, appunto. Ultimamente, anche ragionando dentro una certa intransigenza. Su Trump: «Forse avevamo ragione quando, da giovani, urlavamo che l’imperialismo Usa era una barbarie». E su Israele: «È guidato da una destra razzista con alcuni ministri che non saprei come definire se non fascisti». Al che, Giulio Tremonti — i due erano nell’aula del gruppo dem, a Montecitorio, dove si presentava il nuovo numero di Italianieuropei, la rivista dell’omonima fondazione che Mandrake presiede — sente la necessità di precisare: «Non è giusto quello che dici, Massimo: quella guerra è cominciata da una parte, e non dall’altra».

È tornato un Max in purezza, con tutto il suo carisma. Netto, definitivo, seducente. Lo sguardo scorre sulla platea, sui ranghi degli ex articolo 1 (Bersani, Speranza, Scotto, Stampo). Ma ci sono pure Enzo Amendola e Gianni Cuperlo, e poi arriva Piero De Luca.

A pensar male, diciamo, una specie di correntone dalemiano.

Babelezon bookstore leggi che ti passa

Articoli correlati

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.