Rispetto Napolitano, ma non vi nascondo la delusione e persino la preoccupazione

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Fonte: facebook

di Alfredo Morganti – 17 dicembre 2014

Singolare e duale

Scopro dai resoconti dei giornali il contenuto dell’intervento svolto ieri da Napolitano. Non vi nascondo la delusione e persino la preoccupazione. Rispetto il Presidente della Repubblica, ma non condivido alcune cose che ha detto. Non condivido l’idea che un’eventuale opposizione possa ’attentare’ (questo è il verbo usato) “alla continuità di questo nuovo corso”. Né il rimbrotto verso i “venti di scissione” che spirerebbero nel PD. Tantomeno l’idea che la società ferita dalla crisi (una crisi verso la quale i vari governi presidenziali di questi anni poco hanno saputo fare, se non invocare l’austerità e appiattire le risorse delle famiglie) debba pure vedersi costretta a mostrare un infondato ottimismo. Neppure il richiamo al Sindacato (alla CGIL, a dire il vero) affinché rispetti le prerogative di governo e Parlamento (ma da quando la CGIL si è mostrata eversiva?). Più di tutto, però, mi ha deluso il rimprovero verso chi vorrebbe modificare in Parlamento le riforme costituzionali ed elettorali: costoro potrebbero ricorrere a “spregiudicate tattiche emendative”. Ma da quando le riforme costituzionali le fa il governo e non il Parlamento, che più che discutere ed emendare null’altro potrebbe?

Nulla ‘attenti’ alla continuità del nuovo corso, dunque. Questo verbo (‘attentare’), usato nel contesto rappresentativo di un Parlamento già morto, in vero, sotto i colpi dei voti di fiducia, dei severi richiami istituzionali e del caos grillino o leghista, è forse fuori luogo. L’opposizione non ‘attenta’ mai, l’opposizione semmai fa il suo sacrosanto lavoro. Così, la sinistra interna al PD non fa ‘opposizione’, ma fa il mestiere che dovrebbe fare ogni deputato: partecipare attivamente, proporre modifiche e miglioramenti, vigilare e controllare l’operato degli altri legislatori, in primis quello del governo. È il manovratore, invece, che deve dimostrare abilità di guida, senso del percorso, chiarezza procedurale. È il manico che fa la lama. E invece, non dimentichiamolo, la modifica più importante all’Italicum l’ha proposta per primo il governo (cioè Renzi, uno dei due sottoscrittori del Patto del Nazareno, nuovo porto delle nebbie), chiedendo che alla ‘coalizione’ si sostituisca la ‘lista’ nell’assegnazione della quota maggioritaria. Dunque? Chi attenta alla continuità, chi genera la crisi, chi la combatte davvero? È certo, invece, che le famiglie, gli spezzoni sociali più deboli, le figure più disagiate, da domani dovranno traspirare fiducia e ottimismo. E sorridere fieri e compiaciuti dinanzi alla solita considerazione sugli ennesimi segnali positivi che comincerebbero a percepirsi anche stavolta, per il settimo anno di seguito dall’esplodere della crisi.

Un’ultima cosa. Quando un’istituzione monocratica come quella del Presidente della Repubblica diviene centrale nello scacchiere di una democrazia rappresentativa come la nostra, c’è il rischio che l’idea di una dialettica duale maggioranza-opposizione divenga desueta, si presenti come una ‘zavorra’ e ‘attenti’ (ecco), alla continuità dell’ennesimo e salvifico nuovo corso. Che la democrazia, cioè, perda il proprio essenziale carattere ‘duale’ (e ‘plurale’ se consideriamo la molteplicità sociale) per darsi una veste singolare, anzi singolarissima. E che discutere sia perdere, come dice Napolitano, “tempo e inchiostro”. Ma non è questo il rischio, e nemmeno il punto. Il rischio semmai è che ciò accada senza che l’opinione pubblica mostri sensibilità al tema, senza che i cittadini e le forze politiche e sociali abbiano consapevolezza di questo ‘passaggio’ dal duale al singolare. E che anzi lo invochino quale panacea. L’effetto, già molto evidente, è una democrazia italiana che diventa uno sfoggio di singolarità, una corale bramosia di unicità, una voglia sfrenata di persone sole al comando. Nulla di nuovo certo, è tutto già accaduto nella storia del nostro Paese. Ma l’idea che per molti cittadini italiani la democrazia possa essere considerata un problema, e non una soluzione, mi mette ancora a disagio. Che ci posso fare?

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